2.

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I giorni passarono lenti e lisci, quasi per farci un dispetto, senza cercare di velocizzarsi o almeno rendersi interessanti. Sofia era così eccitata per il concerto, e lo ero anche io. Non vedevo l'ora di cantare a squarciagola con i miei idoli, piangere dalla commozione e vederli lì, davanti a me, consapevoli del fatto che li amavo.

Era la mattina del 2 Dicembre, l'aria era pungente e fredda. Tirai le maniche della felpa sino alle punte delle dita, rabbrividendo appena. I finestrini dell'autobus erano appannati e non davano la possibilità di guardare Londra al freddo, perciò mi trovai costretta a tenere lo sguardo "all'interno" dell'autobus. Come se ci fosse qualcosa di interessante là dentro. Erano tutti così uguali e patetici, mi venivano i brividi solo a guardarli. Tutti così superficiali e squallidi.
Il mio sguardo incrociò erroneamente quello di Grace. Mi lanciò un'occhiata rovente, ma che mi fece quasi rabbrividire. Parlava con dei ragazzi e si vantava delle sue doti da "ballerina" in discoteca, attorcigliando le sue bianche dita smaltate tra ciuffi di capelli biondi. Grace era la classica ragazza bella e impossibile. Impossibile per modo di dire, perché bastava che un ragazzo fosse solo leggermente carino per aprire le gambe. Aveva capelli biondi che arrivavano a boccoli sulle spalle magre, due occhi verdi serpe e un fisico mozzafiato. Aveva tutte le curve al punto giusto. E tutte le caratteristiche per essere popolare. I suoi genitori, entrambi avvocati, l'hanno sempre viziata e coccolata, ha sempre avuto quello che voleva, dal libro nuovo delle Barbie, allo smartphone di ultima generazione. Si avvicinò, agitando il suo fondoschiena come una papera zoppa, e sorridendo appena.
«Mi hanno detto che stasera vai da qualche parte. Dove vai di bello?» disse piegando la testa di lato, con un sorrisetto stampato su quel viso odioso.
«Non ti riguarda.»
«Ah si? Guarda che lo so dove vai. Non sono così stupida, tesoro.». Appoggiò la sua mano sulla mia guancia per accarezzarmi, per farmi sembrare ridicola. Con uno scatto fulmineo, afferrai la sua mano e la staccai violentemente dalla mia pelle.
«Non toccarmi più, serpe.»
«Che maleducata!». Una risatina la circondò. Ora iniziava il vero inferno. Avrebbero assistito tutti alla sua buffonata.
«A me hanno detto che vai al concerto degli One Direction.» si interruppe «Mi hanno detto bene? O la gente...sparla?». Un'altra risatina generale, sempre più numerosa.
«Hai ottimi informatori. Complimenti.»
«Già. E mi hanno detto anche che vai nel back stage. Ma...» si fermò. Voleva pregustare quel momento fino in fondo e preparare il successivo al meglio.
«...devi lavorare per andarci. Oh, povera piccola Sarah. Sarai in forma per farti vedere dai tuoi idoli, no?». Un'altra risata, ancora più forte di quella precedente.
«E pensare che io ci vado senza il minimo sforzo. Che ingiustizia vero? Ma sappi una cosa, non farti bella. Risparmiatelo. Neanche il loro bisnonno ti guarderebbe, fidati. Lo dico per te! Davvero!»
«Ma io non penso che punteranno su una bambina qualunque, no?»
«Cosa hai detto scusa?» rispose lei furiosa. L'autobus si fermò e le porte si aprirono. Guardai prima l'uscita e poi Grace.
«Sei davvero ridicola. Non vado nel back stage perché voglio farmi vedere, tantomeno per mettermi con uno di loro. Io ci vado per ringraziarli di quello che mi fanno provare. E sai una cosa? Me ne sbatto se tu ci vai senza cacciare una goccia di sudore. Io almeno lotto per quello che voglio, e quando l'ottengo, almeno mi sento soddisfatta.». Mi alzai infastidita e schivai tutti i ragazzi, che erano rimasti ad ascoltare la discussione e a osservare la faccia sconvolta di Grace. Mi diressi verso l'entrata a passo veloce, stringendo i denti e cercando di essere forte.
«Sarah!». Mi voltai e vidi Sofia.
«Ehi.»
«Tutto ok?» disse guardandomi
«Certo! Oggi è il 2!». Feci un sorriso falso. Non volevo che si rovinasse la giornata per una stupida oca come Grace, che mi aveva fatta sentire uno straccio.
«Eh già! Oggi è il gran giorno!». Sorrisi. Era così bello vederla felice. Mi rasserenava sapere che la stavo rendendo felice. Entrammo in classe, lei sorridente per davvero e io sorridendo per finta. Lo sapevo che sarebbe finita così, che la gente lo avrebbe scoperto, che mi avrebbero preso in giro. Lo sapevo. E ho preferito andare avanti come una stupida.
Presi posto e tirai fuori il diario e l'astuccio. Infilai fulminea un libro sotto il banco, quando le mie mani toccarono un foglio. Lo presi.
"Buona sfacchinata!" firmato da Grace. Lo accartocciai e lo lanciai nel cestino, senza alzarmi dalla sedia cigolante. Schivai per poco Alex, che guardò nel direzione della bomba di carta. Quando incontrai i suoi occhi, il cuore iniziò a correre, correre e correre. Quasi come se volesse scappare. E in quel momento lo volevo anche io.
«Sarah.» disse piano. Aveva un'espressione così sofferente, che non potei non sorridere appena e ricambiare.
«Ehi.»
«Possiamo parlare?»
«Veramente ora...» ma mi interruppe bruscamente
«È importante.». Lo guardai negli occhi. Si, era importante. Me ne rendevo conto persino io. Abbassai lo sguardo e iniziai a fare tanti cerchietti con l'indice sul banco.
«Ok.». Scostò la sedia di fianco alla mia e prese posto.
Mi sedetti anche io, tirando le maniche della felpa fin sopra le dita. Lo guardai, in attesa che incominciasse il lunghissimo discorso.
«Vorrei cancellare tutto quello che è successo...recentemente. E tornare come prima.»
«Alex.» dissi subito «La penna non si cancella. Si può sbiadire dopo tanto, tanto tempo, ma non si cancella.»
«Non si può parlare con te! Per te sembra tutto irrimediabile!». Prese la penna rossa dal mio astuccio e iniziò a cliccare il tastino in ripetizione.
«Non è questione di 'irrimediabile', è questione di 'non vederti più come prima'. Non puoi pretendere che cambi dal nulla l'idea che ho di te come se nulla di tutto questo fosse successo!»
«Invece si.»
«Alex.». Restai a guardarlo per un po' prima di continuare.
«Dammi tempo.». Tirò un sospiro e si alzò senza parlare.
«Alex! Alex, dai! Non fare così!» ma non ascoltò. Si alzò e se ne andò, senza aggiungere parola. La penna era rimasta li, chiusa. Esattamente come lui. Si era abbandonato, allontanato da me, e stavolta chiuso. Non mi avrebbe dato più possibilità di penetrare della sua vita e di scrivere la nostra amicizia insieme. Presi la penna rossa e la riposi nell'astuccio. La professoressa entrò in classe, Sofia corse a prendere posto vicino a me. Persino una professoressa avrebbe avuto più interazioni con Alex.

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