CONTEST #5ENTRY: Serendipity

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Quinta entry per il contest #writemycharacter. 

Autore:@FullMetalAlchemist55

Titolo: Serendipity

Il profluvio d'acqua che s'estendeva al di là della badiale roccia arcaica emetteva un riverbero cristallino, affrancando il piglio di quel pupillo speranzoso: il sole fioco pioveva raggi di bagliore tenuo ad incagliare gl'impeti dell'acqua, una rifrazione ormai consueta per le sue iridi plumbee.
Quella mattina il litorale vantava un vacuo moto, le acque sgorgavano sino alla banchina su cui parteggiava il fanciullo, umettando i suoi piedi nudi; un liquido gelido al quale era avezzo il pargolo, immobile d'innanzi all'incommensurabile vastità dell'oceano e del firmamento scindersi l'un l'altro, plasmando una distesa d'uniforme indaco.
Un suono aguzzo s'inerpicò sino alle orecchie del giovane, destando l'attenzione della sua scorsa.
«Buondì Len, anche stamani ti appresti ad attenderlo?»
La sol percezione di quell'uomo cagionò nel viso del giovane Len un risolino fulgente, ritraendo la sua contentezza ricurva.
«Lansa!» erompò il pupillo, scrutando la scialuppa malferma sul velo dell'acqua, colma di reti sguizzanti.«Grande pesca vedo! Buongiorno anche a te, fiociniere!»
Ormeggiò l'imbarcazione, l'uomo, nel molo legnoso ed instabile su cui era posto Len, elargendo un sorriso affabile al ragazzo.
«Com'è il mare al di là della grande roccia oggi?» si lasciò sul porticato coriaceo Len, assumendo una posizione inverosimile ed un'espressione ghiotta ed assorta.L'irsuta coda ritraeva strambi movimenti placidi, dovuti forse all'euforia del fanciullo.
«Alquanto battagliero, mi duole.» assentì il pescator: «Seppur il mare, da come puoi ravvisare, non mi ha vinto.»
Len provava estasi nell'udire i racconti di Lansa, l'ammirazione nei suoi riguardi era assai viscerale.Tutto quel che avesse a che dire con il barcamenarsi al di là della grande roccia, per lui, acquisiva modesta importanza.
«Piccolo, questo dì mi ha regalato un affascinante dono oltre alla ragguardevole pesca, sai?» si confidò Lansa, mostrando un ornamento da polso guarnito di una gemma color cobalto.
Len aprì la bocca dallo stupore, la coda cominciò a roteare solerte, e i suoi occhi spenti s'intersecarono con il barlume opaco emesso dalla pietra.
«Il blu è una tonalità tranquilla, se lodata a dovere può soffiare delicatezza persino alle onde marittime, divenendole dormienti.» spiegò saccente l'uomo, assumendo un tono quasi paterno.
«Davvero? Posso calmare le onde?» s'interrogò esterrefatto il fanciullo, incastonando le sue iridi a quelle di Lansa.Quest'ultimo scostò una ciocca di lunghi e voluminosi capelli dal colore argenteo e tentò: «Puoi calmarle certamente, ma non solo.»
Len cominciò ad assentire in modo infantile, muovendo velocemente il capo.«Se solo lo vorrai, potrai addirittura dar man forte alla tua cupidigia.»
Quel piccolo ometto per quanto fanciullo fosse, possedeva una volontà d'animo senza eguali ed una mente arguta: credette a quelle parole, ma non si sbilanciò.Sapeva che quella pietra non avrebbe spianato le ali al suo desiderio, ma quanto meno non avrebbe smesso di crederci.
«Len voglio porti questo dono, in segno d'amistà e radicato rispetto.» avvicinò il polso del pargolo, vestendolo con quel gioiello prezioso dal valore intrinseco di un luccichevole diamante.«Che il canto del flauto possa inondare queste acque.» si premurò di augurare.
I due spartivano le mattinate a suon di vicende, raccontandosi l'un l'altro.Lansa spesso s'interrogava sui motivi di quel gesto insolito da parte del giovane, il quale poteva vantare d'aver conosciuto ogni aurora di quel sole ancora timido.Len invece aveva adottrinato molte fattezze del mestiere dell'uomo, curiosità sulle creature marine e sul cosa ci fosse oltre la grande roccia.
«Len significa flauto, sai?» confidò il piccolo, accarezzando l'ametista con volto quasi ipnotizzato.«Il mio papà diceva sempre che quando il mare avrebbe udito il cantico del flauto, avrei trovato il tesoro più grande.»
Lansa capii: il desiderio di riabbracciare la figura paterna era tanto forte da poter esser percepito persino da lui.A cuor suo, però, sapeva di dover avvertire il giovane Len di quanto i sogni possano soffocare la vita: se non domati a dovere aggrovigliano le nostre gambe al terreno, impedendoci per sempre di spiccare il volo.
«Quand'io ancora possedevo un irsuta e folta coda come la tua, ragazzo, sognavo di oltrepassare la grande roccia e pescare tutti i tipi di pesci.» due iridi congelate dal tempo emisero una ninfa fugace, tanto fortuita da sgattaiolar via senza farsi scorgere dal fanciullo, che aveva poggiato il suo sguardo sul fiociniere.
«Gli anni scorrevano, il mare cambiava e il mio sogno si radicava ancor più in me.» un percettibile zefiro s'insinuò tra le ciocche argentee dell'uomo, muovendo quella chioma invidiabile.«La mia attenzione era rivolta esclusivamente ad esso, incapace d'adocchiare quanto attorno a me ci fosse.»
Len carpì mestizia nella grave melodia che assunsero quei lemmi, ormai in rotta verso il cielo.
«Una meravigliosa donna, dalla coda più bella che avessi mai visto, gironzolava sempre nei dintorni della mia barca, incuriosita forse dalle mie ambizioni.» accarezzò il tatuaggio inciso sulla sua pelle, irrigidendo il braccio.«Arrivò presto il giorno della mia crescita, la coda si elevò nei meandri dei ricordi, e la mia lattea cute fu marchiata dell'onore della nostra gente. La mia più grande aspirazione stava per dissetarsi d'un fugace oblìo di trionfo: ormai ero libero di solcare le acque aperte con la mia barca, lontano da qualsiasi catena o pensiero.»
«E così è stato, mi pare di vedere!» esordì sornione Len, quasi incitato dal suo amico.
«Per niente, piccolo.» palesò poi Lansa, con fare malinconico.«Ho solcato i mari, ho pescato i pesci più buoni del mondo, ma le catene e i pensieri mi hanno seguito ovunque io andassi.» indirizzò il suo sguardo verso il fanciullo, che aveva pitturato in volto il più totale stato confusionale.
«Solo dopo essermi sentito esente ho potuto scrutare la solitudine del mare.» esalò mordendosi un labbro.
«E soltanto dopo aver compreso il mio errore, rimpiansi l'amore mai sbocciato con quella bellissima donna.»
Len tentennò: quelle parole risiedevano un significato intrinseco che a primo impatto avrebbero potuto alludere proprio a lui. Alla sua castana chioma mossa, baciata dalle onde del vento, divenuta parte di quel movimentato mare. A quegli occhi infantili che mai cessarono di scrutare l'orizzonte, così affascinante e misterioso.Eppure quel pesante macigno che Lansa ebbe scongiurato, fu probabilmente diretto a quel profondo e blu mare, che tanto amava e che tanto disprezzava: una meraviglia così possente era stata capace di far meno ad un uomo del suo dolce sprazzo di felicità, e così come con l'uomo, fu fatta sorte di Len.
Una distesa infinita di cristallino liquido lo aveva diviso da colui che attendeva ogni singola mattina, su quel molo, sperando vivamente di sentire quell'agognata melodia promessa.
Immemore tempo speso in mera attesa, senza la considerazione del solido legame creatosi con quel fiociniere: Len carpì in quell'attimo l'enorme errore che stava commettendo, non badando a quello che la vita gli aveva porto, guardando solo quell'orizzonte sprovvisto di futuro.
Si rese conto che quel che stava cercando, infondo, non era altro che pura felicità: e senza saperlo, quelle mattinate colme di racconti e sorrisi, ritraevano la cima di quella montagna che da solo, impavidamente, aveva cominciato a scalare.l profluvio d'acqua che s'estendeva al di là della badiale roccia arcaica emetteva un riverbero cristallino, affrancando il piglio di quel pupillo speranzoso: il sole fioco pioveva raggi di bagliore tenuo ad incagliare gl'impeti dell'acqua, una rifrazione ormai consueta per le sue iridi plumbee.Quella mattina il litorale vantava un vacuo moto, le acque sgorgavano sino alla banchina su cui parteggiava il fanciullo, umettando i suoi piedi nudi; un liquido gelido al quale era avezzo il pargolo, immobile d'innanzi all'incommensurabile vastità dell'oceano e del firmamento scindersi l'un l'altro, plasmando una distesa d'uniforme indaco.
Un suono aguzzo s'inerpicò sino alle orecchie del giovane, destando l'attenzione della sua scorsa.
«Buondì Len, anche stamani ti appresti ad attenderlo?»
La sol percezione di quell'uomo cagionò nel viso del giovane Len un risolino fulgente, ritraendo la sua contentezza ricurva.
«Lansa!» erompò il pupillo, scrutando la scialuppa malferma sul velo dell'acqua, colma di reti sguizzanti.«Grande pesca vedo! Buongiorno anche a te, fiociniere!»
Ormeggiò l'imbarcazione, l'uomo, nel molo legnoso ed instabile su cui era posto Len, elargendo un sorriso affabile al ragazzo.
«Com'è il mare al di là della grande roccia oggi?» si lasciò sul porticato coriaceo Len, assumendo una posizione inverosimile ed un'espressione ghiotta ed assorta.L'irsuta coda ritraeva strambi movimenti placidi, dovuti forse all'euforia del fanciullo.
«Alquanto battagliero, mi duole.» assentì il pescator: «Seppur il mare, da come puoi ravvisare, non mi ha vinto.»
Len provava estasi nell'udire i racconti di Lansa, l'ammirazione nei suoi riguardi era assai viscerale.Tutto quel che avesse a che dire con il barcamenarsi al di là della grande roccia, per lui, acquisiva modesta importanza.
«Piccolo, questo dì mi ha regalato un affascinante dono oltre alla ragguardevole pesca, sai?» si confidò Lansa, mostrando un ornamento da polso guarnito di una gemma color cobalto.
Len aprì la bocca dallo stupore, la coda cominciò a roteare solerte, e i suoi occhi spenti s'intersecarono con il barlume opaco emesso dalla pietra.
«Il blu è una tonalità tranquilla, se lodata a dovere può soffiare delicatezza persino alle onde marittime, divenendole dormienti.» spiegò saccente l'uomo, assumendo un tono quasi paterno.
«Davvero? Posso calmare le onde?» s'interrogò esterrefatto il fanciullo, incastonando le sue iridi a quelle di Lansa.Quest'ultimo scostò una ciocca di lunghi e voluminosi capelli dal colore argenteo e tentò: «Puoi calmarle certamente, ma non solo.»
Len cominciò ad assentire in modo infantile, muovendo velocemente il capo.«Se solo lo vorrai, potrai addirittura dar man forte alla tua cupidigia.»
Quel piccolo ometto per quanto fanciullo fosse, possedeva una volontà d'animo senza eguali ed una mente arguta: credette a quelle parole, ma non si sbilanciò.Sapeva che quella pietra non avrebbe spianato le ali al suo desiderio, ma quanto meno non avrebbe smesso di crederci.
«Len voglio porti questo dono, in segno d'amistà e radicato rispetto.» avvicinò il polso del pargolo, vestendolo con quel gioiello prezioso dal valore intrinseco di un luccichevole diamante.«Che il canto del flauto possa inondare queste acque.» si premurò di augurare.
I due spartivano le mattinate a suon di vicende, raccontandosi l'un l'altro.Lansa spesso s'interrogava sui motivi di quel gesto insolito da parte del giovane, il quale poteva vantare d'aver conosciuto ogni aurora di quel sole ancora timido.Len invece aveva adottrinato molte fattezze del mestiere dell'uomo, curiosità sulle creature marine e sul cosa ci fosse oltre la grande roccia.
«Len significa flauto, sai?» confidò il piccolo, accarezzando l'ametista con volto quasi ipnotizzato.«Il mio papà diceva sempre che quando il mare avrebbe udito il cantico del flauto, avrei trovato il tesoro più grande.»
Lansa capii: il desiderio di riabbracciare la figura paterna era tanto forte da poter esser percepito persino da lui.A cuor suo, però, sapeva di dover avvertire il giovane Len di quanto i sogni possano soffocare la vita: se non domati a dovere aggrovigliano le nostre gambe al terreno, impedendoci per sempre di spiccare il volo.
«Quand'io ancora possedevo un irsuta e folta coda come la tua, ragazzo, sognavo di oltrepassare la grande roccia e pescare tutti i tipi di pesci.» due iridi congelate dal tempo emisero una ninfa fugace, tanto fortuita da sgattaiolar via senza farsi scorgere dal fanciullo, che aveva poggiato il suo sguardo sul fiociniere.
«Gli anni scorrevano, il mare cambiava e il mio sogno si radicava ancor più in me.» un percettibile zefiro s'insinuò tra le ciocche argentee dell'uomo, muovendo quella chioma invidiabile.«La mia attenzione era rivolta esclusivamente ad esso, incapace d'adocchiare quanto attorno a me ci fosse.»
Len carpì mestizia nella grave melodia che assunsero quei lemmi, ormai in rotta verso il cielo.
«Una meravigliosa donna, dalla coda più bella che avessi mai visto, gironzolava sempre nei dintorni della mia barca, incuriosita forse dalle mie ambizioni.» accarezzò il tatuaggio inciso sulla sua pelle, irrigidendo il braccio.«Arrivò presto il giorno della mia crescita, la coda si elevò nei meandri dei ricordi, e la mia lattea cute fu marchiata dell'onore della nostra gente. La mia più grande aspirazione stava per dissetarsi d'un fugace oblìo di trionfo: ormai ero libero di solcare le acque aperte con la mia barca, lontano da qualsiasi catena o pensiero.»
«E così è stato, mi pare di vedere!» esordì sornione Len, quasi incitato dal suo amico.
«Per niente, piccolo.» palesò poi Lansa, con fare malinconico.«Ho solcato i mari, ho pescato i pesci più buoni del mondo, ma le catene e i pensieri mi hanno seguito ovunque io andassi.» indirizzò il suo sguardo verso il fanciullo, che aveva pitturato in volto il più totale stato confusionale.
«Solo dopo essermi sentito esente ho potuto scrutare la solitudine del mare.» esalò mordendosi un labbro.
«E soltanto dopo aver compreso il mio errore, rimpiansi l'amore mai sbocciato con quella bellissima donna.»
Len tentennò: quelle parole risiedevano un significato intrinseco che a primo impatto avrebbero potuto alludere proprio a lui. Alla sua castana chioma mossa, baciata dalle onde del vento, divenuta parte di quel movimentato mare. A quegli occhi infantili che mai cessarono di scrutare l'orizzonte, così affascinante e misterioso.Eppure quel pesante macigno che Lansa ebbe scongiurato, fu probabilmente diretto a quel profondo e blu mare, che tanto amava e che tanto disprezzava: una meraviglia così possente era stata capace di far meno ad un uomo del suo dolce sprazzo di felicità, e così come con l'uomo, fu fatta sorte di Len.
Una distesa infinita di cristallino liquido lo aveva diviso da colui che attendeva ogni singola mattina, su quel molo, sperando vivamente di sentire quell'agognata melodia promessa.
Immemore tempo speso in mera attesa, senza la considerazione del solido legame creatosi con quel fiociniere: Len carpì in quell'attimo l'enorme errore che stava commettendo, non badando a quello che la vita gli aveva porto, guardando solo quell'orizzonte sprovvisto di futuro.
Si rese conto che quel che stava cercando, infondo, non era altro che pura felicità: e senza saperlo, quelle mattinate colme di racconti e sorrisi, ritraevano la cima di quella montagna che da solo, impavidamente, aveva cominciato a scalare.

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