Capitolo 42.

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Rimasi immobile, mentre un raggio di sole mi colpiva il viso.
Mi ero svegliata da circa un minuto, nuda, sotto le coperte con Terence, dopo esserci stata assieme.

Mi sentivo strana, sentivo qualcosa dentro di me che non mi faceva stare tranquilla.
Mi girai e guardai Terence mentre dormiva, questa volta si vedeva che non stava fingendo, aveva la bocca socchiusa e il respiro regolare.
Sembrava indifeso, senza tutte quelle mura o i suoi ghigni di cui usufruiva sempre, ed era bellissimo, uno degli uomini più belli che avessi mai visto.

E io lo avevo avuto per una notte.

Non riuscivo a pensare a nient'altro che non fosse successo nelle ore precedenti, non riuscivo a guardarlo senza pensare che Terence era diventato qualcosa d'importante ora che gli avevo ceduto me stessa.

Mi alzai lentamente, stando attenta a non svegliarlo mentre raccolsi tutti i miei vestiti da terra e corsi in bagno.
Mi guardai allo specchio prendendomi il viso tra le mani e provando a calmarmi, mentre l'ansia mi assaliva il corpo.

Mi vestì velocemente e cercando di fare il meno rumore possibile me ne andai con la testa pesante.
Uscì per la strada mentre i suoni e i rumori della città si fecero molto più amplificati dentro di me.

Come potevo smetterla di pensare a ciò che era accaduto? Come potevo spegnere tutto quanto per prendere aria e calmare il battito del mio cuore mentre scappavo letteralmente da Terence?

Il mio cellulare cominciò a squillare e io aumentai il passo, come se qualcuno mi stesse inseguendo.
Non avevo il coraggio di prenderlo in mano e controllare chi fosse.

Camminai ancora attraversando mentre il cellulare rincominciò a squillare ininterrottamente, non cercai nemmeno la mia macchina, bensì la lasciai lì parcheggiata correndo il più velocemente possibile, con l'idea che l'avrei presa in un secondo momento.
Alzai un braccio e un taxi si fermò, ci entrai subito dentro e il signore mi chiese dove dovevo andare.

<< Cinquantaduesima strada >> gli risposi, appoggiandomi al tessuto del sedile mentre pensavo di dover assolutamente tornare a casa il più presto possibile.

Il cellulare squillò di nuovo, e finalmente mi decisi a prenderlo in mano dopo le occhiate del tassista, almeno per spegnerlo.
Guardai prima il nome sul display e corrugai la fronte leggendo il nome di mio fratello, feci per chiudere ma un messaggio di mio padre in cui c'era scritto di rispondere, mi allarmò.

Aprí la chiamata, e tirai fuori tutto il nervosismo di quella mattina, e l'emozioni che tante quali erano non sapevo più dove metterle.

<< Senti Jake non è giornata quindi vedi di smetterla di chiamarmi o blocco il tuo contatto >> gli dissi senza nemmeno salutarlo, mentre il tassista mi regalò un'altra occhiata.

<< Mamma è in ospedale >> mi rispose lui, mentre sentì un blocco all'interno del mio corpo e quasi mi si mozzò il respiro.

<< Che cosa vuol dire? Per quale motivo mamma è in ospedale? >> tuonai io, mentre il tassista percependo la mia voce e le mie parole inchiodò in un incrocio.

<< Vieni al Mount Sinai Medical Center >> sibilò conciso, senza aggiungere nient'altro.

<< Va bene >> gli dissi chiudendo la chiamata e sporgendomi verso l'autista che come se avesse afferrato mi stava già guardando dallo specchietto
retrovisore << Mi porti al Mount Sinai Medical Center perfavore >> finí io, mentre spensi il cellulare e il tassista riprese a guidare in fretta.


***


<< Dov'è? >> chiesi a Jake da lontano, mentre il ticchettio dei miei stivaletti rimbombava per il corridoio.

Scusa se ti amoWhere stories live. Discover now