Epilogo

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Cinquecento candele erano accese nel buio. Cinquecento, bianche come ali di colomba, con fiamme dorate che danzavano ognuna con uno schema proprio e discordante, alzandosi e tremolando, abbassandosi e gettando ombre che parevano vive sulle pareti e sul pavimento marmoreo della cattedrale.

Il vecchio Dante aveva borbottato che cinquecento candele erano troppe, che ai suoi tempi non si sarebbe mai sprecata così tanta cera, ma lui aveva sempre da borbottare su tutto e così nessuno lo aveva ascoltato. Anche l'ultima volta, un anno prima, lui aveva avuto da ridire sul numero di candele. E anche l'ultima volta, nessuno lo aveva ascoltato.

«Oh, stai zitto» Gli aveva sussurrato la signora Gina, aggiustandosi il cappellino fiorato «Se persino il prete non ha niente da protestare, tu ti devi stare zitto».

Il vecchio Dante si era stretto al petto il gatto Aiolos e non aveva detto niente.

In prima fila, seduto composto, c'era don Lorenzo Impastato, con la tunica da sacerdote indosso e una corona di fiori intrecciati posti sul capo. Non aveva più capelli cortissimi, a spazzola, ma un codino stretto dietro la testa con un elastico dorato. Sul suo grembo riposava un gatto senza peli, con i grandi occhi chiusi, respirando lentamente: era Topino, con il suo nuovo collare a cui portava appeso un minuscolo crocefisso d'argento.

Un corteo di donne incappucciate iniziò a sfilare nella navata centrale per raggiungere l'altare, ognuna con in mano un robusto cero accesso, e mentre camminavano cantavano sommessamente; quando si dispose intorno al grande altare, il suo canto si levò più sonoro e rapido.

Una delle donne incappucciate allargò le braccia e parlò con voce così imperiosa da superare il canto del coro e l'urlo del vento che avvolgeva l'esterno della chiesa come una barriera fischiante.

«Sorelle e fratelli» Disse «Umani, fae e spiriti, io chiamo l'apertura del cerchio per voi!».

Le fiamme si levarono tutte di qualche centimetro e bastò questo perché l'interno della chiesa sembrasse ora quasi illuminato a giorno e molto, molto, più caldo e sicuro.

«Prima di continuare, è bene interrogare ancora una volta la Grande Magia» Seguitò a dire l'autoritaria donna incappucciata «Per sapere se il momento è propizio per ottenere ciò che cerchiamo...».

Un grande silenzio scese nella chiesa.

Niente porte che si aprivano, questa volta. Anche il vento tacque, come se fosse pronto ad ascoltare quella risposta, tendendo un invisibile orecchio.

La donna autoritaria si tolse il cappuccio: era ovviamente Renata. La cicatrice della bruciatura sul suo volto era ormai solo un velo sottile e bianco, difficile da vedere alla luce delle candele.

«Grande Madre, signora del grano e del vino, concedimi di guardare per una volta la Grande Magia! Grande Madre, an té a dhéanann na séasúir a leanúint, taispeáin dom cinniúint na talún seo taobh istigh de do veins ollmhóra, ag tabhairt cumhachta dom ar an toirt an todhchaí a fheiceáil, a Mháthair Mhóir!».

Dalle punte delle fiamme delle candele si levarono pennacchi di fumo denso e multicolore, che sembravano quasi disegni ad acquerello freschi, patine sparse con un pennello morbido e ancora umide che si contorcevano mentre raggiungevano il soffitto della cattedrale e si addensavano, intrecciandosi, allacciandosi tra loro, formando le sagome di mani, di bocche, di dorsi, di fauci canine e corna di capre, di volti umani appena abbozzati. Le sagome rifluirono le une nelle altre, si toccarono e si intrecciarono, compenetrandosi, e divennero un gigantesco volto femminile dal naso adunco, la testa coronata di erbe, di foglie, di frutti che mutavano, si ingrossavano, maturavano e appassivano, di fiori che si muovevano come tentacoli di un polpo.

La Cattedrale di MillennioWhere stories live. Discover now