8. Hopeless soul

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Quando esco dalla stanza della direttrice, mi sento decisamente me­glio di quando sono entrata.

Faccio un respiro pieno e triste – non so cosa fare riguardo all'allog­gio... accettare equivale a rinunciare a questo lavoro senza sapere cosa mi aspetterà dall'altra parte della medaglia – e mi avvio lungo il corridoio per raggiungere nuovamente la sala del nightclub, la mia postazione di lavoro.

Seppur il mio intento sia restare il più possibile presente nella mia stessa mente, senza lasciarmi trasportare ancora dai pensieri negativi, il rumore strano e assordante – che porta a pensare ad una rissa – mi blocca sul posto e mi costringe a riprendere il passo senza avere una meta precisa, facendo quindi la svolta dell'angolo davanti a me. 

Il mio inconscio ci vede giusto infatti, non appena passo il muro che impediva la visuale del frastuono, un gruppo abbastanza numeroso di persone sono appostate davanti alla sala slot. I loro sguardi sono tutti rivolti verso l'interno della stanza – non riesco a capire se sono spa­ventati o affascinati – mentre dall'interno riecheggiano grida e cose che vengono distrutte. 

Anche se volessi passare di lì e far finta di nulla, continuando per la mia strada, sarebbe impossibile non far cadere almeno un occhio sul casino che starà avvenendo in quella stanza...

È proprio quello che non faccio, quindi.

Riprendo il passo fino a raggiungere il gruppo di persone ancora im­mobili davanti alla porta – sbaglio o c'è un ragazzo con il microfono e una fotocamera grossa quanto la sua faccia? – e in uno scatto ful­mineo volto la testa verso l'interno della stanza, restando di sasso nello scoprire che non si tratta affatto di una rissa fra più individui.

Anche se l'unica persona coinvolta nella spietata rabbia si trova volta­ta di spalle, riesco a riconoscere senza il minimo sforzo quelle braccia muscolose e le spalle larghe, ma è in particolare la maglietta bianca che gli fascia il busto che mi aiuta a collegare.

Non so cosa mi spinga esattamente a farlo – forse perché lui mi ha soccorsa in mezzo alla folla danzante, e adesso vorrei poter ricambia­re – ma nonostante tutti gli spettatori restano ancora ad assistere e chiedersi cosa sia preso al ragazzo, mi fiondo nella stanza e schivo con attenzione i cocci di vetro sparsi a terra, provenienti dallo scher­mo di una slot machine. 

«Jun, fermati» grido per attirare la sua attenzione, e per un attimo riesco ad ottenerla, perché il suo sguardo feroce si posa su di me come a cercare una via d'uscita.

È un secondo, però.

L'attimo dopo, contrariamente alla mia pazza speranza, ritorna con lo sguardo sulla macchina da gioco che stava distruggendo e, in un impeto di rabbia, scaraventa a terra tutto, costringendomi ad indie­treggiare. 

Riesco ad intravedere il fotografo che entra nella stanza e scatta sen­za neanche dare un aiuto, e nel mio attimo di distrazione la Bestia umana mi si piomba di fronte con lo sguardo di una iena.

«Dammi ascolto e vattene da qui, cazzo» mi ringhia contro, con l'intento di spaventarmi. 

Ci riesce: i miei occhi esprimono puro terrore. 

Ma, a differenza del mio sguardo, il corpo non è dello stesso avviso.

Non mi sposto, stavolta. Non indietreggio per la paura che ho di lui.

Sostengo il suo sguardo e lo affronto a testa alta: «Perché dovrei an­darmene, se neanche ti creo disturbo?»

«Chow Chow... tu ne crei eccome» puntualizza, convinto delle sue pa­role. 

Il suo volto sembra avvicinarsi sempre di più al mio, mentre il suo profumo di tabacco e loto pizzica sotto alle mie narici.

«Prova a starmi lontano, se non vuoi vedermi...» tento di dire, sep­pur il pensiero mi faccia sentire un po' vuota.

ROYAL HEARTSWhere stories live. Discover now