42. Un passo avanti

Comincia dall'inizio
                                    

E così Lillian Luthor ha sponsorizzato una mostra di fotografia sulle barriere architettoniche. Mi fa piacere saperlo; quando ero in servizio, ho avuto a che fare con molti progetti del genere. Non per la polizia. Alcuni amici ed io abbiamo devoluto dei fondi per costruire strutture di ricerca, al tempo. E ci dedicavamo a rendere più sicure le nostre strade. Sapevi che tuo padre lavorava con tuo zio a qualcosa di simile?
Kara si accigliò, stringendo la lettera. Di cosa parlava?

Era un progetto che a me e questi amici interessava molto, volevamo finanziarli, ma le cose sono andate male, a un certo punto. Non posso parlartene per lettera, è una cosa delicata, Kara. Ma devi saperlo, anche se non sono certa che capirai queste parole: c'era un'altra strada, un caro amico ci teneva molto ad entrare in affari con loro, ma le cose sono andate male. E questo lo sai anche tu.
Te lo scrivo nel caso mai leggessi, anche se, dopotutto tutti questi anni, ho i miei dubbi. Magari le getti nella spazzatura e non ci pensi più. Ma io ci riprovo perché credo in quello che ho fatto e sono pentita di ciò che non ho potuto fare e vorrei che tu sapessi quanto ti ho voluto bene allora e te ne voglia ancora. Sei l'unica famiglia che mi è rimasta.
Kara restò a bocca aperta e le si seccò la gola. Era un po' infastidita che lei la considerasse la sua famiglia nonostante tutto, ma ciò che disse su suo padre e suo zio le interessava. Prese il cellulare e scrisse un lungo messaggio a Lena, citandole alcune parti della lettera. Ma, appena prima di inviare, ci ripensò. Restò con il pollice a mezz'aria e, stringendo le labbra, lo archiviò, accanto agli altri messaggi scritti per lei. All'inizio erano loro due, ma adesso non aveva più la stretta necessità di confidarsi con lei, dopotutto. E no, stupidi pensieri, non aveva a che fare col perché Lena le aveva tenuto nascosto dei Luthor, ma perché... Sbuffò. Forse era così. Forse era ancora arrabbiata. Forse non le sarebbe passata. Rimise la lettera nella busta. Forse... Riguardò l'anta dell'armadio e strinse la busta della lettera. Sapeva solo che le cose erano cambiate e che non sarebbe riuscita a inviare quel messaggio né gli altri.
«Smettila di sbuffare, ti sento e non riesco a dormire», borbottò lui all'improvviso.
«Smettila tu di muoverti, fai venire il mal di mare. Mica ci saranno le pulci».

«Non sono tanto sicuro che questo materasso non le abbia... Ed è scomodo».
«Non dormirai qui con me».

Lui si zittì, girandosi di nuovo. «Hai trovato qualcosa che possiamo usare contro mia madre?».
«No...», ansimò, «Mia zia sta ben attenta a non nominarla mai, non nomina nemmeno mai l'organizzazione, si riferisce solo ad amici, lavori extra, cose di questo genere». Ne sfogliò alcune e infine mise tutto via, di nuovo dentro la scatola, piegandole per farcele stare. «Pensavi a qualcosa?». Lasciò la scatola ai piedi del letto e si portò sotto le coperte, mettendo occhiali e cellulare sulla mensola.
«Se abbiamo l'arma del delitto, per esempio...?».

«Cosa?». Kara si scoprì di nuovo e abbassò la testa. «Sai dov'è?».

«Mia madre ha una pistola, certo che so dov'è! È nel salotto a fianco alla camera da letto, nella cassaforte incastonata nel muro, dietro un quadro. Ci nascondeva anche dei soldi e andavo a fare rifornimento».

«E me lo dici adesso? Sei qui da giorni, accidenti», gettò una mano sotto al letto e picchiettò a caso, mentre lui si riparava la faccia; all'inizio infastidito e dopo mettendosi a ridere.
«E scusa», sorrise, guardandola. «Sempre così tra noi, eh?».
Il sorriso di Kara, invece, si spense, ritornando a mettersi comoda sul materasso. Gli diede la buonanotte a breve, mentre riprendeva il cellulare e inviava un messaggio a Selina Kyle: non sapeva bene perché, o forse lo sapeva, ma era certa che se avrebbe voluto compiere un'effrazione, lei avrebbe saputo darle dei consigli. Ne inviò uno anche a Kal con gli aggiornamenti su sua zia e dicendogli che forse sarebbe riuscita ad avere l'arma che aveva ucciso Lar Gand.
«Ma fa sempre così? Sono certo di averla sentita anche ieri».
Kara si voltò, ascoltando Megan: «I bianchi... arrivano. No, bastardo, arrivano».
Si accigliò, annuendo. «Yep. Ma credo che il bastardo non sia casuale». Chiusero gli occhi, mettendosi a dormire.
Con grandi probabilità, Kara aveva ragione: Megan aveva lasciato John quando lui le disse del suo reale lavoro. Si era sentita presa in giro e questo stava influenzando sul suo rendimento sul campo di lacrosse, non accettando i suoi suggerimenti e finendo per perdere l'ultima partita giocata il giorno prima. Era contenta che finalmente stesse per finire la sospensione di Kara, così sarebbe tornata lei a essere capitano.
«I bianchi... Ci uccideranno tutti».
Kara riaprì gli occhi di scatto. No, non erano state le parole di Megan: il cellulare vibrò e lo riprese con uno sbadiglio, pensando a chi mai avrebbe potuto risponderle a quell'ora.
Da RagazzaGatto a Me

Our homeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora