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Si trovavano entrambi raggomitolati sul letto di Irèné, durante un tiepido pomeriggio di una domenica di inizio settembre.
Erano soli in casa: Edith si era recata a far visita al suo ragazzo; Valentine si trovava in giro con alcune amiche, a passare quella domenica in veste di turista, visitando le sale del castello di Provins. Martin era in compagnia del padre di Emil, Vincent, alla falconeria.

I due ragazzi erano abituati a passare insieme anche il loro tempo libero. Si conoscevano da sempre: andavano a scuola insieme; le loro famiglie erano legate da una profonda amicizia.
Sarebbe stato tutto come sempre se, il giovane, da qualche mese, non avesse incominciato a nutrire dei sentimenti nuovi nei confronti dell'altro. Sentimenti che lo facevano sentire in imbarazzo, anche se, teoricamente, era pure abituato a stare a contatto con il corpo dell'amico in modo tanto intimo, come in quel momento, sin da quando erano due bambini.

Ma era tutto diverso, ormai: già da un po', la t-shirt che indossava, durante un precedente movimento, si era sollevata, così come quella di Emil, rimuovendo, in parte, quell'ostacolo tra i loro corpi. L'amico era rimasto impassibile mentre Irèné aveva sentito il cuore come balzargli in gola.
Sapeva di essere arrossito, ma cercò di nasconderglielo, così come tentò di rallentare i battiti del cuore: la sua pelle sembrò farsi ancora più calda, a contatto con quella del moro, facendogli temere di poter essere scoperto dall'altro.

Vide le palpebre di Emil, abbassate sugli occhi scurissimi, tremare appena. Dormiva profondamente, forse stava sognando. Il suo respiro era regolare, il petto si alzava piano, per poi riabbassarsi, seguendo il cadenzato movimento dei polmoni, accompagnandolo in un gesto tanto istintivo ma che, in quel momento, a Irèné parve quasi seducente: si sentì come stregato dal flebile suono del suo respiro, dai lineamenti del viso distesi in un'espressione tranquilla; le ciglia scure e folte ombreggiavano appena le palpebre inferiori. Con gli occhi seguì la curva delle sue sopracciglia, così perfettamente disegnate da Madre Natura.

Non voleva svegliarlo, però, pensò che l'altro non si sarebbe mai accorto della sua effimera carezza: se fosse stato delicato e attento, Emil avrebbe continuato a dormire, mentre lui sarebbe rimasto lì a divorarlo con gli occhi, con il desiderio quasi incontenibile di toccarlo.
Le dita presero a tremare e i battiti del suo cuore accellerarono a dismisura. Tentò una prima carezza, ma dovette fermarsi subito, terrorizzato dall'idea di sollecitargli un qualsiasi fastidio, tale da spingerlo a destarsi. Deglutì un paio di volte, percependo il proprio corpo fremere dal bisogno primordiale di toccare il suo migliore amico.

Si morse le labbra: aveva iniziato a trattenere il respiro, senza neanche accorgersene; i polmoni bruciavano, il fiato si era mozzato. Aveva ripreso a respirare poco alla volta, cercando di non soffocarsi da solo, ma affannosamente e temeva che, quei piccoli rantoli che aveva preso a produrre, finissero per svegliare l'altro.
Finalmente, riuscì a sfiorargli la linea dritta del naso con un polpastrello: la mano tremava per la tensione, scendendo ad accarezzare la morbidezza delle labbra. Lì si soffermò a lungo, sul disegno armonioso, sulla pelle morbida del labbro superiore, su quella appena screpolata di quello inferiore, mentre gli occhi si facevano lucidi a causa di quella che percepiva come un'esigenza quasi selvaggia: baciarlo.

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