6. Live in your mind

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«Andiamo, te ne prego... ti pagherò la quota mancante e quella a venire non appena riceverò il primo stipendio». Unisco persino le mani a mo' di preghiera, giusto per dare maggiore enfasi alle mie parole.

Sono disperata, e forse anche troppo.

Non posso lasciare questo hotel, assolutamente.

Dove andrei a dormire, altrimenti? Dovrei vendermi un rene – o forse anche entrambi – per permettermi l'affitto di una casa a Seoul. «Sai che non posso allontanarmi da qui, quindi qualsiasi cosa succederà non mollerò tutto senza pagarti» provo ancora, sperando di essere compresa.

Ripeto: non me ne posso andare. Mia madre è ricoverata da qualche parte nelle vicinanze, io devo attendere un verdetto sulle sue condizioni ed intanto ho appena iniziato a lavorare per racimolare un po' di soldi per me e lei.

Non posso andarmene a vivere sotto ad un ponte, a rischiare un'infezione alle vie urinarie e una lenta morte per assideramento. 

«Te l'ho già detto, Nina. Questa è la prassi: è un mese che ho lasciato sorvolare, perché come te ho sperato nelle forze di tua madre, ma non posso più continuare a lasciarti vivere qui, neanche se domani dovessi portarmi tutta la somma mancante – perché sì, le spese erano coperte fino al mese scorso. So che è brutto sentirti dire queste cose, ma questa è l'ultima notte che ti è permesso stare qui. Domani, alle dieci e mezzo del mattino, dovrai aver già fatto il check out e sgomberato tutta la stanza» ribatte, freddo ma comunque con compassione.

Conosce tutto l'accaduto ma, nonostante ciò, non mi lascia restare almeno un altro mese...

«Cercherò di parlare con la mia datrice di lavoro. Sul serio, mi farò dare un anticipo urgente, e te lo porterò fra pochissimo» decido, avviandomi subito verso l'uscita della hall.

«Nina, no».

Il suo urlo secco mi blocca il passo, costringendomi a voltarmi con occhi colmi di confusione, ma maggiormente delusione.

«Cosa no? Dico davvero, vado a parlarle» ribatto, convinta delle mie intenzioni.

«Non lo fare perché non servirà. Mi dispiace dirtelo, ma hai lo sfratto per domani mattina, quindi se non vuoi che ti manda fuori proprio adesso, accetta questa cosa e va' a preparare le valige. Mi dispiace davvero, ma in certi casi non sono più io a comandare».

Sento il mondo calarmi addosso come un meteorite, come se mi avessero appena tirato centocinquanta tonnellate di terra addosso.

I miei occhi sono celati dalle lacrime, la borsa che fino a pochi secondi fa reggevo sulle spalle sfugge alla mia presa, così come le braccia mi cadono lungo i fianchi.

Non so con quale forza sopprimo i singhiozzi che mi graffiano la gola, o le ulteriori prediche che attendono di essere esposte sulla punta della lingua.

«Mi dispiace, dico davvero» ripete il ragazzo della reception, guardandomi con rammarico.

Gli rivolgo un sorriso storto, comprendendo le ragioni delle sue azioni e, senza dire nient'altro, recupero la borsa e mi trascino a stento verso l'ascensore.

È finita... letteralmente, questa è la mia fine.

Davvero adesso mi toccherà andare a dormire sotto ad un ponte? Non vedo quali altre alternative io possa avere...

Arrivata al mio piano, raggiungo la stanza numero diciassette e resto a fissare quel numeretto con desolazione.

Sarà la mia ultima sera qui...

Non appena il mio piede varca la soglia della stanza, la lucidità delle mie pupille libera le lacrime accumulate finora con un silenzio quasi pesante.

ROYAL HEARTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora