Quello che senti

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Ho sempre pensato che perdere uno dei cinque sensi dev'essere una delle cose più brutte che può succedere ad una persona. Vivere senza poter più ascoltare il buongiorno della persona amata, non poter sentire il suono della risata del proprio bimbo o non sentire quando cade ed il suo pianto triste. Oppure nascere senza uno dei sensi. Non udire mai la propria voce e non poter mai sentire quell'urlo di dolore che vorresti dare al mondo. Vivere senza mai aver sentito il rumore della pioggia e quindi non conoscere quanto può essere liberatoria quella malinconia che solo il rumore della pioggia che cade può trasmettere. Il suono puro è semplice della pioggia è una cosa rara ormai, non odo più il semplice scendere della pioggia da molto tempo. Il suono delle prime gocce che cadono e via via che passano i secondi, aumenta il ritmo, si fa più intenso e inizia così quel veloce passaggio dalla malinconia alla serenità che per i tempi della sfera emotiva risulta essere un abbandonarsi, dolcemente e lentamente, ai pensieri. Non c'è nulla di più unico di ascoltare la pioggia sul mare, dove ogni goccia che scende si unisce ad ogni goccia del mare e mentre in terra puoi distinguere l'acqua dalla terra, sulla costa non puoi più distinguere la pioggia dal mare. L'increspatura dell'acqua ogni goccia che cade, lo smuovere e cambiare completamente la superficie del mare e successivamente in un secondo ritornare come prima senza che nessuno sappia più notare la differenza tra prima e dopo. Questo mi manca, mi manca non poter più ascoltare quei suoni puliti che la natura sa trasmettere, mi manca quella pioggia nel pineto che ho sempre ascoltato da quando ero bambino. L'unico cosa che adesso sento è il mondo la fuori che oramai non è più il mondo che conoscevo. O meglio, è sempre lo stesso, sono io che forse non so più ascoltare. Un mondo artificiale, fatto di rumori di ogni genere: il treno che passa veloce, le porte dell'autobus che si aprono, i rumori del cantiere accanto, la moto che parte, la macchina che passa, il suono delle dita sulla tastiera intervallate dallo spazio premuto con forza. Il tutto con il canto degli uccellini di sottofondo. L'ossimoro della città che cerca di compensare, al suono del traffico, con quello della natura ed intervalla una zona di verde ad una di grigio cercando di ristabilire, in un futile tentativo, quel rapporto con la natura che ormai è stato perso. Dovremmo tutti scappare ed andare a vivere in una foresta, a vivere come animali e lasciare che la natura piano piano si rimpossessi di ciò che le abbiamo tolto. Ma in realtà siamo schiavi di questi suoni e quelli che hanno avuto il coraggio di abbandonare totalmente questa realtà, probabilmente sono pazzi coraggiosi o dei coraggiosi impazziti. Lascio al lettore la scelta anche se cambia ben poco.

Non siamo altro che contornati da questi suoni che qualcuno chiama inquinamento acustico e che dice sia la causa principale di stress, io lo chiamo inquinamento mentale e dico che è la principale causa della superficialità odierna. Ed io ne sono immerso come tutti fino all'orlo, forse rispetto ad altri me ne sono accorto e l'ho accettato. Se tu lettore ti stai chiedendo perché non faccio qualcosa, vuol dire che ancora non hai scelto tra i coraggiosi e i pazzi, se non te lo sei chiesto vuol dire che ne eri consapevole o che credi siano solo un mucchio di stronzate. Plausibile.

In questi anni mi sono lasciato andare proprio a questo, a questo logoramento odierno e quotidiano che ha distrutto ogni mia capacità di ascolto e mi ha portato a vivere nella città riuscendo a farmi raggiungere la posizione che ora occupo e che mi ha fatto, solo alla terza pagina, iniziare a parlare di me. Questo mondo ci mette al centro e ci fa credere che tutti siamo i protagonisti del teatro della nostra vita. Mi sono sempre chiesto, per chi fosse nel pubblico, se tutti quelli con cui interagisco sono attori e quelli con cui non interagisco non sanno nulla di me.

O semplicemente sono solo egocentrico. O forse devo solo imparare ad ascoltare. Di nuovo.

Siamo il pubblico di un teatro in cui non siamo mai stati attori ma del quale ci siamo finti tali per gli ultimi 20000 anni. In ogni parte del mondo, abbiamo smesso da molto di ascoltarci gli uni con gli altri e l'unica cosa che ci è rimasta è la paura di non sentirci. Siamo tutti schiavi della stessa società dove ognuno dev'essere sentito ma non ci importa se qualcuno ci capisce veramente. Quando questo succede, ci sentiamo amati ed apprezzati. Ci sentiamo, ci risentiamo, ci percepiamo con una sensazione che ci avvolge in modo unico e perfetto perché per un momento ci sentiamo parte di qualcosa senza neanche chiederci se siamo stati capiti. Mi sono reso conto che per ascoltare veramente devo essere ubriaco o sono solo uno che sente. Ossia, come tutti formulo il pensiero mentre la persona che sento deve finire e quindi ha metà frase smetto di ascoltare. Chi dice il contrario o lo nega o è un pazzo che non è abbastanza coraggioso per scappare.

Ciò che sento è il modo in cui vivo.

Quello che gli occhi non vedonoWhere stories live. Discover now