Capitolo 4

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Alcuni piccioni stavano volando incircolo sopra la testa pensierosa di Annabeth. La ragazza avevaattraversato circa due città, indagando su di un certo Crowley,senza conquistare il benché minimo indizio su dove quel demone sitrovasse. Erano passati ben duecentonovantadue anni ed era abbastanzainutile cercarlo col suo vero nome: Fergus era ormai un mucchiod'ossa. Inoltre, se avesse usato anche un solo piccolo incantesimo ouna millesima parte dei suoi straordinari poteri, i demoni – opeggio – l'avrebbero trovata.

Annabethentrò in una tavola calda dall'insegna vecchia e malridotta.Perfetta per passare inosservati. Si sedette ad un tavolo in fondoalla sala e attese il caffé dopo averlo ordinato. Era caldo, ma nonabbasta; tuttavia, resistette dal porre le mani attorno alla tazzaper riscaldarla e si accontentò.

Lacameriera e i clienti non davano segni demoniaci di alcun tipo. Laloro faccia era a posto, era umana, le loro auree idem. Ma vi eracomunque qualcosa, nell'aria, che non la convinceva.
Annabethbuttò qualche moneta vicino alla tazza del caffè e uscì dallatavola calda come qualcuno che si è appena ricordato di averlasciato il gas di casa aperto. In un lampo era fuori da quellabettola e scorreva veloce tra le strade del paesino di cui nonricordava nemmeno il nome. Che strano,pensò la ragazza: come ci sono finita fin qui?

Annabethripensò alle ultime tappe: due cittadelle e mezza, l'ultima sosta inquella tavola calda da brividi... Ma prima? Erano passate settimaneda quando era scappata dal suo rifugio, impossibile che avessemacinato così pochi chilometri, sebbene fosse a piedi. Eall'improvviso, come un funghetto dopo una giornata di pioggia,spuntò fuori un ometto dall'aria timida e solitaria. Sostava a pochedecine di metri da lei e la guardava quieto. Fu in quel momento cheAnnabeth si rese conto che nei dintorni vi erano solo lei equell'uomo.
«Ehilà?»sospirò Annabeth col cuore in gola.

L'uomole sorrise.
Laragazza pensò che fosse un tizio amichevole, ma perché diavolo nonc'era nessun altro? Un incubo?

«Stabene, signore?» Annabeth non si rese conto di essersi avvicinata aquell'uomo finché questi non le toccò una spalla.

«Ciao,Annabeth» salutò l'uomo.

Orache la ragazza gli era vicina, poteva notare quanto fossero azzurri isuoi occhi. I capelli castani spazzolati all'indietro alla rinfusagli davano un'aria sbarazzina, ma il volto era quello di una personasaggia ed estremamente vecchia. Indossava un meraviglioso completobianco – anche la camicia e la cravatta erano bianchi, persino lescarpe! – così luminoso da dar fastidio alla vista di chiunque, maAnnabeth riusciva a fissarlo senza dover ripararsi gli occhi. L'uomoemanava una luce spaventosamente soprannaturale, tanto che la ragazzanon poté fare altro se non fissarlo a bocca aperta.

«Saidove siamo?» le chiese l'uomo infilandosi le mani nelle tasche deisuoi candidi pantaloni
Annabethlo guardò dubbiosa: probabilmente si era addormentata in qualchevicolo o davanti ad un panino ed era crollata nel mondo dei sogni.Oppure non si ricordava di essere morta e quello era il suo Paradisopersonale. Ma non era del tutto sicura che la sua razza avessediritto ad un luogo così puro. «Si tratta di un sogno?» disse,infine, la ragazza. In fondo, quell'uomo sapeva il suo nome.

«Sì.Ti sei addormentata in compagnia di alcuni vagabondi che ti hannoofferto del cibo e una coperta. Sei al sicuro, tranquilla» le dissecordialmente.

«Machi sei? Perché sei nel mio sogno? E come hai fatto ad entrarci?!»Annabeth era più furibonda che spaventata. Sentiva già ribollirleil sangue nelle vene, ma nei sogni le emozioni sono alterate e piùvigorose e mantenere il controllo le risultava difficile.

«Oh,non importa chi io sia e come abbia fatto ad entrare nella tua mente»le disse l'uomo. «Importa solo il perché

«Alloraperché sei nel mio sogno?» gli chiese nuovamente Annabeth.

L'uomo,spostando il peso su di una sola gamba magra come un grissino ma piùforte di quanto sembrasse, cercò le parole giuste per risponderle.«Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Unmomento, credo di aver capito...» Annabeth indietreggiò. «L'unicoessere che può entrare nei sogni della gente è un angelo, ecco cosasei!» esclamò felice.

Mal'uomo negò con un leggero cenno della testa. «Non sono un angelo.Né sono un demone. Non sono nemmeno un umano o uno stregone. Ma sevedessi il mio vero volto, la tua mente esploderebbe.»

Annabethsi accigliò. Non riusciva proprio a capire chi diamine avesse difronte. Forse un profeta? O un arcangelo? Probabile. Poi la ragazzasi ricordò della richiesta di quell'uomo e si ricompose, eliminandoogni traccia di insicurezza. «Hai detto che hai bisogno del mioaiuto, prima. Che cosa intendevi?» gli chiese.

«Soche muori dalla voglia di parlare a Fergus, vale a dire Crowley.Ebbene, ci sono due ragazzi, due uomini, che possono aiutarti. Sichiamano Sam e Dean Winchester. Sono due fratelli e loro hannoCrowley, ma stanno cercando Castiel, un angelo, il quale è piùfacile da ritrovare, credimi. Ho bisogno che tu vada da Castiel,riportalo in carreggiata, poi lui ti condurrà dai Winchester edallora avrai Crowley.»

Annabethrestò allibita. «Come fai a sapere tutto questo?» gli chiese quasisenza fiato.

L'uomodistese le labbra in un sorriso delicato. «So molte cose» le dissesemplicemente.

NemmenoAnnabeth seppe spiegarsi come, ma gli credette. Diede fiducia allosconosciuto piombato nel suo sogno, ascoltò le sue informazioni, lesue raccomandazioni e stette molto attenta a ricordarsi il luogo incui era nascosto Castiel.

«Okay,bene» fece la ragazza incrociando le braccia. «Tutto ciò che devofare, adesso, è svegliarmi e andare da Castiel?»

Luifece cenno di sì.

«Euna volta che avrò trovato l'angelo? Insomma... Per quale motivodevo ritrovare questo Castiel?»

«Unavolta che avrai trovato l'angelo» le rispose l'uomo, «la strada tisi aprirà davanti da sola. Si è perso e non sa come tornare suipropri passi, quel poveretto.»
Annabeth,dunque, acconsentì. Trovare un angelo, per lei, era davvero unasciocchezza. L'unico modo per farlo era attraverso un incantesimo. Laragazza non ebbe nemmeno il tempo per chiedere all'uomo come avrebbefatto a svegliarsi che eccola riaprire gli occhi in quel vicolodimenticato – si fa per dire – anche da Dio.

Bene.Perfetto. E ora? si disse.

Annabethsentì la brezza fresca delle prime ore dell'alba. Il sole stavacominciando a farsi strada tra le nuvole violacee e lei svegliòBart, il vagabondo che dormiva accanto a lei. Lo ringraziò di cuoreper l'ospitalità e lui la salutò a nome di tutti. Le diede unpanino vecchio di due giorni da portar via, senza dirle che quelpanino era anche l'ultima cosa che gli rimaneva da mangiare.

Passodopo passo, Annabeth si allontanò dal vicolo e prese a camminaresempre più velocemente in una strada frequentata da gente con lapuzza sotto il naso e bambini troppo impegnati a fare i bulli peraccorgersi di quanto bello fosse passeggiare per mano alla propriamadre prima di essere lasciati a scuola.

Fulì, in quel preciso istante, che Annabeth vide un vecchio ristoranteabbandonato. L'insegna sbiadita ed ingiallita dal tempo e dallapioggia faceva pensare ad una tavola calda anni '50, mentreall'interno sembrava messo tutto sotto sopra, tavoli e sedie lasciatelì a marcire e a far da casa a tarme e ratti dalla coda grassoggia.Convenne che sarebbe sgattaiolata al suo interno, ma passando per ilretro. Quindi, superò l'angolo dell'isolato e percorse la strada aritroso fino ad una porta mangiata dalla muffa.

Vientrò e scaricò sul bancone la sua sacca. Il rumore di vecchie armie arnesi per gli incantesimi e la loro eco le misero i brividi.

All'internodel locale non vi era anima viva, a parte strani animaletti nati ecresciuti lì.
Unoalla volta, lentamente, sfilò fuori dalla sacca ingredienti, ciotolee fiammiferi.

Conun gessetto, disegnò poi a terra un simbolo enochiano – era latraduzione del nome Castiel – e vi si posizionò sopra,cominciando a recitare l'incantesimo.

Darkness & LightNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ