Casa Bokuto-Kuroo
"Kenma, metti via la console e fai colazione. Keiji, metti via il libro e fai colazione..." Kuroo parlò con tono serio e occhi stanchi, si sporse oltre la porta e rivolse il viso verso la scala che portava alle camere da letto "...BOKUTO SCENDI, LA COLAZIONE È PRONTA E PORTA KEI" urlò con più voce possibile.
Il piccolo Keiji, capelli scompigliati neri, occhi sottili che virano dal verde al blu e corporatura magra, allungò il braccio e afferrò la console dalle manine di Kenma, che sbuffò e lo fulminò. In risposta, il bambino dai capelli di media lunghezza, scuri e occhi ambrati, assottigliò lo sguardo e afferrò il libro dalle mani di Keiji facendolo sussultare.
Avevano la stessa età, meno di due mesi li distanziavano, facendo diventare Kenma il maggiore, ma per qualche motivo ad essere più maturo tra i due rimaneva Keiji.
Nella piccola cucina entrò Bokuto con in braccio un altro bambino, biondo, magro e occhi castano dorato. Lo scosse, con poca grazia, per farlo svegliare e lo mise seduto sulla sedia di legno. Kei, subito, posò la testa sul tavolo e tornò a dormire.
"Kei, svegliati e fai colazione" disse Kuroo avvicinando il proprio viso a quello del figlio, lasciandogli un bacio sulla tempia. Kei aprì gli occhi, strofinò la mano sulla tempia, come a volersi pulire dal bacio del padre, e guardò con sguardo schifato le uova e il bacon che risaltavano sul piatto bianco.
"dai che oggi è l'ultimo giorno di vacanze, da domani scuola e il nostro piccolo Kei inizierà le elementari, non sei emozionato?" Bakuto teneva la voce fin troppo alta per essere mattina e sfoggiava un sorriso smagliante. Faceva parte del suo carattere, quel ragazzo non si abbatteva mai ed era super allegro ed energico sin dal mattino, era l'opposto dei figli che puntualmente si lamentavano e si aggrappavano alle coperte pur di non alzarsi.
"tsk" fu la risposta del biondo, che con una mano spostò il piatto lontano e prese il bicchiere con il latte.
"devi mangiare, Kei..." disse Kuroo aggrottando le sopracciglia, poi lanciò uno sguardo a Kenma, che stava scansando anche lui il piatto, proprio come aveva fatto il biondo. Effettivamente Kei aveva imparato quel gesto da suo fratello maggiore, Kenma, che quasi mai mangiava tutto ciò che gli si metteva nel piatto "... anche te Kenma, devi mangiare" disse severo il corvino riavvicinando i piatti ad entrambi i bambini i quali si lanciarono un'occhiata a vicenda e sbuffarono all'unisono.
Quei bambini, pur non condividendo un legame di sangue, si somigliavano nei modi più del dovuto. Kuroo apprezzava la complicità che si creava tra i suoi figli, ma non quando quella complicità gli si ritorceva contro. Era difficile che quei bambini facessero amicizia con i bambini a scuola o al parco e sapere che
comunque nella vita avrebbero sempre avuto i propri fratelli a sostenerli e a coprirgli le spalle, era una consapevolezza che lo aiutava a rilassarsi.Finita colazione, o meglio, quando Keiji finì la propria e Kenma e Kei convinsero per esasperazione i genitori che non avevano bisogno di mangiare, finalmente, si poterono alzare da tavola e andare a cambiarsi.
"tu pensi a Keiji e Kei e io penso a Kenma?" chiese Kuroo guardando con sguardo interrogativo il ragazzo dai capelli bianchi e grigi, questo annuì, sapendo che, pur avendo due bambini da dover vestire, il compito più arduo spettava a Kuroo, perché Kenma era il più capriccioso quando si trattava di dover togliere il pigiama.
Bokuto, nel giro di dieci minuti, aveva vestito i bambini e li guardava soddisfatto, abbinare i colori non era il suo forte, ma per fortuna c'era Keiji che, con pazienza, aveva scelto i vestiti sia suoi che di Kei. Si sentì un urlo e, quando Bokuto si affacciò dalla porta della stanza dei bambini, vide un piccolo Kenma, rigorosamente in pigiama, uscire di corsa dalla camera da letto sua e di Kuroo.
"PRENDILO" urlò Kuroo affacciandosi dietro Kenma e il ragazzo, più muscoloso e dalle spalle larghe, si lanciò in mezzo al corridoio allargando le braccia e impedendo allo gnometto di proseguire la propria fuga. Kenma sgranò gli occhi appena vide il padre apparire di fronte a lui e provò a girarsi per correre da un'altra parte, ma non fece in tempo che il mondo si capovolse. Bokuto aveva afferrato il piccolo ribelle e lo stava portando, a testa in giù, da Kuroo che teneva in mano un paio di jeans.
Bokuto conosceva il punto debole di quel bambino dai capelli a caschetto. Tenendolo ancora a testa in giù, gli scoprì la pancia e avvicinò la bocca facendo un sorriso che non prometteva nulla di buono. Appena toccò con le labbra la pancia liscia di Kenma, soffiò forte e fece una pernacchia, facendo agitare il bambino, che era scoppiato a ridere mentre cercava di ricoprirsi la pancia con la maglietta.
Finalmente Kuroo e Bokuto vestirono anche il terzo bambino e si guardarono complici, scambiandosi anche il cinque.
Avevano deciso di adottare un bambino quasi subito dopo aver firmato le carte del matrimonio civile. Non avevano fatto nessun tipo di festa. Di punto in bianco si erano recati in comune e avevano messo un paio di firme, ognuno si era tenuto il proprio cognome, ma di fronte alla legge loro erano sposati. Non portavano fedi o altro a dimostrare quel loro legame, come dimostrazione preferivano di gran lunga quei tre marmocchi che gli prosciugavano le energie.
Quando, poco dopo le firme, Bokuto aveva visto dei bambini correre nel parco, si era girato con occhi luminosi verso Kuroo e gli aveva chiesto di adottare un bambino, praticamente come se avesse chiesto di comprare il pesce rosso. Kuroo lì per lì era rimasto basito da quella proposta, ma subito aveva risposto di sì con entusiasmo e, non appena tornati a casa, avevano chiamato un assistente sociale per non perdere altro tempo.
Dopo più di un anno di attesa, i ragazzi ormai avevano perso le speranze, avevano temuto che non gli avrebbero mai affidato un piccolo umano e che avrebbero dovuto accantonare per sempre quel loro sogno di diventare genitori. Per fortuna, l'assistente sociale li aveva chiamati, ma aveva qualcosa da dirgli.
Era stato portato via un bambino dai propri genitori per motivi riservati ed era stato portato all'orfanotrofio. L'assistente sociale non era stato convinto che loro sarebbero stati la coppia giusta a cui affidarlo, essendo un bambino con una situazione difficile alle spalle, ma non c'era stato nessun altro disposto a prenderlo in affido, forse perché non spiccicava una parola o perché si nascondeva e scappava appena ne aveva l'occasione, ma lui, piccolo e indifeso, era rimasto senza una famiglia e lì vicino c'erano due ragazzi, giovani e speranzosi, che desideravano più di ogni altra cosa metterne su una.
Erano arrivati di corsa all'orfanotrofio, con il fiatone e l'emozione negli occhi, e avevano incontrato l'assistente sociale, che li aveva portati nella grande stanza dove i bambini passavano la maggior parte del tempo. Gli aveva indicato un bambino, eccessivamente magro, rannicchiato contro un angolo e subito i cuori dei due ragazzi si erano sciolti. Istintivamente si erano mossi verso di lui e gli si erano inginocchiati di fronte, sorridendogli.
"ehi piccolo, come ti chiami?" era stato Kuroo a parlare per primo, notando che il suo compagno era rimasto senza parole, con gli occhi lucidi e la bocca sfessurata, era letteralmente estasiato dalla visione di quel bambino, che già sembrava considerare suo figlio.
Il piccolo si era schiacciato ancora di più contro le pareti e aveva nascosto il viso sulle ginocchia. Quanta sofferenza aveva dovuto patire per non fidarsi di nessuno fino a quel punto?
A Kuroo era squillato il cellulare e, quando lo aveva tirato fuori dalla tasca per attaccare, il bambino aveva sollevato il viso quel tanto che bastava per mostrare i suoi occhi ambrati. Era rimasto incantato dall'oggetto che il ragazzo teneva in mano e subito Kuroo aveva trovato un modo per far breccia nel cuore del bambino.
"ti piace?" aveva chiesto avvicinando il cellulare al visino tondo. Il bambino aveva annuito e si era avvicinato a Kuroo inconsapevolmente. Aveva preso in mano il cellulare e cominciato a farci scorrere le piccole dita magre. La luce dello schermo illuminava gli zigomi e le ombre che si creavano mettevano in risalto la magrezza di quel viso. Gli occhi, di quel colore che ricordava il miele, erano allargati e le pupille, strette, lasciavano più spazio possibile alle iridi luminose. Non avevano mai visto bellezza simile, con i capelli ad incorniciare il volto delicato.
"lui si chiama Kenma" una vocina aveva attirato l'attenzione di entrambi i ragazzi, che si erano voltati e ritrovandosi faccia a faccia con un bambino dallo sguardo serio, simile a quello di un adulto. Sicuramente più adulto di loro due. Aveva i capelli scompigliati del colore del carbone, occhi dalle iridi chiare che sembravano cambiare colore in base ai giochi di luce dei raggi del sole e la maglietta, larga e rovinata, ricadeva sulle spalle strette.
"Kenma? Ma è un bellissimo nome..." aveva detto il corvino riportando l'attenzione sul bambino che continuava a smanettare con il suo cellulare. Quei movimenti veloci dei polpastrelli sullo schermo liscio erano sembrati gesti di un esperto, non attribuibili ad un bambino alle prime armi con la tecnologia.
"e tu, come ti chiami?" finalmente Bokuto aveva tirato fuori la voce e aveva guardato nello stesso modo estasiato anche l'altro bambino. Aveva sentito un calore avvolgerlo e poteva esser certo che, se avesse portato a casa con sé quei due orfanelli, quell'emozione di pura gioia non sarebbe mai andata via.
Il piccolo dai capelli corvini e occhi chiari, aveva stretto il bordo della maglietta ed era diventato rosso in viso. Evidentemente nessuno prima di allora gli aveva chiesto come si chiamasse. Nell'orfanotrofio poteva capitare di venir trascurati o qualche volta dimenticati, tanto che quella semplice domanda, che però era significato interesse nei suoi confronti, l'aveva fatto avvampare, ma nello stesso tempo l'aveva fatto sentire un po' speciale.
"Keiji" aveva risposto in un sussurro cercando di nascondere le guance rosse e l'imbarazzo.
"anche tu hai un bellissimo nome e sei amico di Kenma?" aveva continuato il ragazzo dai capelli chiari. Era sembrato volere in qualche modo tenerlo vicino, non permettergli di allontanarsi da loro e dall'idea di famiglia che piano stava prendendo forma nella testa di Kotaro.
Keiji aveva annuito e fatto un passo verso l'altro bambino, con fare protettivo, ma allo stesso tempo come dimostrazione della loro amicizia. Si era creato un legame, questo avevano potuto notarlo anche i due ragazzi.
"lui non parla, quindi parlo io per lui" aveva concluso il piccolo sedendosi accanto a Kenma. Altro gesto che era significato amicizia e protezione. Dalla postura e dallo sguardo era sembrato dicesse non lo potete far soffrire perché io sono la sua voce e vi urlerò contro. Kuroo e Bokuto avevano sorriso a quella dimostrazione di affetto.
Erano usciti da quell'orfanotrofio con gli occhi luminosi, entrambi si erano fatti rapire da quella coppia di bambini e, senza nemmeno doverlo dire l'uno all'altro, avevano deciso che sarebbero diventati i genitori di entrambi.
Erano passati dei mesi prima di aver potuto portarli a casa e firmare le carte dell'adozione, ma finalmente avevano ottenuto ciò che avevano desiderato, una famiglia, anche se un po' particolare, con un bambino che non parlava e l'altro che sembrava l'adulto di casa.
I bambini avevano avuto quattro anni quando avevano messo piede nella piccola, ma accogliente, casa di Bokuto e Kuroo. Nel giro di poco, l'assistente sociale li aveva richiamati avvertendoli che era stato portato un bambino dal carattere simile a quello di Kenma e aveva chiesto se per loro fosse stato possibile passare in orfanotrofio e provare a parlarci per aiutarlo ad aprirsi. Inutile dire che, al primo scambio di parole, si erano innamorati anche di quel bambino e avevano avviato subito le pratiche per la terza adozione.
Ed eccola lì, la famiglia Bokuto-Kuroo al completo. Due eterni bambini come genitori, un ribelle muto, un piccolo adulto e un asociale leggermente apatico. Una bellissima famiglia dalle sfumature più particolari possibili.