Parte 23 ~ Cuori spezzati

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La statua lignea di Afrodite veniva portata a spalla dagli ateniesi. Le fattezze della dea ricordarono a Psiche un quadro che aveva studiato a scuola, prima che la situazione diventasse insostenibile e si fosse rifiutato di andarci. La pelle della dea aveva un colorito rosato, i capelli intagliati cadevano in lunghe ciocche sulle sue spalle, e lo scultore con grande maestria aveva riprodotto il panneggio di un abito a fiori. Afrodite aveva un'espressione angelica, sebbene tutti gli uomini avessero imparato quanto crudele potesse essere. Era colpa sua se Psiche era costretto a nascondersi, se tra la gente doveva indossare un mantello ricamato.

Lungo la strada le fanciulle vestite di bianco, nubili, i cui capelli erano ornati di mirto e rose, spargevano lungo la via della processione petali e conchiglie, a ricordo della leggenda che voleva la dea nata dalla spuma del mare.

Psiche sentì la mano di Eros dietro la sua schiena, ne ricavò un senso di protezione, ma il mantello che celava il suo viso era come una prigione. Ricordò le feste nel villaggio vicino a Olimpia a cui partecipava con la sua famiglia, la processione si riduceva a una passeggiata lungo la periferia del paese, alla fine della quale si mangiava nel bosco il cibo che ogni famiglia aveva preparato.

Ad Atene, invece, dopo la processione che riportava la statua al tempio, si banchettava per le strade, con il cibo offerto per l'occasione dalle botteghe e dai negozi che così speravano di ingraziarsi con la loro generosità la dea. Dopo, si esibivano gli artisti in declamazioni poetiche, agoni, prove musicali.

Psiche pensò che il suo momento sarebbe arrivato presto. I fiori inondavano l'aria fresca di maggio di profumi soavi, non dolci e intensi come quelli del castello delle delizie dove ormai viveva da tre mesi, ma abbastanza intensi da stordirlo. Ricacciò indietro il senso di nausea che lo aveva colto improvviso. Lo imputò all'eccitazione e al nervosismo di dover suonare in pubblico. Ma quando?, si domandava. La processione era ormai giunta al termine.

Eros, anche lui, vestito di un mantello ricamato che nascondeva il suo volto, accostò le labbra al suo orecchio. «Ora comincia la vera festa e tu suonerai».

In un momento si ritrovarono nel giardino del castello delle delizie di Eros. Da una delle sale del piano terra proveniva brusio, musica, luci. Ospiti. Prima che Psiche potesse fare domande, vide nell'aiuola due donne ballare a ritmo forsennato. Baccanti. Psiche capì. Il castello era diventato sede di una festa divina e lui, unico umano, era stato accettato.

«Mia madre non c'è», Eros lo rassicurò, «e agli altri non interessa la tua bellezza, alcuni ne saranno felici».

«Afrodite sarà infuriata».

«Non mi importa». Eros lo condusse nella sala, dove uno dei servi aveva già sistemato il suo pianoforte. L'unico ospite che Eros non avrebbe voluto era Kakia, ma non aveva potuto far niente per evitare che venisse: a una festa divina nessun dio poteva essere bandito, e se Afrodite non era lì era solo perché aveva scelto di folleggiare altrove.

Psiche vide un lungo tavolo imbandito. Non mancava la selvaggina su vassoi d'argento, calici colmi di vino, piatti colmi di ambrosia. Davanti agli occhi si era materializzata una ricchezza che non aveva mai conosciuto, ma a interessargli era poter suonare davanti a tutti. Il nervosismo lo assalì.

«Andrai benissimo», Eros lo rassicurò, stringendogli una spalla.

Psiche sedette al piano. Sentì su di sé gli occhi curiosi degli dei che sbucavano attraverso le loro maschere, non si accorse dello sguardo lascivo di Kakia, per lui era solo un dio come un altro. Sfiorò un tasto, poi un altro, e la musica cominciò a fluire dentro di sé e attraverso lo strumento nell'aria. Si fece silenzio, gli dei rimasero incantati ad ascoltarlo e lui se ne rese conto solo quando riaprì gli occhi.

Amore & Psiche (gay story)Où les histoires vivent. Découvrez maintenant