09. 'Mi dispiace molto, Afrodite'

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"Dottore, a dire il vero non penso di esserne sicura" sussurrai chiudendo gli occhi. "Non sono ancora pronta" il dottore mi guardo da sotto la montatura degli occhiali con un sorrisino stampato sul volto.

"Allora facciamo in questo modo. Questa è la cartella con l'ecografia morfologica, già ti ho detto che tutto sta procedendo bene e che quindi non hai motivo di preoccuparti. Adesso scriverò un biglietto e lo inserirò all'interno della busta così, quando ti sentirai pronta, potrai scoprire tu stessa se avrai un maschietto o una femminuccia. Va bene?" suggerì il dottor Bexlaham rivolgendomi un altro sorriso.
"Penso che sia perfetto" acconsentì Ryan al mio posto stringendomi la mano. "Non credi anche tu, Afrodite?"
"Sì, anche per me va bene" mormorai. Il dottore oltrepassò la tenda andandosi a sedere alla sua scrivania, nel frattempo ne approfittai per sistemarmi i vestiti. Indossai il cappotto, presi la borsa e mi avviai, con Ryan, dal medico. "Quindi ci sentiamo prossimamente per l'appuntamento?"
"Sì, ci sentiamo prossimamente. So che hai bisogno di lavorare ma mi raccomando: non stancarti più del necessario." dopo essersi alzato, il dottore mi passò la busta, poi si girò verso Ryan. "Mi ha fatto piacere conoscere il fidanzato della piccola Afrodite, mi raccomando si prenda cura di lei e si assicuri che stia al riposo"
"Oh, no, no signor Bexlaham, lui non è il mio fidanzato" poggiai una mano sulla spalla di Ryan che era rimasto leggermente sconcertato dalle parole del dottore. "Lui è il mio migliore amico"
"Oh, mi scuso allora" mormorò il dottore cercando di nascondere l'imbarazzo. "Apri la busta quando te la sentirai. Maschio, femmina o entrambi, un figlio è pur sempre un figlio e ti renderà felice nonostante tutto"
"Grazie, dottor Bexlaham. Le auguro una buona continuazione" salutai il dottore con un gesto della mano.
"Anche a voi. E buone feste" rispose, per poi chiudersi la porta alle spalle.

L'aria fredda all'esterno del St. Judes Hospital mi colpì il viso non appena varcai le porte dell'ospedale. Era il quindici dicembre e l'inverno, in Canada, era davvero freddo. Ero incinta da già cinque mesi e gli ultimi tre erano davvero volati. Dopo il fatidico bacio in camera mia il giorno successivo al concerto di beneficenza, non avevo più avuto occasione con Justin di rivivere quei momenti o anche semplicemente di parlarne. Eravamo troppo imbarazzati, o forse semplicemente sapevamo che la nostra storia era destinata a finire ancor prima di cominciare. Nonostante questo, il nostro rapporto non era affatto peggiorato, anzi, migliorava giorno dopo giorno. Dimostrava ogni momento, ogni secondo della giornata, che voleva il mio benessere e che ci teneva tanto sia a me sia al mio bambino. Ogni settimana facevamo una foto insieme per immortalare il cambiamento del mio corpo e la prima che avevamo fatto insieme la aveva come sfondo sul cellulare da ben tre mesi. Lo amavo ogni giorno di più.
Purtroppo nonostante volesse sapere, forse anche più di me, se avessi avuto un maschietto o una femminuccia, quel venerdì pomeriggio Justin aveva avuto un contrattempo a lavoro e di conseguenza sarebbe dovuto rimanere un paio d'ore in più in negozio assieme ad Andrew. Quando gli avevo spiegato che con l'ecografia morfologica non solo scoprivo se stava andando tutto bene e se quindi il bambino non aveva malformazioni ma anche il suo sesso, era andato in fibrillazione e aveva avviato una ricerca al nome perfetto. Peccato che tutti quelli che avesse scelto non mi piacevano neanche un po'.
Ryan, invece, non lavorava quel pomeriggio, per cui aveva deciso di accompagnarmi lui a London per la visita e di riaccompagnarmi a casa. Purtroppo non sarebbe potuto rimanere perché aveva un impegno con sua madre, ma la sua presenza era stata essenziale. Era il mio migliore amico, averlo al mio fianco mi infondeva coraggio. Per le quattro e mezza circa tornammo a casa, Ryan non andò via prima di aver salutato me con un abbraccio e la mia pancia con un bacio. Cominciai subito a rassettare casa dato che né io, né Pattie, né Justin ne avevamo avuto il tempo. Loro non volevano che mi sforzassi troppo, però volevo tenermi in allenamento per quando avrei trovato e avuto una casa mia. Non volevo restare ancora troppo in quella casa perché, per quanto mi piacesse, Justin e sua mamma non avevano più la loro privacy e spesso mi sentivo il terzo in comodo. Inoltre, nell'arco di quattro mesi avrei partorito e volevo che mio figlio potesse crescere in una casa sua, volevo avesse una sua camera e potesse sentirsi libero di fare tutto ciò che desiderava.
Quando finii di pulire, mi precipitai in camera mia e mi sedetti sul letto prima di continuare. Chiusi gli occhi, sospirai e poggiai la testa al muro accarezzandomi la pancia.
"Chi lo sa la nonna che sta facendo, eh, amore mio?" mormorai. "Sai, anche se ha sbagliato a cacciarmi di casa, so che se n'è pentita. Ed io la amo ancora. Sai cosa facciamo adesso? Le scriviamo una lettera dove le raccontiamo cos'è successo oggi."
Erano mesi che avevo cominciato a scrivere lettere a mia madre, lettere che però non avevo mai spedito, dove le dicevo che le volevo bene, che la perdonavo e che stavo bene. Le raccontavo di quanto bene mi facesse stare Justin, di come mi sentivo, del fatto che mio padre non sapesse ancora nulla. Mi piaceva parlare con lei in quel modo e, anche se in realtà non riceveva quelle lettere, mi faceva sentire bene scriverle come se mi stessi sfogando con lei. E anche quel pomeriggio le raccontai di come si era svolta la giornata fino a quel momento, di com'era andata la visita, del fatto che non mi sentivo ancora pronta a sapere se avrei avuto un maschio o una femmina. Le dissi che mi mancava. Che la amavo. Che la aspettavo. Che non vedevo l'ora di riabbracciarla e di farle vedere quanto bella la mia pancia fosse, perché all'interno c'era mio figlio, suo nipote. Conclusi la lettera con un 'Ti amo, mamma. Ci vediamo presto', dopodiché la posizionai assieme a tutte le altre che le avevo scritto nel corso dei mesi.
"Bene, adesso andiamo a sistemare camera di Justin" dissi alzandomi ed entrando in camera di Justin che, a differenza delle altre volte, era completamente sotto sopra. "Oh, Justin, ancora devi capire che per prima cosa, bisogna fare il letto?" mormorai guardando il letto completamente pieno di magliette, pulite per di più. Sistemai il letto, i vari oggetti sui comodini, penne e fogli sulla scrivania, la chitarra. Insomma, ogni cosa che non era al proprio posto. Mi sedetti poi sul letto e cominciai a piegare le maglie che evidentemente Justin aveva provato e poi cambiato. "Una donna sarebbe stata più ordinata di te" presi la pila di maglie, mi alzai e aprii le ante dell'armadio inserendo le magliette. Feci per richiuderle, ma qualcosa attirò la mia attenzione. Era una cinta. "Questa che ci fa qui?" presi la cinta tra le mani e la osservai. Erano mesi che non la indossavo più - non che ne avessi la necessità.
"Hei, quella non è tua" sbottò Justin entrando in camera sua e prendendomi la cinta dalle mani.
"Sì che è la mia, Justin. Sono mesi che non la trovo, pensavo che mia madre si fosse dimenticata di darmela quando mi ha cacciata" replicai portando le braccia lungo i fianchi.
"È impossibile, Afrodite, questa l'ha persa una ragazza ed io dovevo ridargliela" mormorò Justin abbassando lo sguardo sulla cinta.
"Justin, ti dico che è la mia. Me la regalò mio padre quando andai da lui in California, è di vera pelle e, dietro al secondo passante, mi ha fatto incidere una A e una J. Afrodite Jackson" continuai con un tono dolce. Non volevo che si arrabbiasse. Justin girò la cinta e sbiancò di colpo quando vide le due lettere incise.
"No, no, è impossibile.. Questa cinta l'ha persa una ragazza in discoteca.. L'ha dimenticata quando si è rivestita.." mormorò Justin portandosi le mani tra i capelli. "Non può essere la tua se so che è la sua perché l'ho vista andar via e questa era per terra e.." Justin si avvicinò alla porta, si poggiò completamente ad essa guardando il vuoto, in cerca di una spiegazione.
Ma quella era la mia cinta. Era la mia, c'erano su le mie iniziali, doveva per forza esserci una spiegazione plausibile. Cercai di ricordare quand'era l'ultima volta che l'avevo messa, non la vedevo da un po' per cui l'avevo sicuramente indossata prima che mia madre mi cacciasse di casa e prima ancora della punizione di due settimane. Facendo mente locale, mi ricordai di averla indossata quella sera in discoteca.
Ebbi un flashback.

Sta per nascere un..Where stories live. Discover now