Bruciati da un incendio

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Ryan Cooper appoggiò la testa contro il vetro freddo del finestrino del taxi mentre il paesaggio gelido di Virginia correva parallelo ai suoi occhi.

La telefonata della sua ex moglie, Karen, l'aveva lasciato vuoto e pieno di rabbia. Il dolore che provava però ormai era parte di lui. Era un male che non sarebbe riuscito a curare. Ryan lo sapeva.

Sapeva che l'inferno nel quale si trovava non l'avrebbe mai lasciato davvero solo.

Tornava sempre a Virginia una volta l'anno, per il dodici di ogni marzo, giorno del compleanno di lei.

Comperava un grande mazzo di rose bianche, i fiori preferiti di Melissa, e le portava sulla sua tomba. Le posava a terra con cura e rimaneva in silenzio a ricordare i giorni che avevano condiviso. Gli sembrava un tempo lontano, un'altra vita.

Ci pensava mentre l'uomo alla guida del taxi gli domandava qualcosa e lui non rispondeva. Ci pensava mentre le uniche parole che gli rimbalzavano nel cervello erano le ultime che Karen aveva pronunciato al telefono.

<<C'è un testimone, Ryan. Questa volta c'è un testimone.>>

Chiuse gli occhi, sospirò, li riaprì.
Una fila sterminata di pini altissimi colorava il suo sguardo e gli ricordava che Natale si stava avvicinando. Un altro Natale da solo, senza regali. Senza cene, senza alberi pieni di palline colorate, mentre a New York il mondo faceva festa.

Rivide l'ultimo Natale trascorso con Karen e Melissa, quando erano ancora una famiglia. Quando il male, quello che lentamente si sarebbe insinuato dentro di lui, era ancora confinato all'esterno, fuori dal loro privato.
Eppure era stato così vicino, e lui non era riuscito a rendersene conto.

Il caso al quale aveva lavorato e continuava a lavorare mentre insieme alle due donne della sua vita scartava i regali in quella fredda notte di dicembre di dieci anni prima lo aveva portato al limite della sopportazione umana. Otto ragazze assassinate in due anni, e all'epoca non poteva sapere che durante i dodici mesi seguenti ce ne sarebbero state altre cinque, e che una di loro sarebbe stata proprio sua figlia, Melissa.

L'ultima vittima.

Riaprì gli occhi, li strofinò. Riconobbe la chiesa di Virginia. Pochi metri dopo rivide il Browntown Park, l'immenso giardino nel quale, quando Melissa era piccola, lui e Karen la portavano a giocare durante le sere d'estate.

Appoggiò la testa all'indietro, contro il sedile. Tirò fuori dalla tasca del cappotto un tubetto con delle pillole all'interno. Ne prese un paio e le mandò giù senza bere nulla. Erano tranquillanti, e da anni facevano parte del suo quotidiano. Dopo la morte della figlia, lui e Karen non erano stati capaci di continuare a portare avanti il loro rapporto, e il matrimonio si era sfasciato. Ryan aveva lasciato il posto di detective alla Omicidi di Virginia e si era trasferito a New York, dove si era messo in proprio come investigatore privato. L'aveva fatto perché era l'unica cosa che fosse in grado di fare. Indagare, cercare la verità, sempre. In realtà, sapeva che si trattava di una distrazione, un diversivo. Qualcosa per cercare di guardare in un'altra direzione o illudersi di poterlo fare, di tanto in tanto. Istinto di sopravvivenza.

Non c'era mai stato un giorno, in realtà, durante quegli ultimi dieci anni, in cui almeno per qualche minuto non fosse tornato agli omicidi di Virginia. Aveva continuato ad indagare su quel caso da solo, ma non era mai riuscito ad arrivare a nulla. Sapeva che l'uomo che aveva ucciso sua figlia era ancora libero, e poteva respirare, correre, ridere. O uccidere ancora. Tornare a quell'indagine, però, gli faceva troppo male il più delle volte. Spesso apriva le copie dei fascicoli che aveva portato con sé quando aveva lasciato Virginia, incominciava a leggere qualcosa e poi dallo stomaco una sensazione fortissima di nausea invadeva tutto il suo corpo, impedendogli di continuare. Così si alzava, prendeva la bottiglia di whisky dall'armadietto dei liquori, mandava giù due bicchieri e smetteva di pensare al modo in cui la vita gli era crollata all'improvviso in pezzi davanti agli occhi, come un castello di carte.

<<Sei sicuro di farlo?>> gli aveva chiesto Karen, mentre lui, fermo sulla soglia del loro appartamento di Virginia, aveva posato a terra un borsone con poche cose dentro. Quelle più essenziali, quelle che avrebbe portato con sé a New York.

<<Sì, Karen. Sono sicuro. Io... Mi dispiace, davvero. Ma non ce la faccio. Non posso continuare a rimanere qui. Forse domani, o tra un anno o due... Forse ci renderemo conto di non aver scelta, di dover accettare a tutti i costi questa realtà. Ma adesso io non ci riesco. E non posso più vivere in questa città.>>

Karen l'aveva guardato, rimanendo in silenzio. Sapeva che aveva ragione, e in fondo comprendeva la sua decisione. Erano trascorsi alcuni mesi dall'omicidio di Melissa e nessuno dei due, da quel momento in poi, era più stato lo stesso. Avevano condiviso giorni di rabbia e pianti; e se da un lato si erano fatti forza insieme, dall'altro avevano lasciato che un incendio impossibile da spegnere li bruciasse, velocemente.

Lei gli aveva posato una mano sul braccio, poi l'aveva stretto a sé un'ultima volta. Con le lacrime agli occhi l'aveva salutato, rendendosi conto che era un altro pezzo della sua vita che, in silenzio, stava per scivolare via per sempre.

<<Abbi cura di te, Ryan>> gli aveva detto, guardandolo mentre si allontanava.

Ryan riaprì gli occhi, risvegliandosi da quei ricordi.

<<Ci siamo quasi, signore>> disse il tassista, guardandolo dallo specchietto retrovisore.

Lui annuì, poi prese tra le mani una copia del quotidiano che aveva acquistato una volta atterrato in Pennsylvania, il Virginia24.

L'articolo in prima pagina riassumeva ciò che Karen gli aveva spiegato al telefono. Il motivo per cui lui era tornato in quella cittadina.

Lesse il titolo, mentre le mani gli tremavano per le sensazioni che, da dentro, tornavano a galla, con il loro sapore di sangue e terrore.

ORRORE A VIRGINIA.

Ragazza di diciotto anni rinvenuta morta all'interno della Hudson's School, la scuola di danza. La Polizia conferma che si tratta di omicidio, ma al momento non ci sono altre notizie ufficiali.

Sotto, vi era il resoconto di ciò che si sapeva sull'omicidio di Claire Goodway, la giovane vittima.
Ryan l'aveva già letto un paio di volte, ma lo fece ancora.

Accese una sigaretta, arrivò alla fine della pagina e i suoi occhi si soffermarono sul nome del giornalista che aveva firmato l'articolo.

Ethan Welback.

<<Signore>> disse il tassista, fissandolo dallo specchietto <<le devo chiedere di spegnere la sigaretta. Non si fuma, nel mio taxi.>>

Ryan non rispose. Passò un dito su quel nome, accarezzando la pagina del giornale.

<<Signore, mi sente? La sigaretta, per favore.>>

L'ex detective abbassò il finestrino, continuando a non rispondere, e gettò fuori la sigaretta ancora accesa.

I suoi occhi erano tornati a posarsi ancora una volta sul nome al fondo della pagina.

Ethan Welback.

La ballerinaΌπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα