Verdetto

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Venerdì arrivò in fretta e l'ansia non tardò a manifestarsi.
Quel pomeriggio sarei andata dal ginecologo per scoprire se fossi incinta.
La mia mente non smetteva di pensare: non ero sicura di volerlo sapere veramente, ma se l'esito fosse stato negativo allora avrei potuto tirare un sospiro di sollievo e andare avanti con la mia vita.
Arrivata in ufficio mi lasciai andare sulla sedia, già stanca di prima mattina, anche se più mentalmente che fisicamente.
«Seyfried, sai che manca poco, vero?» Victor comparve sulla porta, facendomi sussultare.
«A cosa?» Sbattei le palpebre un paio di volte, pensando di aver dimenticato qualche impegno della mattinata. Lui scosse la testa, ridendo in modo superbo.
«Te ne sei dimenticata? Pennsylvania, Amanda.» Incrociò le braccia al petto, guardandomi. «Hai una settimana, se non avrò una risposta per me sarà un no... e ci saranno delle conseguenze.» Persi un battito mentre lo guardavo allibita; annuii debolmente e lo vidi scomparire nel suo ufficio.
Me ne stavo dimenticando.
Ero talmente presa da quella gravidanza che mi stavo scordando che avrei dovuto comunicargli la mia decisione.
Se avessi lasciato che ci pensasse lui? Avrei potuto permettergli di decidere per me? E se mi avesse mandata obbligatoriamente? Se mi avesse licenziata?
Quelle domande iniziarono a invadermi la mente e sentivo lo stomaco stringersi sempre di più; andarmene da New York poteva anche essere una bella opportunità, ma così avrei lasciato Luke, i miei genitori, mia sorella – anche se in quel momento non eravamo molto unite era pur sempre mia sorella e io le volevo un bene immenso.
Presi un respiro profondo; avevo ancora una settimana e in quel momento dovevo concentrarmi solo sulla visita che avrei avuto al pomeriggio.


Uscita dall'ufficio andai a mangiare in un bar poco lontano da lì; avrei avuto tutto il pomeriggio per dedicarmi ai pensieri più reconditi, quindi volevo provare a rilassarmi il più possibile.
Mangiai un panino per poi prendere la macchina e andare verso il centro; era meno affollato del solito, ma fui comunque costretta a parcheggiare in qualche vietta.
Sbuffai, scendendo e mettendomi in marcia per raggiungere di nuovo il centro.
La gente girovagava senza sosta, ma tutto sommato non era male come al solito; mi sentivo parte di qualcosa, in mezzo a quella folla, e un po' mi rincuorava.
Entrai in un negozio di vestiti e iniziai a spulciare tra tutti gli indumenti che più mi attiravano; volevo sperimentare il metodo di mia sorella per provare a tranquillizzarmi prima della visita, anche se da una parte era solo un modo per sentirla più vicino a me.


Dopo aver comprato qualcosa mi sentii nettamente meglio, ma appena arrivarono le quattro e mezza il panico iniziò ad assalirmi.
Uscii di casa andando verso l'ospedale e durante il tragitto mi si formò una tempesta di pensieri in testa.
Avevo paura di essere davvero incinta; a parte il fatto di non essere in grado di gestirlo, sapevo che la gente avrebbe iniziato a fare domande e non sarei riuscita ad ammettere che fosse di Luke, quindi sarei passata come la troia di turno che non sapeva chi fosse il padre.
Forse era meglio così, ma prima di fasciarmi la testa dovevo accertarmi di quale fosse la verità.
Mi diressi nel reparto di ginecologia, stando attenta a possibili occhi indiscreti che potevano riconoscermi.
«Seyfried?» Mi girai verso la voce che pronunciò il mio nome e vidi un uomo più o meno della mia età; mi alzai in piedi, facendoligli cenno di essere io.
Mi condusse nella stanza apposita e mi fece togliere i pantaloni e gli slip, per poi farmi sdraiare e appoggiare le gambe sull'apposito aggeggio.
«Che tipo di visita vuole?» chiese mentre si metteva i guanti.
«Sapere se sono incinta.» Mi guardò stranito, probabilmente il mio tono preoccupato e quasi indignato gli fece capire che speravo di non esserlo.
Chiusi gli occhi, cercando di calmarmi, mentre la visita procedeva; di tanto in tanto sentivo qualche fastidio, ma l'importante era che mi desse buone notizie.
«Può rivestirsi.» L'osservai mentre buttava i guanti e mi rivestii con il cuore che batteva velocissimo.
Il momento della verità si avvicinava sempre di più e non ero per niente tranquilla.
«Ha avuto dei dolori al ventre in questo periodo?» Mi riportò alla realtà e annuii.
«Sì, una volta mi è capitato... a Pasqua.» Deglutii e lui annuì, prendendo a scrivere su un foglio. Ero nervosa e quindi iniziai a tormentarmi le mani, attendendo che finisse di scrivere.
«Ok... allora.» Poggiò la penna accanto al pezzo di carta e sentivo l'ansia divorarmi lentamente lo stomaco; avrei voluto dirgli di muoversi a dirmi quel dannato verdetto, ma mi trattenni. «Innanzitutto non deve stressarsi perché nelle sue condizioni non è la cosa migliore.» Mi guardò dritto negli occhi e sentii il mio stomaco stringersi sempre di più, insieme a una nausea improvvisa.
Cosa intendeva con quelle parole?
«Cosa vorrebbe dire?» Riuscivo a sentire perfino il mio cuore battere e rimbombare nelle orecchie.
«Intendo dire che lo stress può far male al bambino.» In un batter d'occhio mi sentii crollare il mondo sotto i piedi mentre lui riprendeva, come se niente fosse, a scrivere su quel foglio.
Non riuscivo a crederci, non volevo crederci.
Ero incinta.
Portavo davvero una vita dentro di me.
L'idea dell'aborto mi sfiorò solo per un secondo, ma l'accantonai subito; mentre pagavo la visita e mi dirigevo, leggermente scossa, verso l'uscita, un solo pensiero fisso mi rimbombava nel cervello: non sarei scappata da quel problema.


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