2. Fight to survive

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Osservo mia madre sorridere alle telecamere – le quali riprendono per la maggior parte del tempo, persino gli sbagli. Resto in attesa di uno sguardo, un piccolo cenno anche impercettibile verso di me, ma ormai so per certo che questa mia volontà non si esaudirà mai.

Durante le riprese di una scena, lei entra nel suo mondo fatato, e tutto il resto cessa di esistere. Persino me, sua unica figlia.

Vederla così serena e stralunata, però, è sufficiente per non farmi pesare questa pecca. Sul set diventa completamente padrona delle sue mosse, delle sue parole. Sembra essere nata apposta per svolgere questo lavoro. Il risultato finale la imbarazza, ma i riconoscimenti sono quelli che le fanno abbattere la paura di rivedersi in un film. Essere arrivata agli Oscar – seppur non ne ha mai vinto uno – è stato un traguardo agognato ma desiderato, per lei.

«Aspetta, come fa Ordulfo alla scena iniziale con Bertoldo? Non riesco a ricordare bene la scena dei posti del teatro». Le lamentele di un ragazzo dai capelli tinti di rosso mi riportano al presente, provocandomi una profonda nostalgia interiore.

Avere dei flashback su mia madre fa male, specie quando si tratta di episodi belli ma con un retrogusto leggermente amaro.

«Dio Santo, Hi-Yong... non ti ricordi mai niente... fra pochi minuti dobbiamo andare in scena, non puoi fare la figura dell'ebete, come tuo solito...» gli risponde a tono un ragazzo un po' più basso del primo, forse un metro e settantacinque che giunge la vetta con una cresta di capelli tinti di biondo.

Al suono delle sue parole colme di esasperazione, un lieve sorriso curva le mie labbra all'insù.

Mia madre queste parole poteva sentirsele dire soltanto negli incubi, ma forse anche lì sarebbero risultati fuori luogo per un'attrice come lei. Aveva una memoria di ferro, ricordava le sue battute come se fosse ciò che direbbe tutti i giorni. Leggeva il copione giusto un paio di volte, e già alla terza rispondeva senza neanche vedere più l'ordine delle battute, o le parole delle battute stesse. Forse aveva un registratore al posto del cervello, ma questo era uno dei suoi migliori pregi.

«Allora dammi subito un copione e fammi leggere le prime battute, Kai. Se non vuoi che faccia una figura del cazzo, collabora».

Come se quel "dammi subito" fosse stato rivolto proprio a me, le mie braccia tese in avanti subiscono una scossa improvvisa, la quale crea un'oscillazione che rischia ben tre calici di analcolico sparsi a terra.

Il mio forte sussulto richiama l'attenzione dell'organizzatore del palcoscenico, che afferra prontamente il vassoio prima che le mie mani possano lasciarlo cadere.

Butto fuori l'aria trattenuta, mentre il cuore in gola si dissolve leggermente, riprendendo i suoi battiti anche se leggermente accelerati.

Tento di ricompormi in fretta, mentre il ragazzo di fronte a me si assicura di poter tranquillamente lasciarmi di nuovo il possesso del vassoio, sorridendomi.

«Ehm...» gli rivolgo un piccolo sorriso colmo di imbarazzo, non avendo la più pallida idea di come ringraziarlo. «Ragazzi, ci sono i vostri Crodini bianchi.» Avverto il gruppo di ragazzi elettrizzati ed eccitati.

Subito i tre che avevano bisogno di qualcosa da bere ritirano la loro ordinazione, ed io lancio un piccolo sguardo al ragazzo al mio fianco, colui che mi ha salvata da un tragico augurio di inizio lavoro.

«Altri dieci minuti di preparazione e si va in scena. Niente alcol e niente fumo per tutti, intesi?» Urla, guadagnandosi una squadra di schiamazzi contrariati o esaltati.

C'è chi non vede l'ora di cominciare, e chi invece ha paura anche solo di uscire allo scoperto... è una cosa abbastanza comune da vedere in questi ambienti, anche se si tratta di maschi.

ROYAL HEARTSWhere stories live. Discover now