Prologo - Se una notte d'inverno un viaggiatore

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Il rigido inverno di Albion tornò ad allungare le sue spire, il sole che sino ad allora lo aveva mitigato svaniva ormai oltre la linea dell'orizzonte. Il crepuscolo stinse il cielo con il suo respiro grigio, mentre lingue di vento soffiavano da sud scompigliando i neri capelli scomposti del viaggiatore. Questi si strinse nella sua vecchia cappa d'orso nero, tirando sul capo il cappuccio. Di fronte alla bocca si addensavano nuvolette di fumo evanescente.
Lanciò un lungo sguardo a valle, lì dove un insediamento se ne stava rintanato in un cerchio di contorti sempreverdi. Le case fatiscenti, di legno e fango, erano strette le une alle altre come un mucchio di corpi infreddoliti. Il viaggiatore allungò una mano a stringere l'elsa che faceva capolino oltre il mantello: un manico più che sufficiente ad accogliere due grosse mani, reso più confortevole nella presa da fasce di cuoio ruvido.
«Mancano ancora diversi giorni alla Capitale.» commentò, con voce cavernosa «Se abbiamo fortuna, potremmo avere un tetto sulla testa stanotte.»
Un brivido freddo gli percorse la spina dorsale, quasi la sua proposta fosse stata realmente ascoltata e approvata da qualcuno. Finalmente libero da ogni esitazione si avviò per lo sterrato, mentre la luce intorno a lui si faceva di minuto in minuto più debole e i rami incombevano come dita di strega: pronte a spogliarlo delle sue vesti, delle carni sotto la pelle, della sua lama.

Lo sterrato si fece una strada appena abbozzata nella terra umida, rischiarata qui e là da fiaccole infisse nel suolo. Il viaggiatore attraversò la penombra, volgendo lo sguardo fra le abitazioni a pianta quadrata fino a quando non trovò ciò che cercava: sotto una finestra coperta da uno spesso strato di tende, era incisa una runa degli antichi dei. Ad un osservatore ingenuo quello sarebbe parso come un incontro di linee causali: segnate da un fortunale o un bimbo senza fantasia. Ma per chi sapeva, voleva dire una cosa sola...

«Sono passati secoli dall'ultima volta che ho sentito qualcuno invocare la legge dell'ospite.» esordì la donna, dopo che suo marito fu uscito dalla porta di casa «Quindi, o siete un sapiente» continuò, lanciando uno sguardo eloquente all'enorme spada in equilibrio contro il bordo del tavolo «o voi siete un Kelta.»
Il viaggiatore osservò la donna, oltre la ciotola di zuppa fumante. Una morbida treccia corvina risaliva dalla spalla al bianco ovale del viso, lì dove erano infissi un paio di penetranti occhi verdi.
«Qualcosa del genere.» mormorò, prima di portare un cucchiaio di minestra alla bocca. Rivoli caldi colarono lungo gli angoli delle labbra, prendendo a pendere dai filamenti di barba ispida.
La contadina espirò rumorosamente, accigliandosi. Sedette, dietro di lei danzavano le allegre fiamme nel caminetto.
«Vorrete almeno dirmi dove siete diretto.» incalzò, incrociando le braccia dinanzi al petto.
Lui spezzò un tozzo di pane raffermo, bagnandolo nella zuppa.
«A nord, verso Camlod.» disse, addentando una fetta.
Lei sbarrò gli occhi, irrigidendosi sulla sua sedia «Ma lì... lì c'è la guerra!» esclamò, conficcando le unghie sporche sul piano del tavolo.
Il viaggiatore sorrise, mostrando i denti d'un bianco stinto «E quella a cosa mi serve, secondo voi?» le rispose, facendo un cenno in direzione della spada.
«Un mercenario...» rimuginò lei, in un lume di mesta comprensione. Sembrava stesse riflettendo su qualcosa, ma i suoi pensieri, qualunque essi fossero, ebbero vita breve. Grida e risa si udirono ovattate oltre le spesse tende che coprivano la finestra. La donna borbottò qualche improperio, accostandosi al davanzale. Ma prima che potesse sbirciare fuori, ricadde all'indietro con un tonfo. Mentre squarci si aprivano lungo il tessuto della tenda e rumori secchi tamburellavano contro il muro.
Il viaggiatore abbassò lo sguardo, senza scomporsi: dalla fronte della contadina faceva capolino un quadrello dal piumaggio nero, avvolto in un nugolo di fumo che andava pian piano svanendo. Il sangue colava dalla ferita in lacrime di rosso denso, scolando attraverso i varchi fra le assi cigolanti.
«Vi ringrazio per l'ospitalità, mia signora.» disse il viaggiatore, prima di vuotare la ciotola in un unico lungo sorso, ripulendosi poi la bocca con il braccio tempestato di bianche cicatrici.

Lungo le pareti di legno e fango secco, intanto il fuoco si faceva strada addensando l'aria di fumo nero. Il viaggiatore sospirò, afferrò la spada ancora infoderata e sfondò la porta con una spallata precipitandosi lungo le vie del villaggio. L'insediamento sino a poco prima silenzioso, s'era adesso mutato in un inferno di fuoco e grida di terrore: armigeri a cavallo serpeggiavano fra le strade, mentre i paesani cercavano rifugio nelle case a cui veniva prevedibilmente dato fuoco poco dopo. Ma sotto tutto quel caos, tuttavia, lo straniero riuscì a distinguere quella vecchia canzone, in equilibrio su voci sguaiate

Fiumi di birra da bere svelto-svelto
Cosce di pollo nel mio pugno stretto
Gambe di donna aperte sul mio letto

Quante meraviglie oh-ehi
Quante meraviglie oh-ehi

Nient'altro che una sporca canzonaccia sputata fuori dalla più squallida delle taverne. Eppure alle orecchie del viaggiatore risuonò come musica celeste: erano stati gli intricati meccanismi del fato a condurlo fin lì. Si lasciò andare ad un ghigno ferale, pregustando la sua imminente battaglia.
«Voi! Voi siete l'ospite di mia moglie, dove-dov'è la mia Lana? Sta bene?»
Il marito della contadina gli si avvicinò con voce lagnosa e tremante, tenendo le mani chiuse sul ventre, dove una lama doveva aver scavato una profonda ferita. Ma il viaggiatore non gli prestò ascolto, il suo sguardo era intento a cercare lui fra quei volti eccitati dalla razzia. Dita rachitiche si serrarono intorno alle sue braccia nerborute, nel vano tentativo di trattenerlo mentre camminava. Lo spadaccino si voltò di scatto e, liberato il braccio dalla presa, scagliò un pugno sulla mascella dell'uomo, scaraventandolo in terra. Sbuffò stizzito, mentre quello moriva all'allargarsi della pozza di sangue sotto le membra, vaneggiando ancora su sua moglie.
"Solo i deboli muoiono." Si disse, non degnando più d'uno sguardo il disgraziato e proseguendo nella sua caccia.

Scandagliò i vicoli, cercò fra le vie principali insozzate di brina ed escrementi, e alla fine lo trovò. Era lì nella piazza centrale, circondato da un brigata dei suoi. Lo straniero avrebbe riconosciuto quel volto fra mille altri: naso aquilino proteso da una faccia schiacciata, su cui scintillavano due piccoli occhietti da scrofa. Il petto cinto da pelliccia di lupo, sotto cui si intravedevano i rossi bagliori di un'armatura d'acciaio. Sopra il suo capo garriva il blasone d'un drago rosso rampante, su uno sfondo candido come neve.
«Gente di Smallwud, questo era un avvertimento! Se entro l'alba non ci sarà consegnata la principessa Astoria Cornwall, questo mucchio di merda che chiamate villaggio brucerà, insieme ad ogni fottuto uomo, donna e bambino che lo infesta!»
Il viaggiatore avanzò, la spada si librò dal fodero con un sibilo sinistro: era un blocco d'acciaio lucido e diritto, sino alla punta a serpentina; con ricasso pronunciato e denti d'arresto affilati come zanne di lupo.
La brigata di soldati si riunì intorno ad occhi-di-porco, levando le balestre in direzione dello spadaccino.
«Qualcosa da reclamare, villico?» lo sfidò la preda, contraendo la faccia schiacciata in un'espressione di puro divertimento.
«Solo la tua testa, Bane.» ringhiò lui, continuando a camminare senza staccare lo sguardo da lui.
Una risata di scherno rumoreggiò fra i soldati.
«Oh, davvero?» sghignazzò quello «Vieni allora, è tutta per te.» e così dicendo schioccò le dita. Pronto a godersi il seppur breve spettacolo.

I dardi squarciarono l'aria con uno schiocco secco, infilzando carne e muscoli attraverso le vesti logore. Il viaggiatore si fermò solo per un attimo, stringendo i denti contro il dolore che gli frustava le membra. Poi tirò un bel respiro e scattò, dandosi la spinta con le gambe: quegli sciocchi non avrebbero caricato un secondo quadrello.

Un soldato sulla sua traiettoria si buttò di lato per non essere travolto nella sua corsa verso Bane, lasciandogli finalmente via libera. Occhi-di-porco ebbe appena il tempo di scoprire i denti, portare la mano alla spada di ferro vile, che la punta a serpentina squartò le sue viscere scivolandovi dentro come fosse un panetto di burro fuso. Un rigurgito rosso spruzzò dalla bocca del capitano, riversandosi in un unico fiotto sul viso del suo assassino. Questi rise, facendo leva sul polso e inclinando la spada verso l'alto. Bane agitò le braccia inutilmente, mentre la pancia gli si faceva strada verso i denti d'arresto.
«Chi-Chi diavolo sei tu?» mormorò col fiato spezzato.
L'assassino leccò via il sangue che era ricaduto sulle sue labbra, rimestandolo lungo la lingua come un sorso di vino raro. L'acciaio vibrante della sua stessa eccitazione. Il viaggiatore non poté fare a meno di sorridere mentre rispondeva:
«Puoi chiamarmi... Zweihander.»

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⏰ Last updated: Jan 04, 2020 ⏰

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L'Epopea dello Swordling (Estratto)Where stories live. Discover now