2. Non esiste

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«Ti senti anche tu un ricercato?»
«Esatto. Tipo mafioso pluriomicida»
«Ti senti anche tu tremendamente in colpa?»
«Sono terrorizzata»
«Magari abbiamo la polizia alle calcagna da sabato»
«Magari hanno messo una taglia sulle nostre teste»
«Forse dovremmo spegnere i cellulari. Siamo rintracciabili»
«Io non voglio finire in galera»
«Ma neanche io. Ho già prenotato la settimana bianca a Chamonix»
«Sono innocente. Dovremmo costituirci», sistemo gli enormi occhiali da sole sul mio naso e continuo a camminare a passo spedito in Rue du Portier. Il foulard di seta che ho in testa, insieme all'impermeabile nero e i mocassini Gucci, mi fanno sentire la protagonista di un film poliziesco che finirà malissimo. Sono passati appena quattro giorni da quando abbiamo accidentalmente spinto giù dal burrone la macchina di Neth, e i miei incubi momentaneamente sono occupati dalle notizie che appariranno sui giornali al nostro arresto.
Non riesco a credere che ce ne siamo andati come se nulla fosse.
Come se non bastasse, il mio perenne stato d'ansia si è triplicato a causa della ricerca di un appartamento a Monte Carlo, il più lontano possibile dalla casa dei miei e da quella di Ginevra a Lugano. Non pensavo che sarebbe stato un tale problema trovare una casa e trasferirmici, ma tra gli allenamenti e le sedute dal fisioterapista, gli incontri con gli sponsor e l'eccessiva ansia per la mia entrata nella scuderia Ferrari non sono riuscita neanche a prendere una stanza in hotel. E adesso, oltre ad essere probabilmente ricercata dalla polizia, sono pure in pianta stabile nella villa di Ludovico da due settimane buone.
«Scherzi? Quello ci fa uccidere. Come minimo affitta un sicario» ribatte lui, che in cappotto lunge e nero e occhiali da sole è entrato perfettamente nella parte del mafioso ricercato. Tanto per rimanere sul classico e non dare nell'occhio abbiamo anche comprato un SUV nero, con la speranza di non essere arrestati prima di subito.
«Non mi sono sentita così in colpa neanche quando ho schiantato la mia prima Maserati contro un muro» sbuffo io, accelerando il passo.
«Io credevo che dare fuoco a un atelier Valentino fosse al top delle mie capacità, ma questo rasenta l'incredulità» replica Ludovico, con le mani in tasca e il viso basso. Mi ricordo perfettamente quando, a diciannove anni, lui e suo fratello sono tornati a casa scortati dalla polizia e praticamente carbonizzati, in seguito a un'increscioso incidente con una decina di lampadine.
«Forse dovremmo scappare»
«Ancora?» chiedo incredula, pronta a ricordargli che l'ultima volta ci ha solo portato ansia e paranoie.
«Che ne so, rifugiarci alle Seychelles e stabilirci lì finché quel poveretto non muore»
«O magari gli regaliamo un paio di isole delle Bahamas. Avevo sentito che Daniel Copperfiel ha messo in vendita Musha Cay»
«Senti, gli abbiamo distrutto la Ferrari, mica dato fuoco a sua moglie» sbotta Ludovico, stufo. Io scrollo le spalle in risposta, quindi lo precedo svoltando Avenue de Grand Bretagne. L'aria fresca di inizio Marzo muove la mia frangetta sulla fronte, facendo svolazzare il foulard dalla stampa tropicale.
«Che civico è?» mi domanda Ludovico, osservando la schiera di palazzi alla nostra destra.
«Il quindici», replico con una smorfia, chiedendomi per l'ennesima volta se sia il caso di prendere una casa a meno di ottocento chilometri da quella dei miei parenti più prossimi. Ci avviciniamo in silenzio a un portone in legno lucido, quindi chiediamo al portiere di avvisare l'agente immobiliare che siamo arrivati. Appena tre minuti più tardi siamo ingabbiati in un'ascensore tutto vetri e probabilità di cadere, con il fiato corto e l'ansia come girocollo.
«Proprio una Ferrari dovevamo sfasciare? Non potevi puntare alla Audi più vicina che c'era?»
«Cassy, non ricominciare» mi blocca lui, alzando una mano. Io mi mordo il labbro, al limite della mia pazienza, e batto un piede a terra con flemma. Rimaniamo in religioso silenzio fino a che l'ascensore non si ferma all'ultimo piano, quindi Ludovico mi porge il braccio in una muta richiesta di scuse, e io mi avvicino con una smorfia divertita. Usciamo dall'abitacolo lentamente, quindi ne approfitto per sussurrargli qualche parola.
«Sono in ansia» ribadisco per l'ennesima volta, agitando le dita smaltate di rosso per farmi aria.
«Stai calma, respira e non-»
«Buongiorno!» squilla la donna che ha appena aperto la porta di scatto, sfoderando un sorriso smagliante.
«Salve» la mia voce si incrina leggermente mentre le allungo una mano, osservando per un breve attimo il taglio corto della signora e i capelli neri. I suoi occhi, di un verde acquoso, mi passano in rassegna fino a posarsi su Ludovico. La sua espressione entusiasta si smorza un po' appena realizza di avere davanti due che sembrano appena usciti da un covo della Ndrangheta. O forse somigliamo più a due evasori fiscali con un bel conto in una banca svizzera.
«Siamo qui per vedere l'appartamento» precisa il mio amico, con l'aria di uno che sta per confessare i reati di una vita da reietto.
«Oh, ma certo» replica lei, recuperando le speranze. Si sposta di lato per permetterci di entrare, quindi mi guarda attentamente mentre apro l'impermeabile e sfilo anch'io gli occhiali ingombranti. Un'ingresso luminoso dal pavimento di parquet mi accoglie, insieme a un buon profumo di pino.
«Ci sono molti vicini?» chiede Ludovico, guardandosi attorno. La donna schiude le labbra, valutando per la seconda volta l'idea di avere degli spacciatori in casa.
«È una zona molto trafficata?» continua il mio amico, perfettamente a conoscenza della mia insonnia.
«C-che cosa?» balbetta lei, torcendosi le mani.
«Insomma, c'è molta gente qui in giro?» taglio corto io. Lei sbianca nuovamente, con il respiro affannato.
«Ci farebbe la cortesia di rispondere?» chiede Ludovico, con voce glaciale.
«Molti appartamenti adiacenti sono occupati. Di proprietà» risponde lei finalmente.
«Sono molto rumorosi? Li definirebbe vicini affidabili
«I-io-»
«Non vorremmo causare disturbo, sa, con qualche inconveniente» aggiungo io, con una smorfia. Gli inconvenienti che intendo io sono feste che si protraggono fino alle sette di mattina, ma lei sembra sentire la parola droga in ogni mia frase, tanto che comincia pure a sudare.
«È una zona...tranquilla» soffia terrorizzata.
«Avete una cantina?» domanda Ludovico, con le mani in tasca.
«U-una cantina?»
«Una cantina, uno scantinato, qualcosa sottosuolo, insomma. Di insonorizzato, magari» conclude stringendosi nelle spalle. Quello a cui mira lui è un posto dove mettere un paio di kart privati, ma la donna continua a indietreggiare.
«Insonorizzato?»
«Sì, privato e discreto»
«Abbiamo un cortile» propone spaventata.
«A me servirebbe uno spazio chiuso e asciutto, per le mie bambine» m'intrometto, rendendomi conto solo dopo qualche secondo di quanto suoni strana e inquietante la mia frase.
«Scusi, bambine?»
«I nostri gioielli» mi corregge Ludovico. «Niente di che. Per puro divertimento»
«Sarebbero innocui» aggiungo io. «E non ci sarebbe bisogno di mettere in mezzo la poliz-»
«Pulizie. Puliremmo tutto noi» mi blocca Ludovico, sfilandosi gli occhiali da sole.
«Certamente. Le pulizie»
«Potrei affittare lo scantinato» mormora lei, con un filo di voce.
«Perfetto» esclama Ludovico. «La stazione di polizia più vicina, invece?».
Dio, che casino.

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***

Se c'è una cosa vera che mi ha detto mio padre, questa è che se sei disposto a pagare avrai quello che vuoi. E questo me lo ripeto mentre mi chiedo perché mai io paghi un'insegnate di pilates se quello che vorrei è una crêpes alla nutella.
«Devi alzare il bacino e spingere con i muscoli delle braccia, Cassandra. Non piegare le ginocchia» mi riprende Alice, la quarantenne satanica che si occupa tre volte a settimana di farmi improvvisare koala.
«Non sto piegando le ginocchia» ringhio con la voce incrinata per lo sforzo, mentre il suo studio si capovolge davanti ai miei occhi. Se c'è una cosa che non so fare, invece, questa è stare a testa in giù.
«Lascia che si raddrizzi naturalmente la schiena» mi suggerisce, premendo due dita sulla parte bassa della mia spina dorsale.
Mi fai male, Satanella.
«Sono nata storta» borbotto contrita, quindi contraggo gli addominali e allungo le gambe il più possibile, cercando di non pensare ai cinque minuti che mi separano dalla fine di questa tortura.
«Tieni il core, tienilo»
«Ma che cazzo vuol dire tienilo?» sbraito io, rischiando ogni secondo di più di finire con il culo a terra.
«Adesso inarchi la schiena piano mentre pieghi le ginocchia»
«Non sono capace»
«Cassandra» mi ammonisce lei, con voce severa.
Brutta megera, io sto soffrendo qua sotto.
«Ahia, ahia, ahia» trattengo un'urletto e poggio il primo piede a terra, quindi crollo definitivamente a terra come un sacco di patate.
«Cassandra! Ti mancava così poco per finire l'esercizio!» mi riprende fissandomi negli occhi. Passano alcuni secondi di silenzio; io che la guardo, stesa a terra e con una gamba piegata verso l'esterno, e lei in piedi, pronta ad uccidermi.
Ad interrompere la quiete è la mia sobrissima suoneria, una strofa da Parents di Yungblud. Alice sobbalza, mentre io mi tiro a sedere con un gemito di dolore. Recupero il mio cellulare dalla tasca della mia giacca di pelle e sospiro, scorgendo il nome della mia addetta stampa sullo schermo.
«Pronto?», rispondo con la voce di una diretta al patibolo.
«Cassandra Grimaldi! Dove stracazzo sei finita?»
«Di sicuro non a divertirmi» ribatto duramente, guardando una delle macchine infernali di Alice. Questi aggeggi promettono muscoli allenati, e poi hanno tutto l'aspetto di nastri trasportatori del supermercato.
«Dovresti essere a Maranello!»
«Maran-Maranello! Certo», soffoco una quantità ingente di imprecazioni e mi mordo le dita.
«Dimmi che non sei a Monte Carlo» ringhia Giulia, mentre io agito in aria una converse all star rossa, esattamente come la Ferrari, che ha sede a Maranello.
«I-io? Figurati, sono già vicino Modena. A che ora è l'appuntamento?»
«Tra due ore. Vedi di arrivare in orario» ribatte dura, quindi riattacca.

«Ma porca miseria» borbotto due ore dopo. La mia voce si perde nel silenzio dell'abitacolo, spezzando la tranquillità solitaria che regna nella mia Porsche. Sono tanto vicina al ritardo quando a una crisi di nervi. Maranello è una cittadina spersa nel nulla assoluto, con un traffico a dir poco ridicolo e una quantità di bei ragazzi impressionante. Premo il piede sull'acceleratore e mi avvicino alle cancellate d'ingresso della sede principale Ferrari. Freno all'ultimo, abbassando il finestrino con un pizzico di stizza.
«Sono Cassandra Grimaldi» pronuncio con voce seria alla guardia.
«Documento, prego»
«Senta, sono in ritardo e-»
«Documenti» ah, ti faccio lincenziare appena metto piede dentro quel posto.
Mi abbasso per frugare nel mio zainetto, traendone la carta d'indentita. Lui la esamina attentamente, quindi fa segno di lasciarmi passare. Entro nel parcheggio con un ritardo che ammonta a dieci minuti scarsi e mi complimento con me stessa per non essermi fermata al primo autogrill per strada e aver preso una confezione di Pringle's. Proprio mentre sto ragionando sulle probabilità che ci siano distributori automatici nella sede Ferrari, la mia manovra viene intaccata da qualcosa, o meglio: qualcuno, che viene urtato dalla mia macchina mentre sta passando.
«Porca troia!» pronuncia una voce virile, tanto roca da farmi ghiacciare il sangue nelle vene.
Non è vero. Non può essere.
Mi volto di scatto, scorgendo la figura inconfondibile di Neth. O quello a cui ho sfasciato la Ferrari, se vi suona meglio. Spengo il motore ed esco dalla mia auto, recuperando con una mano il mio zainetto. Lui mi guarda in cagnesco, premendosi le mani sul ginocchio destro.
«Ancora tu?!» ringhia furioso. «Ti paga qualcuno per mettermi i bastoni tra le ruote?»
«Tutta fortuna tua, carino» borbotto irata, inserendo l'antifurto. A questo punto il mio ritardo si allunga, e pure parecchio. Lui rimette la gamba a terra con una smorfia sofferta e comincia a zoppicare verso l'edificio dall'altra parte del parcheggio, prendendo la strada a destra.
Ma 'sto tizio sta sempre tra le palle?
Sbuffo rumorosamente e mi incammino verso sinistra, attraversando il piazzale con passi veloci. Comincio a pensare di avere problemi alla vista quando vedo il bel rompipalle dall'altra parte della strada. I nostri occhi si incrociano per un breve istante, prima che scivolino verso l porta dell'edificio. Accelero il passo, e vedo che lui non molla di un millimetro. Rasento la corsa mentre tento di arrivare prima di lui, tenendo lo sguardo fisso sulla sua figura avvenente. È effettivamente il mio esatto opposto: capelli piuttosto lunghi, biondo scuro, pettinati all'indietro, occhi grigi e penetranti, camicia nera sbottonata fino alla terza asola, cappotto scuro e jeans chiari che scommetto fasciano il notevole lato b che si ritrova. Le sue scarpe lucide battono sul cemento con un suono ovattato ma pulito, al contrario delle mie sneakers, che raschiano il suolo per la velocità. I miei jeans skinny mi fanno effettivamente sentire una ragazzina, e la mia t-shirt bianca sotto la giacca di pelle nera è decisamente troppo leggera per una giornata piuttosto fresca di marzo. Arriviamo simultaneamente davanti all'entrata, quindi gli mollo una gomitata per guadagnare terreno.
Ancora non ho capito che fa, questo, qui.
«Levati di mezzo» sbotto subito. «Io sto andando a lavorare»
«Perché, io?»
«Mi farai arrivare in ritardo»
«Scansati, Cenerentola»
«Evapora, carino» replico velocemente, piazzandomi davanti all'ascensore. Lui però, mi blocca il passaggio con un braccio ed entra per primo, aumentando la mia irritazione a dismisura. In più, mantiene quell'aria sfacciata che mi manda su tutti i nervi. Si è accorto che ha lasciato la Ferrari nel fondo di un burrone o era troppo fatto?
Beh, in ogni caso non sarò io a rivelargli chi è stato a seppellire la sua auto.
«Devo andare al settimo piano» m'informa allungando di nuovo il braccio per premere un tasto sulla pulsantiera. Io arriccio il naso quando mi arriva alle narici il suo profumo pungente e leggero, quindi aggrotto le sopracciglia.
«No, io devo andare al settimo piano»
«Mai sentito parlare dell'esistenza di altri esseri umani, Cenerentola?»
«La tua non mi interessa» ribatto insolitamente in soggezione. La sua altezza mi dà suoi nervi, l'imperturbabilità e la calma con cui mi mette ancora di più in ansia.
«Ma allora sei proprio una cattiva ragazza» mi deride, abbassandosi a un soffio dal mio orecchio. Riesco a sentire il suo alito caldo sul collo, e i brividi che mi attraversano la schiena confermano la mia voglia di scappare da questo ascensore.
«Vieni qui a pulire i cessi, carino?» ribatto con uno sguardo colmo di sfida, incrociando i suoi occhi grigi.
«Ho un nome, sai, Cenerentola?» mi chiede, trasudando sicurezza anche mentre respira.
«Incredibile, e io che pensavo ti appellassero in giro come in Harry Potter» sbotto sarcastica, strappandogli una risata bassa e roca. Il suo petto si alza e si abbassa, quindi scuote la testa divertito.
«Cassandra» mi chiama con un tono di voce incredibilmente calmo. Non dovrebbe dire il mio nome, tipo mai più. E direbbe fare qualcosa per quella voce bassa. Che so, gargarismi all'acqua di mare.
«Cosa?» abbaio io.
«Mi ripeti quando mi chiederai scusa?»
«Quando sottostarò ai tuoi ordini, e cioè mai» ribatto dura.
«Tienilo a mente» ride lui, strizzandomi l'occhio. «Ah, e siamo arrivati» aggiunge indicando con un cenno del capo le porte già aperte dell'ascensore. Io lo fulmino con un'occhiataccia ed esco alla velocità della luce, scappando letteralmente da lui e quell'aria affascinante che si porta dietro. Giulia mi ha mandato un messaggio con il numero della sala in cui incontrerò il team, quindi percorro qualche corridoio con passi lunghi e poi individuo la stanza, bussando prima di entrare.
«Eccoti» esala Giulia, arpionandomi un braccio. Stringo la mano al Team Principal e poi al resto dei presenti, presentandomi come se ce ne fosse davvero bisogno. È così simile al giorno che ho sognato tante volte da quando avevo appena quattordici anni, e finalmente firmo il contratto per diventare uno dei piloti della scuderia Ferrari. Le mani mi tremano leggermente mentre restituisco la penna a Giulia, in fibrillazione. Pablo Turi, il Team Principal mi sorride per l'ennesima volta e prende alcuni fogli dalla sua cartellina.
«Siamo entusiasti di averti nel team, Cassandra. Il tuo operato nella scuderia Mercedes è stato impeccabile e inaspettato, come la tua scalata nel mondo della Formula Uno. Sono entusiasta di affiancarti uno degli ingegneri meccanici più brillanti, se non il più brillante degli ultimi anni», mi parla con calore, calmo come il migliore dei Team Principal.
«Cassandra era molto legata a Michele Rondi, e sperava di poterlo portare con sé in Ferrari» aggiunge Giulia, esaminando uno dei figli che Pablo le porge.
«Purtroppo però, Michele è sotto contratto ancora per due anni con Mercedes» aggiunge il vice di Pablo.
«Per questo, abbiamo preferito Riviera» sorride Pablo.
«Non era il favorito di Hamilton?» interviene Giulia.
«Esatto. Si tratta del tuo ingegnere meccanico personale, Cassandra, e non possiamo rischiare di peccare in nessun campo. Sei importante tu, tanto quando la preparazione della tua macchina. Riviera purtroppo è in ritar-»
«Scusate il ritardo» una figura maschile irrompe nella stanza, e la voce familiare di Neth mi risuona nelle orecchie. Mi volto di scatto verso di lui, che sorride sfacciatamente sulla soglia.
Merda.
Fanculo lui, mia sorella e il suo vizio di accorciare i nomi di tutti.
Neth, alias Kenneth Riviera.
O meglio: il mio nuovo ingegnere meccanico personale.
Cioè, io, a eseguire i suoi ordini?
Non esiste.


Dio mio, mi sento così scontata.
Che inizio mediocre, lo so. Mi fa davvero schifo, e mi dispiace pubblicare roba così. Non ho avuto altre idee, e la parte di Ludovico e Cassandra fa letteralmente pena.
È un capitolo di merda, davvero.
È così simile a Sugar che mi viene da uccidermi. Boh, ho perso la capacità di scrivere. Vi giuro che non riesco più a scrivere nulla, e la mia immaginazione è morta. Probabilmente abbandonerò Wattpad prima di Natale se continuiamo così. Io boh. Mi deprimo da sola. Non ho mai scritto grandi cose, ok, ma ora stiamo davvero rasentando il ridicolo. Forse era meglio se mi limitavo a leggere stasera.

Spero il capitolo vi sia piaciuto, anche se dubito.
Vi piacciono Kenneth e Cassandra? I hope so.
Non ho neanche revisionato, non voglio rileggere questa roba. Pregate per me.
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️🥰

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