«Sveglia ciurma, siamo arrivati!» Durante tutto il tragitto l'unica compagnia per Sebastian era stata la radio, dalla quale usciva qualche canzone gracchiata e notizie in cui si diceva che un gruppo di scienziati stava lavorando per capire cosa stesse succedendo al pianeta Terra. Nessuno delle persone in quell'auto ci capiva niente di magnetismi, polarità, nuclei magnetici, ma tutti speravano che chi di dovere fosse più competente e che qualcuno trovasse una soluzione.
«Tia...» Lexi aveva gli occhioni lucidi, il labbro tremolante, sembrava ancora più piccola nel suo sediolino; Hope si girò verso di lei e quando vide che era sull'orlo di una crisi di pianto si slacciò la cintura di sicurezza e scese dall'auto per andare a prenderla in braccio. «Che succede, piccolina?» Scesero tutti, Sebastian era distrutto: guidava incessantemente da ore, contro ogni temperatura e condizione climatica; Lucas e Nicholas si erano appena svegliati ed avevano fame, mentre Meredith e Laurel erano intorpidite per aver dormito una accanto all'altra nel retro del furgone. Alexis aveva avuto un incubo in cui Hope veniva schiacciata da un masso dopo un'esplosione e Nick e Luke si erano persi in un bosco correndo con le biciclette. La ragazza spiegò alla bambina che era stato tutto finto, che come poteva vedere stava bene e che nessuno si era perso o allontanato, le fece un po' di coccole e per strapparle un gran sorrisone le diede un po' di cioccolato col riso soffiato – la sua preferita.
Ellie era ancora scossa dalla litigata con i suoi genitori, ogni tanto tremava e si guardava attorno spaventata come se temesse che qualcuno da un momento all'altro potesse colpirla, strattonarla o comunque farle del male, ma cercava di dissimulare tutte le brutte sensazioni, nascondendosi vicina a Meredith; quest'ultima cerava in tutti i modi di tranquillizzare la sua ragazza, di darle forza e coraggio, di dirle che sarebbe andato tutto bene. «Okay fratellone, ora siamo a Chicago, che si fa?» «Eh, bella domanda Merry, non ne ho idea. Per ora questa era la città più vicina meno colpita, pare abbia a che fare con la densità dell'aria, non ho capito bene cos'ha detto la radio. Che ne dite, cerchiamo un posticino in cui andare a mangiare? E magari anche farci una bella doccia?» Tutti annuirono, i bambini erano affamati e Hope non poteva continuare a sfamarli con merendine e sandwich, quindi cercare un ristorante aveva la priorità; cercò su Google, dopo qualche minuto che si guardavano attorno invano, e scoprì che a pochi passi da loro c'era un McDonald's, forse non era la cosa più sana del mondo, ma dopo tutto quello che stava succedendo pensava che uno strappo alla regola si potesse fare.
«Ho chiamato mamma e papà. Stanno bene, sono chiusi nel bunker, ma la terra trema ancora.» Meredith era stoica, appariva tranquilla ma aveva il respiro corto e le mani le sudavano, se ne accorsero subito sia suo fratello che Ellie. «I miei genitori neanche mi rispondono...» Laurel mormorò senza dar troppo nell'occhio, ma Hope la sentì chiaramente ed una stretta allo stomaco le fece venire gli occhi lucidi: come si poteva essere così crudeli con una figlia? Solo perché amava un'altra ragazza, tra l'altro. Certa gente non meritava il titolo di genitore. «Sapete che vi dico ragazzi? Dobbiamo stare tranquilli: i nonni stanno bene, noi siamo tutti insieme e stiamo per mangiare una marea di patatine fritte! Magari lì fuori fa un po' paura, ma ehi: a chi non piace l'avventura?» Hope aveva un'allegria contagiosa, sorrideva e tutti erano portati a farlo a loro volta, era una sorta di potere magico. Suo fratello aveva sempre sostenuto che derivasse dal nome: "Hope", speranza, lei la portava, ovunque andasse, in qualunque situazione. Sebastian acconsentì più volte col capo, come ad enfatizzare le parole della sua ragazza: la guardava e se ne innamorava ogni volta di più.
«Meredith ti posso fare una domanda?» Erano tutti seduti nel locale, chiacchieravano e si godevano la musica di "radio McDonald's", non c'era praticamente nessuno tranne loro: strano che fossero aperti, in realtà, pensarono; Nick poi se ne uscì con quella domanda, mentre stava addentando una patatina – infatti sua zia lo sgridò per aver parlato con la bocca ancora piena. Mer si girò verso il bambino, annuendo per dargli il permesso di farle la domanda. «Perché tu stai con una ragazza e non stai con un maschio?» Calò un attimo di silenzio misto a panico; Mer ed Ellie si guardarono senza sapere cosa dire o fare, così entrambe rivolsero lo sguardo ad Hope e Sebastian, come a dire "siete voi gli adulti, risolvetela voi". Fu Hope ad iniziare il discorso, rendendosi conto che toccava a lei. «Succede spesso Nick, una ragazza può amare un ragazzo come può amare una ragazza. A volte può amare entrambi!» «E vale anche per i maschi?» Forse era un po' imbarazzante, ma si schiarì la voce e decise che non doveva farsi frenare dalla vergogna: annuì, gli spiegò – a lui ma anche agli altri due bambini – che non c'era assolutamente nulla di strano nell'amare qualcuno che fosse del sesso opposto o meno. Voleva far capire a quei tre bambini, ma forse anche a Laurel e Meredtih, che l'amore non è mai un male, che finché c'è l'amore puro si può sempre trovare una soluzione, che chiunque discrimini qualcuno solo perché ama una persona del proprio stesso sesso non merita altro che compassione. Ogni tanto gettava qualche occhiata ad Ellie, per osservare le sue reazioni, sperava che con il suo discorso non la facesse stare peggio, dato che il suo intento era l'esatto opposto; ed infatti le capitò di vederla con gli occhi un po' lucidi, ma un sorriso dolcissimo sul viso.
Sebastian osservava la scena con un religioso silenzio: sua sorella era decisamente un'altra persona da quando aveva rivisto Laurel: glielo leggeva in faccia che quelle due si amavano; ed osservava Hope: come poteva non amarla? Così dolce, così forte, così fragile, così coraggiosa. Pensò che, in mezzo a quel caos totale, era paradossalmente fortunato ad avere accanto le persone che più amava.
«Doccia e poi nanna?» Erano riusciti a trovare un piccolo bed and breakfast ancora intatto in un quartiere tranquillo, non troppo affollato. Era l'ideale poiché non c'era molta gente che si accalcava per strada o nell'edificio stesso quando c'era qualche scossa, ma non erano neanche totalmente isolati; presero due stanze: per quanto Seb non volesse ammettere che sua sorella era ormai un'adulta, dovette riconoscere che aveva bisogno, assieme alla sua ragazza, di un po' di privacy; così sistemarono i bagagli negli armadi, lasciando comunque tutti gli abiti nelle valige, cercarono un supermercato e fecero un po' di provviste, la situazione sembrava stranamente tranquilla eppure Hope aveva sempre quella stretta allo stomaco che non la lasciava respirare.
Era notte, i bambini si erano addormentati mentre Hope e Sebastian parlavano sul balconcino della loro stanza cercando di non fare troppo rumore: «Ho paura che stia per succede qualcosa Seb, non so perché, ma ho ancora questa dannata sensazione.» «Cerca di stare tranquilla, okay? Non so se siamo fuori pericolo, ma per ora cerca di non pensarci troppo. So che è difficile, ma pensa a cosa ti avrebbe detto Will.» E Hope sorrise, nonostante le lacrime le rigassero il volto: Will, il suo fratellone, l'uomo più in gamba del mondo. «Raccontami di nuovo perché vi hanno chiamati Hope e Will, ti va?» Solo Sebastian sapeva quanto quella storiella riuscisse a calmare la sua ragazza – forse perché solo a lui l'aveva raccontata. Hope tirò su col naso, respirò a pieni polmoni e poggiando la testa sulla sua spalla iniziò a raccontare. «Sai che i miei sono persone stoiche e piatte, però credono nel potere delle parole. E volevano che i nomi dei loro figli avessero dei significati... buoni.» Fece una piccola pausa, aggrappandosi al braccio del suo compagno come se volesse fuggire da un ricordo doloroso; la voce si fece tremante, era in lacrime ormai, però continuò a parlare, fissando il vuoto come se così fosse più facile restare concentrata «Hope vuol dire speranza, lo sappiamo, l'hanno scelto a posta: pensavano che con un nome così dolce e allegro io portassi un po' di speranza nel mondo, Will era convinto che io ci riuscissi infatti.» Un'altra piccola pausa, ormai non riusciva a soffocare le lacrime, ma certo non voleva svegliare i bambini. «Will invece è l'ausiliare per i verbi al futuro. Lui doveva essere una sorta di "messaggero", qualcuno che vedeva sempre avanti con ottimismo. Perché il futuro è incerto, ma proprio per questo può essere bellissimo. Insieme, poi, dovevamo essere appunto questo: messaggeri di speranza per chi orbita nelle nostre vite.» E lì il pianto non fu più gestibile, scoppiò come una ragazzina anche se Seb la strinse forte a sé facendole nascondere il viso nel proprio petto. Non era preoccupato, perché sapeva che stava sì piangendo ma non era un pianto triste: era liberatorio. Da quando il mondo sembrava stesse finendo lei si era sempre mostrata tranquilla e risoluta, perché ovviamente i bambini contavano su di lei, ma ora si stava sfogando ed era perfettamente normale. La coccolò dolcemente, per qualche minuto, pronto a farla sorridere appena ce ne fosse stata occasione; la guardava, così piccola tra le sue braccia eppure così forte da sopportare il peso delle responsabilità che tutto ad un tratto si era ritrovata a dover sostenere. «Hope... mi sposi?» E la ragazza si bloccò: non pianse più, il respiro le si era bloccato in gola, gli occhi erano ancora lucidi ma un sorriso stava nascendo sul suo viso arrossato dalle lacrime. «Assolutamente sì.» Si baciarono, forse ridacchiarono anche, ma cercarono di fare tutto silenziosamente. Sembravano due ragazzini al primo amore.
Andarono a dormire dopo un po', rendendosi conto che dovevano per forza di cose riposare anche se avrebbero volentieri fatto l'amore tutta la notte, ma i bambini erano in stanza con loro e certo non avrebbero rischiato.
La mattina dopo furono svegliati da una nuova scossa, lunga diversi secondi. I bambini si misero ad urlare, Meredith e Laurel rimasero in camera loro nascondendosi sotto l'arco della porta così da proteggersi, mentre Hope e Sebastian si mossero in fretta verso Lexi e i suoi fratellini per portarli accanto ai muri portanti dove era meno rischioso stare. Erano tutti stanchi di quella situazione, di sentirsi impotenti, ansiosi, ma non ci potevano fare nulla se non aspettare.
Quando la scossa finì si riunirono tutti, Sebastian abbracciò sua sorella, Hope accarezzò il viso di Ellie come se la conoscesse da sempre, i bambini si tranquillizzarono moltissimo. Lessero su un giornale online che era una scossa di assestamento, che le trombe d'aria si stavano placando, che i maremoti erano cessati. Che diavolo stesse accadendo, non lo sapeva nessuno.
La situazione fu critica ancora per diverse settimane, settimane in cui il mondo sembrava paralizzato, terrorizzato dalla possibilità che tutto ricominciasse impetuosamente. La famiglia allargata rimase a Chicago per quasi un mese, quel b&b era ormai diventato una vera e propria casa per loro, i proprietari si univano spesso a loro per cena, forse per avere un briciolo di illusione che tutto andasse bene.
«Tornerai dai tuoi genitori?» era notte fonda, Meredith e Laurel erano nel loro letto, dai corpi accaldati e i capelli arruffati si intuiva che avessero appena finito di fare l'amore, Mer teneva un braccio attorno alle spalle della sua ragazza e quest'ultima si era accoccolata contro il suo petto. «Credo che almeno debba andare a riprendere le mie cose... dove andrò? Mer, sono terrorizzata, te lo giuro» Sospirò flebilmente, gli occhi le erano diventati lucidi, Meredith non poté che stringerla forte a sé. «Andrà tutto bene, troveremo una soluzione. Insieme possiamo farcela. Tranquilla amore.» Si addormentarono così, abbracciate e un po' tristi, ma insieme.
[...]
Passarono tre mesi.
Erano tutti tornati a casa propria, il mondo era tornato a vivere. Le tempeste erano andate via proprio com'erano arrivate: dal nulla, senza lasciare tracce se non case distrutte, strade lacerate dalle radici degli alberi, negozi distrutti dagli sciacalli. E ovviamente traumi abbastanza profondi nella psiche di chiunque si fosse trovato, almeno una volta, a contatto con la paura di morire (o di veder morire qualcuno a cui tenevano).
«Tutto bene?» Sebastian era appena arrivato in quella che ormai da un paio di settimane era non solo casa di Hope ma anche sua. Si avvicinò alla sua fidanzata e le diede un bacio sulla guancia. «Sì, sono solo un po' pensierosa...» Non servì che lei aggiungesse altro, Seb sfoderò un gran sorriso e l'abbracciò forte. «So che senza tuo fratello non sarà la stessa cosa, ma ti prometto che sarà bello lo stesso, domani» «Sarà bellissimo, perché ti sposerò e non vorrei nient'altro al mondo»
Il giorno dopo, infatti, tutti i parenti più stretti di Sebastian e di Hope si riunirono a casa dei due, nel loro giardino perfettamente addobbato con lucine e fiori e candele. Sebastian aspettava la sposa all'altare, Hope arrivò con un abito bianco lungo e stretto accompagnata da suo padre mentre Lucas e Alexis portavano le fedi, a Meredith spettò il compito di testimone per suo fratello mentre Lola era la damigella d'onore di Hope. Erano tutti insieme, persino i genitori di Laurel capirono che cacciare la propria figlia solo perché amava un'altra ragazza era da folli e si riunirono, con la promessa di far incontrare le due ragazza più spesso possibile.
I brutti ricordi del disastro mondiale sembravano così lontani e loro erano così felici.
Il sacerdote fece leggere le promesse, poi disse le solite frasi di rito e alla fine disse che potevano baciarsi «Ti amo.» disse lui, «Ti amo.» rispose lei, poi si baciarono e iniziarono i festeggiamenti.
Una nuova vita insieme, con la consapevolezza di aver già affrontato tante sfide che potrebbero sembrare insuperabili.
Un amore che risplende come il Sole dopo una tempesta.
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𝑪𝒊 𝒔𝒂𝒓à 𝒊𝒍 𝑺𝒐𝒍𝒆 𝒅𝒐𝒑𝒐 𝒍𝒂 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒆𝒔𝒕𝒂
AdventureUna famiglia poco convenzionale costretta a fuggire da qualcosa che sembra stia distruggendo l'intero mondo; uno spaccato vita alterato da calamità tutt'altro che quotidiane. Riusciranno a salvarsi, mettendo al primo posto la famiglia e l'amore reci...