Capitolo 6

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Capitolo sesto

Long live the pioneers
Rebels and mutineers
Go forth and have no fear
Come close the end is near

And I say hey, hey hey hey
Living like we're renegades
Hey hey hey, hey hey hey
Leaving like we're renegades...

It's our time to make a move
It's our time to make amends
It's our time to break the rules
Let's begin...

("Renegades" – X Ambassadors)

Il mattino successivo, alle prime luci dell'alba, Rinaldo e Ormanno Albizzi partirono per il loro esilio ad Ancona. Tuttavia non erano soli: Giovanni li accompagnava e una scorta di otto guardie armate gentilmente prestate da Cosimo de' Medici li avrebbe protetti per tutto il viaggio.

Rinaldo cavalcava con Ormanno accanto a sé da un lato e Giovanni dall'altro ed era talmente concentrato sulla propria autocommiserazione, del tipo Ecco, io devo andare in esilio e Cosimo si fa bello con il Papa e gli fa benedire la Cattedrale, e poi devo essergli pure grato, ho sempre avuto ragione io, di Cosimo non ci si può fidare... e altre stronzate simili da non accorgersi che il giovane Uberti era piuttosto agitato, si guardava intorno con sospetto e pareva aspettarsi un agguato da un momento all'altro.

I tre nobili, scortati dalle guardie medicee, uscirono dalle porte di Firenze e presero la strada che li avrebbe portati, dopo un lungo viaggio, fino ad Ancona, dove appunto gli Albizzi erano stati condannati a trascorrere l'esilio. Ma non era la lunghezza del tragitto o il dispiacere di lasciare Firenze a turbare così tanto Giovanni, era piuttosto quello che aveva letto nello sguardo di Andrea Pazzi dopo che la Signoria aveva votato per l'esilio... nei suoi occhi c'era odio contro Albizzi e... no, forse non era nemmeno odio, era qualcosa di diverso, la rabbia per aver fallito nel suo intento e il livore per dover ricorrere a un piano d'emergenza.

Andrea Pazzi non ce l'aveva personalmente con Rinaldo Albizzi, piuttosto voleva qualcosa da lui.

Voleva qualcosa che era suo.

Il seggio alla Signoria!

Giovanni sussultò. D'un tratto l'idea che Andrea Pazzi potesse aver pagato dei sicari per aggredire Rinaldo lungo la strada non sembrava più tanto paranoica, anzi, diventava fin troppo verosimile.

Dopo un lungo tratto, la strada entrava in un bosco. Il panorama sarebbe stato anche piacevole, ma Giovanni non era nella condizione di spirito necessaria per ammirare le bellezze naturali, la sua agitazione cresceva e alla fine non riuscì più a trattenersi.

"Fermi!" ordinò a tutti quanti, quasi fosse lui a comandare. E infatti tutti si fermarono, non tanto per obbedire a lui quanto perché erano alquanto sorpresi dall'uscita improvvisa di quel ragazzino.

"Che ti prende, Giovanni? Hai cambiato idea e vuoi tornare a Firenze?" fece Rinaldo, al quale già giravano abbastanza i cosiddetti per conto suo e non aveva né tempo né voglia di cedere ai capricci di un ragazzo.

"Parlate più piano, Messer Albizzi, che diamine! Tanto varrebbe suonare le trombe per avvertire tutti che state arrivando" lo rimbeccò Giovanni a bassa voce, avvicinandosi a lui con il cavallo.

"Avvertire chi, si può sapere? A chi accidenti vuoi che importi? Ormai sono stato esiliato, no?"

"Messer Albizzi, a qualcuno questo potrebbe non bastare" replicò il ragazzo, con aria da cospiratore. "Posso dimostrarvelo, se volete. Scambiate il vostro mantello e il copricapo con una delle guardie di Messer Cosimo e fate fare lo stesso a vostro figlio, poi mandate avanti loro due come se fossero voi e Ormanno. Noi tre resteremo in mezzo alle guardie, nelle retrovie."

Vietato morireWhere stories live. Discover now