WhilmoreVille

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Piove fuori.
L'acqua scroscia sul tettuccio della macchina di mio padre,come se volesse sfondarlo.
Milioni di proiettili bagnati vengono sparati senza problemi e colpiscono vittime ignare,uscite sprovviste di ombrelli.Sul finestrino accanto a me,le gocce scivolano velocemente,si rincorrono come bambini felici che giocano ad acchiapparella,ed io ne seguo il percorso con il dito.
Sorrisi,era una cosa che facevo sempre da bambina,mi faceva stare meglio,e dopo tutto quello che ho passato ho bisogno di stare bene.
Mi alzai con la schiena dal seggiolino della macchina,ormai diventato troppo scomodo,e feci una smorfia quando lessi"Benvenuti a WhilmoreVille"eccoci qui,l'incubo ha inizio.
Leggendo quel nome aggrottai le sopracciglia:suonava così spaventoso e poco accogliente."Chi vorrebbe mai vivere in un posto così raccapricciante?"mi domandai mentalmente.Poi una figura alta e snella si figurò nella mia mente come una vecchia fotografia in bianco e nero.
Dopo due settimane di litigate,discussioni e arrufianamenti,mio padre aveva deciso che sarei venuta ad abitare con quella pazza di mamma,ugualmente.
Siamo partiti alle sei e trenta di questa mattina,quando mio padre mi svegliò senza preavviso dal mio piacevolissimo sonno.Mi tirò letteralmente giù dal letto,mentre io continuavo a lamentarmi di quanto fosse presto.Quando però lui mi dissi di terminare le mie valige per la prossima settimana,mi ripresi del tutto dal mio stato di coma cominciando subito a fare domande su questa partenza improvvisa.Da quello che avevo capito,o meglio sentito mentre origliavo una delle chiamata tra i mie genitori,sarei dovuta venire in questo postaccio tra qualche settimana,almeno fino alla fine del primo trimestre scolastico.Mio padre continuava a guidare indisturbato,come se il fatto di aver appena distrutto la vita di sua figlia non lo disturbasse affatto.Dopo aver girato a sinistra e poi a destra,finalmente inizia a vedere degli edifici.Da quello che mi sembrava di vedere,WhilmoreVille non era una grande città,e forse quello era anche il termine sbagliato per chiamarla.Sembrava più un piccolo paesino,con dei palazzi spogli,qualche casetta in legno,e in centro delle persone che camminavano e guidavano la loro automobili liberamente.Era tutto così calmo e tranquillo,allora perché non riesco a scrollarmi di dosso questa orribile sensazione di pericolo?È come se una volta entrata qui dentro non sarei più riuscita ad uscirne.
«Siamo quasi arrivati»disse mio padre sorridendo.Non so perché,ma ho come l'impressione che non veda l'ora di liberarsi di me,tutti quei sorrisi e il silenzio glaciale che riempie l'auto da quando siamo partiti.Di solito mio padre non sta zitto neanche un secondo,soprattutto in viaggi così lunghi,e la sua auto è il suo palco privato.Ci siamo sempre divertiti a cantare le canzoni che passavano alla radio,facendo finta di essere delle rock star a uno dei suoi concerti,alcune volte facevamo delle vere e proprie sfide.Ma questa volta neanche la canzone del mio cantante preferito potrà tirarmi su il morale.Dopo pochi minuti,la macchina iniziò a rallentare fino a quando papà non frenò del tutto,davanti ad una piccola casetta.
Assomigliava ad cottage,piccola e stranamente accogliente,forse il colore giallo canarino mi trasmetteva un senso di serenità.«Allora ne sei ancora capace»disse mio padre mentre mi guardava,probabilmente si riferiva al grosso sorriso che si era creato sul mio volto.L'idea di rivedere mia madre dopo otto lunghissimi anni,mi aveva fatto crescere un ansia terribile.Io e lei siamo sempre state agli antipodi,lei è molto alta,cosa che io non sono,ha il fisico asciutto e i fianchi stretti,lunghi capelli neri e occhi azzurri che le illuminano il viso pallido.I suoi occhi sono luminosi e le hanno sempre dato un'espressione tranquilla.È sempre stata una persona estroversa,amante della compagnia,e le persone adoravano averla attorno,me per prima.Io invece sono il contrario,assomiglio più a papà:sono un mix di sarcasmo e acidità,ma con le persone a cui voglio bene divento quasi un'amore.«Sei pronta?»mi voltai verso mio padre e presi un grosso respiro,mi slaccia la cintura e presi il mio zaino eastpak giallo scuro,prima di uscire dalla macchina.Una ventata di aria fredda mi colpì in pieno come una mazza da baseball,chiusi il giubbotto verde militare«Tu vai pure,io prendo le tue cose»acconsentii alle parole di mio padre,perfetto non avevo per niente voglia di prendere tutti i mille scatoloni che erano stati infilati nel bagagliaio.Percorsi il vialetto di sassi che separava il giardino verde in due metà perfette,su una di queste sorgeva un'altalena in metallo che un tempo dev'essere stata verniciata di rosso,e su un'altra era presente un piccolo orticello dove vi erano state piantate quelle che sembravano verdure.Posso riconoscere la tendenza,o meglio fissazione di mia madre sul mangiare cibo sano,anche da qui.Ogni passo che facevo verso la porta era uno indietro che volevo fare verso la macchina,dopo quella che mi sembrò un eternità arrivai sotto il grosso portico in legno scuro e dopo aver preso un po' di coraggio suonai il campanello.Il rumore sordo di quello che sembrava una pecora morente aumentò il mio disagio,la porta si aprì con un cigolio rivelando una figura alta e snella«Agatha?».
«Ciao mamma»

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⏰ Last updated: Dec 16, 2016 ⏰

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