Ha riattaccato, condannandomi al tu-tu della linea caduta, conversazione finita. Tormento di sguardi il cellulare, gli ordino di squillare, di farmi riascoltare la voce di Stefano. La vera voce di Stefano, non quella sequenza di rantoli e frasi sconclusionate che mi ha appena rifilato. La farmacista ha spostato la sua attenzione da me a una rivista di abiti nuziali.
Respira, mi direbbe Valentina.
Più ossigeno ingloberò, più il cuore si calmerà, più la mente diventerà lucida. Devo risolvere l'enigma. Ho a disposizione quadratini di puzzle ritagliati, pronti a essere incastonati tra di loro, ma da qualunque lato li giri, non trovo la combinazione.
Un pezzo porta il nome di Biagio: "Vieni con me da Biagio?"
L'altro di Marco: "Marco non ti ha detto niente?"
Un altro ancora è, invece, un più generico problema: "In che farmacia sei? Aspettami lì."
Arrovellati la mente, Nina, quando hai sentito Marco l'ultima volta?
Ieri sera.
E che cosa ti ha detto?
Ci vediamo domani.
E lo hai visto?
No, non l'ho visto.
E allora è successo qualcosa!
Sono solo le due di pomeriggio. È domani fino a mezzanotte e Stefano, con l'arrivo della primavera, i pollini e le allergie, potrebbe semplicemente essere uscito di matto.
È presto per gridare tragedia, suggerisce il grillo.
Ma le mani non si accontentano delle sue rassicurazioni infondate e in automatico digitano il numero di Marco. Porto il cellulare all'orecchio. Spento.
«Va tutto bene?» mi chiede la farmacista. Ha chiuso la rivista di moda e mi squadra dalla cassa. «Mi sembri un po' pallida. Vuoi un po' d'acqua e zucchero?»
Non devo avere una bella cera, se quella donnina tutta gossip e matrimonio si preoccupa per me. Le dico che sto bene, l'Astratta avrà rubato un pacchetto di tabacco e Stefano sarà in crisi d'astinenza.
Ma quando entra in farmacia, tiene lo sguardo basso, la fronte sudata, le guance pallide. Ha i nervi a pezzi o forse si è fumato troppa nicotina.
«Marco sta...»
Le parole mi si smorzano in gola. È una scena già vissuta. Quel pomeriggio allo Yeti con Ivan che nascondeva il giornale, perché non vedessi la foto del double decker.
Stefano si morde il labbro e annuisce. Libera due paroline che sembrano un colpo di catarro, ma che io distinguo come uno "sta bene". Non riconosco il ragazzo davanti a me, con le mani strette a pugno e le spalle tese.
«Perché non dici niente?» gli chiedo.
Marco sta bene e dovrei essere felice. Dovrebbe essere felice anche Stefano e invece non è così. Mi stringe la mano per impossessarsi delle ricette mediche, quattro fogli rosso chiaro, piegati dalla morsa delle dita in un ventaglio chiuso. Nota che non ho comperato niente.
«Sei un disastro, Ni...»
Soffoca il mio nome chiudendo le labbra, incapace di pronunciarlo. Nina. Non è difficile. Quante volte mi ha chiamata Nina in passato? Però, arrivato alla i, un groppo gli ha impedito di continuare.
«Cos'è tutto questo mistero? La tua telefonata. Marco con il cellulare spento. Se devi dirmi qualcosa, fallo!»
Stefano barcolla verso il banco della farmacia, uno zombie tenuto in piedi da pochi fasci di muscoli che non si decidono a cedere. La commessa, alla fine, fa il suo lavoro e impila scatolette di medicinali sul tavolo, controlla le ricette e mette il tutto in una borsetta di plastica, che Stefano si affretta a riportarmi.
«Aspettiamo, Yuri, va bene?» mi dice. «Tieni le medicine e le ricette intanto. Poi, quando Yuri arriva, ti dico.»
«Che c'entra Yuri?»
Stefano non risponde e indica la Golf nera che si accosta al marciapiede, senza centrare le strisce del parcheggio, segno che siamo di fretta.
«Yuri non dovrebbe studiare per la maturità?» gli chiedo.
Oltre il finestrino, lo trovo con i gomiti appoggiati al volante, attento a non suonare il clacson. Si tiene la fronte con i polsi. Il grande Yuri Conte, perennemente annoiato e alla ricerca di nuovi divertimenti, è ancora più distrutto di Stefano. Mi lascio trascinare verso la macchina, l'abitacolo una trappola per topi. Appena sfiorerò il sedile, il meccanismo scatterà e verrò tranciata in due dalla morsa di metallo.
«Non so più, se lo voglio sapere» sussurro.
Stefano mi spinge dentro e si siede accanto a me.
Yuri si gira senza slacciarsi la cintura. Diramazioni di capillari rossi attraversano il bianco degli occhi. Ha passato troppe ore davanti allo schermo del computer oppure ha pianto.
Ridicolo, Yuri Conte non piange.
«Non lo sa?» lo sento chiedere.
«Non so cosa?»
Yuri scatta sul sedile, torna a guardare la strada e mette in moto. C'è un silenzio di tomba tra di noi. Mi concentro sul rumore della frizione quando cambia, sul clack della marcia. Non c'è una sola nota di musica come sottofondo ed è strano. In genere Yuri non perde occasione per vantarsi del suo lettore Alpine.
«Avevi detto che arrivava Yuri e mi parlavate» dico a Stefano.
«Nina, ascolta. Marco avrebbe dovuto chiamarti.»
Stefano analizza le espressioni del mio viso, un giocatore di Shangai che contempla un disastro di stuzzicadenti mischiati, preoccupato all'idea di sfilare lo stecchino sbagliato.
«Non so bene cosa sia successo...» dice Yuri per uccidere il silenzio.
Butta la freccia e gira a destra. Ha preso la via verso la zona del casinò e del campo da bowling, in periferia.
«Biagio non abita da quella parte» esclamo. «Hai detto che stiamo andando da Biagio e Biagio abita vicino a Marco.»
Seguo una logica che è inappellabile e allora perché Yuri non mi ascolta?
È arrivato il momento di accostare e fare un'inversione a U. Ma quando Yuri svolta a destra, un presentimento fulmina il cuore. La Golf nera svolta al cartello delle indicazioni stradali: autostrada, trentacinque chilometri; Museo delle Scienze, diciassette chilometri; casinò, tre chilometri.
E poi c'è quel cartello bianco con il disegno di un letto dentro un quadratino blu e una croce rossa: ospedale.
«Biagio non sta bene.»
Stefano dà la conferma. Ospedale, due chilometri.
«Ma starà bene» ordino. Gli stringo il polso e lo scuoto con forza, perché Stefano non mi risponde. Si mangiucchia il labbro e studia il tettuccio della macchina. «Starà bene, vero?»
La guida di Yuri si fa a scatti. Lui, abile guidatore, finisce con il copertone su un marciapiede, quasi ci capotta e causa un incidente. Forse anche Biagio ne ha fatto uno e ora ha una gamba rotta. Oppure, per fare canestro, si è spezzato un braccio.
Yuri tira un pugno al volante e suona il clacson.
«Doveva dirglielo Marco, cazzo!»
Marco lo sa. Suo padre lavora all'ospedale.