Ouverture (II)

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 Giuseppe e Carlotta. Oggi sposi.

A giudicare dalle reazioni degli invitati, tutti ammassati alla ricerca della propria collocazione, la miriade di ghirigori che circondava i nomi degli sposi sul tableau doveva possedere delle proprietà allucinogene. Una buona parte dei duecentosettantaquattro ospiti, tra cui anche Beatrice e Nina, aveva deciso di ritrovarsi sulla porta d'ingresso della sala Achillea – la più luminosa e la più ampia – del sontuoso albergo gestito da Giuseppe, Il Roseto.

Bea, persa tra gli arabeschi in attesa di Nina che elargiva sorrisi e auguri a metà famiglia De Luca, lesse con sollievo la posizione dei suoi genitori, piazzati tra qualche vecchio amico che non vedevano da anni e con cui avevano mille cose da dirsi. Tuttavia, cercando il proprio nominativo sul disegno in scala della sala, si scoprì poco pronta alla sorpresa che le era stata riservata.

Come diritto di nascita imponeva, il suo nome era stato posto in mezzo a quello di Nina e di Lucia. A Carlotta era sempre piaciuto fare le cose con ordine e disciplina, non per nulla era la miglior personal trainer della zona. Questa volta, però, le sue abilità organizzative avevano fatto cilecca su un punto, perché qualcuno poco intelligente – giacché un'azione del genere doveva per forza implicare una dimensione del cervello inferiore alla media – aveva preso quel bel disegnino e fatto un po' di confusione.

«Secondo te hanno sbagliato?» bisbigliò nell'orecchio di Nina, con un tono più impaziente di quanto avrebbe mai voluto ammettere.

«Cosa? Ah, parli di Benedict al nostro tavolo? Ne dubito.»

Bea sospirò, il solo pensiero di dover passare la serata con quel soggetto lì, dall'ingresso trionfale degli sposi al primo ballo in coppia, con quel soggetto lì, dai ravioli alla zucca fino alla torta meringata al limone, con quel soggetto lì, le infondeva in corpo una certa ansia.

Ciononostante, le esclamazioni euforiche si sommarono agli auguri e ai saluti di rito, quando le sorelle Bianchi si ritrovarono attorno al tavolo insieme ai fratelli più piccoli di Carlotta, Maria e Jonathan – Bea era pronta a metterci la mano sul fuoco, i due si trovavano in loro compagnia grazie a qualche magia orchestrata da Jonny, per via di quella sua eterna e bizzarra voglia di muoversi sempre nello spazio vitale di Lucia.

Benedict apparve alle spalle di quest'ultima in un silenzio tombale. «È... ehm... un piacere rivedervi» abbozzò una frase di cortesia nell'incontrare gli sguardi diretti dei suoi compagni di cena. Avrebbe potuto apparire quasi sincero, ma anche quella sera, anche in una situazione così rilassata e tranquilla, sembrava piuttosto nervoso. A disagio, era sempre a disagio: osservatore attento di tutto quello che gli accadeva intorno, non si esprimeva mai se non sotto costrizione e così diventava impossibile riuscire a capire cosa gli passasse per la testa – non che Bea non avesse già provato più e più volte.

Dopo un estenuante silenzio che nessuno si curò di colmare, Beatrice diede voce alle sue perplessità: «Dove hai trovato il tempo per farci l'onore della tua presenza?» chiese senza alcuna intenzione di mordersi la lingua per il tono impertinente. Erano mesi che Devereux non si faceva vedere, quella era una curiosità più che legittima. E le piaceva osservare quegli occhi azzurri roteare verso il cielo. Provocarlo, d'altra parte, era sempre stato molto più semplice che ignorarlo.

«Vacanze di Pasqua» spiegò lui. Poi, viste le occhiate d'attesa che si guadagnò, si impose di continuare. «La zia sta ospitando me e mio cugino Riccardo.»

La zia era donna Caterina Antonietta Bonaccossi, antica marchesa, proprietaria del Roseto, beneamata benefattrice di Giuseppe, e dimostrazione vivente di vetuste verità perché la mela, è cosa nota, non cade mai troppo distante dall'albero. Il cugino, invece doveva essere un non meglio identificato ulteriore commensale in ritardo.

Il gioco dell'ostricaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora