Capitolo 1

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ORLANDO

Non avevo bisogno di scavare troppo a fondo nei segreti di quel posto per capire che nascondesse qualcosa: la facciata dell'ospedale psichiatrico Sant'Anna manifestava già dai suoi cancelli sempre chiusi quell'aria di mistero e di losco. Mi chiesi quanto ci avrei messo per venire a capo di quell'intrico di ambiguità: quanto prima ci fossi riuscito, tanto prima ne sarei uscito.

In fondo l'avevo promesso a Thomas, il mio migliore amico, e alla sua ragazza Evelyn: avrei scoperto cosa nascondesse quel posto tanto impenetrabile e cosa tenesse legati i suoi pazienti al suo interno per così tanto tempo.

Ero un eccellente psichiatra, ma in quel momento stavo entrando non solo come medico, ma come infiltrato. Una sorta di talpa che avrebbe fatto uscire da quell'ospedale la sorella di Evelyn, che si era trasferita lì di sua spontanea volontà oltre sei anni prima. Sia Thomas che Evelyn contavano su di me e io non volevo e non potevo deluderli. Dovevo tenere per me tutte le remore che avevo nei confronti di quella ragazza e lasciare la mia vita personale fuori da quelle mura.

Perciò presi un bel respiro, sistemai il borsone dietro la schiena e lasciai in stand-by la mia vita per entrare in quel manicomio. Perché di questo si trattava: un ospedale, nel quale ero abituato a lavorare ormai da anni, ma per gente pazza. E io ero lì proprio per curare quella gente. Gente che non aveva problemi fisici – ed era proprio quello il motivo per cui dovevo essere per forza io a entrare in quel posto. Lì dentro c'erano solo menti e anime da curare, ed era quello che avrei fatto.

«Benvenuto, Orlando. Finalmente possiamo accoglierla all'interno del nostro ospedale. Ha già avuto modo di parlare con il nostro direttore?»

L'infermiera che stava dietro al banco dell'accettazione non sembrava troppo entusiasta di starsene lì. Il tono annoiato e di saccenza che usò quando si rivolse a me ne fu una chiarissima dimostrazione. Decisi comunque di non farci caso e mi limitai ad annuire. «Ho parlato con lui per telefono per fissare un colloquio che poi ho sostenuto qualche giorno fa.»

Lei sollevò un sopracciglio, del tutto scocciata. «Sì, ma deve comunque ripetere un secondo colloquio più specifico, in cui le verrà spiegato il suo ruolo all'interno di questo ospedale. Non lo sapeva?»

Come pensava che avrei potuto saperlo se non mi era stato detto da nessuno?

Presi un lungo respiro nel tentativo di calmare i nervi già tesi e provai a sorriderle. «Guardi, è la seconda volta che metto piede qui. Sia per telefono che di persona il direttore è stato molto sbrigativo. L'unica cosa che mi è stata fatta presente è che sarei dovuto venire qui oggi con i miei effetti personali e il necessario per trasferirmi in uno degli appartamenti dell'edificio. È tutto.»

Lei schioccò la lingua contro il palato e si diede una spinta contro la scrivania per voltarsi sulla sedia e rotolare verso gli scaffali alle sue spalle. Allo stesso modo tornò da me. Mi allungò una cartellina e non aspettò nemmeno che la prendessi prima di dire: «Firmi tutto quello che c'è da firmare, poi vada nell'ufficio del direttore e aspetti che qualcuno venga a chiamarla. Buona giornata.»

Cominciò a ignorarmi, al che capii che fosse arrivato il momento di andare. Presi la cartellina, afferrai una penna abbandonata sul bancone e mi diressi verso l'ufficio del direttore seguendo quel labirinto di corridoi. Nel frattempo diedi una letta a tutti quei documenti e una cosa mi saltò agli occhi, facendomi sbuffare una risata: accordo di riservatezza.

Tommy mi aveva messo in guardia sulla fantomatica "riservatezza" di quel posto. Fin troppa, a nostro avviso. Ma o firmavo o non potevo entrare in quel posto, per cui apposi il mio nome e cognome in tutti i punti richiesti e richiusi la cartellina proprio quando raggiunsi l'ufficio.

Sei la mia torturaWhere stories live. Discover now