Prologo: La freccia e il cerchio

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L'eterno è un cerchio, e le vite umane a confronto non sono altro che frecce che vi passano attraverso. Alcune per caso; altre, perché hai deciso di lasciarti colpire, forse miscalcolando la traiettoria, forse sottovalutando il danno.

Che sarà mai, dopo tutto? Cinquanta, sessant'anni: un battito di ciglia, una carezza. Tra una manciata di secoli avrò dimenticato la piega di quel sorriso, il suono di quella risata. La mia mente non può contenere tutti i suoni del mondo mentre scivolo dentro le infinite casalle del tempo. Per proseguire nel mio compito, devo lasciarli andare.

Credevo di essere forte nella mia immortalità.

Ero solo un illuso.

Non sapevo che ciò che ti tocca cambia la tua pelle, né che certi dardi sono fatti per attraversarti e lasciare un vuoto dietro di sé. Non importa che siano passati, perduti sul campo di battaglia – lapidi di legno e metallo senza nome né memoria: ti hanno messo dentro la loro traccia, ormai.

L'intero che eri una volta è spezzato, la cicatrice è qui per restare.

Ridicolo, non è vero? L'umano è morto e sepolto, il suo ruolo nel piano ineffabile è stato giocato fino all'ultima carta. Eppure, tu lo porti ancora con te, e a volte il ricordo fa le tue ali più pesanti e il tuo cuore più lento.

Il breve tocco di quella vita leggera ti ha cambiato per sempre.

Cambiare. Possiamo farlo davvero?

Gli angeli sono come soli fermi in se stessi, non abbiamo bisogno di luce né di calore. Il nostro compito è emanare, non ricevere. Nasciamo perfetti – ma no, perdonate l'errore, la perfezione non appartiene che a Lei. Potrei dire piuttosto che nasciamo adatti, pronti ad adempiere al nostro scopo nell'economia del cosmo.
Gabriel troverebbe di che obiettare anche su questo. Non sono mai stato adeguato, ai suoi occhi. Mai abbastanza integerrimo, abbastanza puro, abbastanza forte. Aziraphale, il Principato sempre in difetto di quell'oncia di Grazia che tutti gli altri angeli possiedono da sempre. Eppure, anche la mia vita è eterna. Anche io sono una forma ripiegata su se stessa; la mia solitudine è quella di tutti gli altri angeli.

Almeno, lo era.

Fino a che non ho lasciato che una linea retta attraversasse la mia vita.

*

Putrefazione. La emanano i vicoli, il rigetto delle fogne, il fango dentro cui annegano cani morti e piedi luridi di bambini.

Così tanti bambini, in questi bassifondi di una Londra che cresce incontrollata. Hanno le facce sporche, gli occhi giallastri, la pelle troppo tirata su zigomi che dovrebbero essere pieni.

Tendono le mani verso Aziraphale, gli tirano il cappotto, chiedono una moneta. L'angelo ne produce una per ognuno, materializzandole tra le dita; poi, manda via i monelli di strada con un piccolo miracolo che li aiuti a dimenticare la presenza dei due angeli tra loro. La moneta?

Trovata nelle fogne. Emersa sulla riva del Tamigi. Scivolata dalla tasca di un signore distratto. La mente umana adora inventare storie ed è rapida a sopperirne di plausibili. Nessuno sospetterà la verità.

Questo angelo, biondo e paffuto e scialbo, è facile da dimenticare. Al contrario delle monete che elargisce, o dell'essere che cammina pochi passi davanti a lui.

Tecnicamente, anche il collega di Aziraphale è un angelo; in realtà, la faccenda è più complicata di così. Sovrapposizione di dipartimenti, esternalizzazione delle mansioni aziendali. Aziraphale sa che non sarebbe saggio indagare sui cavilli di questa insolita collaborazione, e segue docile il lungo tabarro nero che oscilla sulle spalle strette. Per quanto sia indimenticabile, anche il suo compagno passa inosservato. Sotto il cappuccio cupo nessuno ha il coraggio di guardare. I ragazzini scappano via veloci al suo passaggio, il pugno stretto intorno alle monete come se ne andasse della loro vita.

[GOOD OMENS] Orgoglio e Presagi - un retelling di Orgoglio e PregiudizioWhere stories live. Discover now