La scuola dell'inferno

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Scuola, un ambiente così caotico che riesce a infastidire persino la mia bolla.

Quei corridoi a scacchiera che inorridiscono l'occhio umano non appena osi fissarli per più di 2,7 secondi cronometrati. E vogliamo parlare poi di quegli armadietti rosso fuoco in stile americano che invadono con il loro rumore assordante di quando si aprono l'intero edificio? Scelta di quella preside tanto noiosa quanto pazza. L'ultima volta si è presentata nella mia classe e ha cominciato a scrivere sulla lavagna durante la lezione di scienze del professor Torsola i dieci comandamenti più i cinque inventati da lei, che si crede Mosè perché riesce a spartire gli studenti quando passa per i corridoi. Capisco in pieno i due mariti che hanno chiesto il divorzio. Voci dicono che ha costretto il secondo marito a mettersi a quattro zampe nudo, per poi legarlo ad una tubatura della cantina e fargli recitare tutte le parabole scritte da lei sul suo diario segreto mentre lo frustava. 

Il suo riflettore è giallo oro, che indica pazzia.

E' sempre difficile per me entrare in quell'inferno ospitato da animi perversi, contorti, crudeli. Ogni volta, per farmi coraggio, sfioro con mani tremanti quella macchia di sangue sul pilastro che regge la tettoia della scuola, e mi dico speranzoso: "E' un nuovo giorno questo, e se anche oggi andrà male, domani meglio andrà!". Quel sangue è il mio, l'ho perso durante quella "rissa" particolare in cui è solo uno a menare e l'altro subisce. Mi hanno sbattuto la testa su quel muro tre volte prima di lasciarmi cadere a terra in lacrime. Avevo il viso rosso, con delle sfumature di viola per i lividi. Quelle lacrime mi rigavano il viso, facendomi provare ancora più dolore quando passavano sulle ferite che hanno rovinato quelle mie guanciotte paffute. Era tutto buio intorno a me, i riflettori altrui non riuscivano a sovrapporsi all'oscurità  che mi circondava. Solo il mio rimaneva bello lucente. Quel viola, che mi segna, che mi distingue in una scuola di luci rosse, come l'inferno che hanno nel cuore. Sentivo solo le risate, nient'altro. Solo risate isteriche e maligne, che facevano più male di qualsiasi altra ferita che avevo.

A scuola come potete immaginare non mi trovo bene, i professori quando mi vedono in difficoltà spesso si allontanano, leggendo quei maledetti appunti che tanto hanno già letto sei volte testate. Quanto ai miei compagni, di solito non vogliono salutarmi perché pensano che poi diventerebbero obesi come me. Non capendo che la causa dell'obesità non è altro che uno squilibrio energetico fra le calorie ingerite da noi esseri umani volenterosi di colmare vuoti strazianti generati da disprezzo, odio, insulti e non accettazione. Se rivolgo la parola a una ragazza lei scappa, se invece la rivolgo ad un ragazzo mi da uno schiaffo in faccia e poi ride. Io vorrei reagire, ma questa bolla indistruttibile blocca la voce del mio pensiero che vuole uscire gridando a squarciagola. 

Non mi piace andare a scuola, preferisco quando il riflettore è spento. Penso che se qualcuno riuscisse ad aggiustare questo nero diventerebbe di un blu acceso, che indica calma e gentilezza. Una delle papabili spiegazioni scientifiche del colore viola che mi illumina in tutta la mia grassa essenza è che il blu acceso col rosso bordeaux genera un viola strano, che impaurisce le persone. Sono però ancora delle idea che siano i miei nemici a colorarmi. Quegli stupidi, feroci, ostili ammassi di letame, nutriti dal seno perfido di Eris*, rovinano il mio splendido colore, che risalterebbe tra il rosso degli altri. 


*Eris = Dea greca della contesa, dell'ostilità e del litigio

Questo riflettore buio ||Valerio Montanari||On viuen les histories. Descobreix ara