*Louis' POV*
Ho aspettato con angoscia che arrivassero le quattro del pomeriggio, incapace di fare qualunque cosa, perfino di pensare; continuavo a ripetermi che non avevamo perso tempo, e che Harry se ne era dovuto andare per cause estremamente importanti. La vocina mi ha supportato, fino a un certo punto, ma poi la sua vena malvagia è tornata a regnare, e mi ha sussurrato cose come "magari non gli è piaciuto" o "magari è stanco di te", e lì il panico è tornato a farsi sentire.
La testa stretta fra le mani, ho pensato che forse mi stavo davvero innamorando di lui. Per la verità ne avevo quasi la certezza, e, cosa ancor più importante, tutti i segnali: le mille volte che sono arrossito sotto il suo sguardo, le fitte di gelosia provate al solo pensiero del suo corpo steso nel letto di un altro, il cuore che sembra sciogliersi sotto il suo tocco, leggero il più delle volte.
Ma è stata soprattutto la mancanza a farmi pensare che forse stessi covando qualcosa: la sensazione che mi trasmette l'immagine di Harry mentre se ne va, lasciandomi solo, sebbene io sappia che non sia un addio, ma un semplice arrivederci. Per mancanza intendo tutto ciò che di più triste, e solitario, e malinconico esista al mondo; tutto ciò che ha il potere di prendermi e farmi sentire nulla più di un guscio svuotato di carne ed anima.
Le attese quattro pomeridiane sono passate, e i minuti continuavano a scorrere. Ho afferrato il telefono, pensando che forse mia madre mi avesse scritto, dicendomi che avrebbero tardato, ma la casella dei messaggi era intatta, e il registro chiamate praticamente immacolato.
Ho capito che avrei dovuto fare qualcosa, e per qualcosa non intendevo starmene seduto sul letto sul quale avevo da poco fatto sesso con Harry cercando risposte nei miei pensieri confusi. Dovevo trovare un'attività soddisfacente, un'attività che mi aiutasse a staccare la spina (metaforicamente parlando, si intende) del cervello per un po'.
La prima cosa che ho fatto è stata raccogliere il vestito verde strappato, quello che Harry aveva detto di aver trovato nel reparto per bambini. Una volta che lo ho guardato meglio, ho capito che probabilmente stava dicendo il vero: la taglia era davvero striminzita, eppure mi era calzato a pennello, senza mai darmi una sensazione di fastidio o di stretta mortale come certi vestiti a volte mi danno.
Il cappello da Babbo Natale indossato da Harry era a pochi centimetri da noi, ancora sporco e appallottolato. "Sporco di lui" ho pensato ricordando l'esatto momento in cui Harry venne, riversandosi completamente sul proprio stomaco. Una visione paradisiaca che tutti meriterebbero di vedere almeno una volta nella vita, nonostante la mia gelosia cronica mi ha subito suggerito che, se solo ci avessero provato, li avrei fatti a pezzetti. Non male, insomma.
I minuti continuavano a scorrere, e di mia madre nemmeno l'ombra. Ho provato a chiamarla, sperando che mi rispondesse, e non perché fossi spaventato. Il problema era il dover stare in casa da solo dopo quello che era successo con Harry, dopo che tutti quei pensieri terrificanti avevano deciso fosse arrivato il momento di bombardarmi di negatività la mente.
Mi sono abbandonato su una sedia al tavolo della cucina, stremato psicologicamente ancor più che fisicamente. Con la mano ho rovistato nel porta giornali, dal quale ho estratto una serie di riviste di cucina che mi hanno annoiato a morte fin dal primo istante; così le ho rigettate dall'Inferno dal quale erano venuto, e ritentando ho avuto più fortuna. "Un giornale sportivo" ho pensato, soddisfatto. Certo, era vecchio, datato almeno tre mesi prima, ma lo sport era sempre stato in grado di smuovere i miei sentimenti, soprattutto quando si trattava di quella parte animalesca che il più delle volte se ne stava assopita in un angolo remoto del mio essere.
Mi sbagliavo, chiaramente. Nemmeno il calcio è stato in grado di sortire l'effetto desiderato, così ho lasciato perdere, e mi sono coricato sul tavolo, la schiena spinta in avanti e le mani aggrappate all'altra estremità, come un naufrago farebbe con un tronco di legno galleggiante; come un disperato farebbe con la sua "ultima possibilità".
STAI LEGGENDO
No Control
Fanfiction«Erano solo due ragazzi di diciotto anni coinvolti in qualcosa di più grande di loro; due ragazzi che, nel bene e nel male si davano amore; facevano l'amore. Ed erano i loro corpi sudati, le loro mani congiunte, i loro respiri affannati che spesso p...