Mi Chiamo Federico

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Mi chiamo Federico Giordi, per gli amici Fede, per gli altri palla, vomito, neo, lardo, rotolone, autistico, cretino e suino. Nella scuola in cui vado non molti sanno il mio (vero) nome, non sanno il mio cognome, qual è il mio gusto preferito di gelato, insomma, quelle cose che un amico di solito sa. Sanno solo dove abito grazie alla puzza di uova che percorre la via in cui vivo e che li conduce alla così chiamata casa-frittata.

Quando sono triste o arrabbiato, o quel sentimento che mi fa sempre rodere il mio complesso stomaco, mi chiudo in una bolla. Avete presente quelle bolle che se tu soffi volano via, nel cielo e si nascondono nelle nuvole, per poi scoppiare e cadere sul balcone dei vicini che tanto prima o poi si trasferiranno per colpa tua. Ecco la mia è tipo quella, ma non scoppia e non vola via. Mi è sempre piaciuto pensare come sarebbe sfiorare quel cielo tanto affascinante quanto lunatico, magari in una giornata di pioggia, così che volando via la mia bolla si facesse scoppiare da una goccia. Certo che la pioggia è proprio coraggiosa: nonostante i continui insulti e il desiderio della gente che non si presenti più coi suoi ingombranti nuvoloni neri, lei continua a fare il suo lavoro. IMPASSIBILE. Le persone pensano di saper vivere senza quello che non conoscono abbastanza, poi quando quella cosa, come la pioggia, si stufa di sentirsi insultare, si gira si pulisce i piedi sullo zerbino e se ne va creando una grave siccità.

Siamo sette miliardi, seicentoventisette milioni, settecentosettantatre mila e cinquecentottantacinque in questo mondo ora, mezzanotte e dodici minuti e trentaquattro secondi del 9 giugno 2018. L' 1/4 di questi è stato selezionato per far sentire meglio la gente. Io rientro nella percentuale: una persona quando mi guarda pensa di aver perso dieci chili senza dieta, mi guarda, sorride, si avvicina ad un amico e comincia a bisbigliare. I tuoi occhi lo ignorano, li comandi tu, ma dobbiamo ricordarci che il cervello comanda noi, e il cervello non lo ignora. Io glielo faccio fare per il bene della comunità, e perché tanto smetteranno, no?

Siamo tutti sotto un fisso riflettore attaccato al cervello, ognuno di una tonalità diversa. Ad esempio la mia professoressa di lettere è su un giallo paglierino, perché il giallo è simbolo di conoscenza e sapere, ma quella particolare tonalità di giallo rappresenta un colore sbiadito, ed essendo la donna ormai all'apice della vecchiaia, con rughe profonde quanto il suo intelletto (frase che usa sempre lei quando deve giustificare il suo aspetto stanco e malato) , l'intelligenza  va a sfocarsi, a sbiadirsi,  diventando giallo paglierino.

Il mio riflettore è nero, black-out totale, ultimamente cerco disperatamente un "tecnico" che possa aiutarmi a ripararlo, ma questa assenza di luce non riesce a farmi vedere niente. Per qualche strano motivo però a scuola inizia a funzionare e diventa viola prugna, il colore del disprezzo e della frustrazione. In effetti nessuno prova a superare i dieci metri di distanza da me, si dice che l'ultima volta che qualcuno ci ha provato è stato ricoverato per gastroenterite. Ma io non credo a queste voci, credo solo che ci sia un' area speciale all'interno della scuola specializzata in fari, faretti, torce e torcine  e che fa funzionare il mio riflettore. Credo anche che il colore che mi illumina influenzi il pensiero della persona che mi fissa con orrore, troppo impegnata a quanto pare a non volgere verso il soffitto il capo per vedere il suo di colore: rosso bordeaux, il colore della cattiveria.

E se fossero i miei compagni ad accendere il mio riflettore. Insomma esiste l'energia solare, termica, eolica, ci sarà anche quella visiva, che si attiva percependo uno sguardo con una posizione ben studiata delle sopracciglia e con una lieve chiusura della palpebra destra e una notevole apertura della bocca. 

E se fossero loro ad alimentare questo mio faro, compagno di viaggio non funzionante? 

E se fossero loro a colorarmi di viola?

Questo riflettore buio ||Valerio Montanari||Where stories live. Discover now