Elfa

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Sono stanca.
È la prima cosa a cui penso ogni mattina prima degli allenamenti con la spada.
Ormai nessuno usa più la spada. Non ce n'è motivo.
Le guerre sono tutte finite e non ci sono più clan. Ci sono solo comunità che ormai formano città floride e tecnologicamente avanzate.
Non esiste più un solo elfo al mondo che parla ancora con le piante e segue le tracce di animali per i boschi. Boschi... Anche quelli ormai sono tutti artificiali. Quindi perché dovrei continuare ad allenarmi con la spada?
La risposta arrivò quando mi misi a riposare in un angolo della palestra, con l'asciugamano attorno al collo e la spada di legno appoggiata accanto a me.
In quel momento, in preda ad una allucinazione pesante dovuta alla stanchezza, vidi passarmi sulle scarpe il mio furetto-robot da compagnia che sembrava seguire una figura vagamente umanoide.
Quella si infilò tra le fessure dei condotti d'aria, lasciando che il mio furetto andasse a sbattere contro esse.
Poco intelligente quell'animale per essere cibernetico.
Qualcosa mi portò ad alzarmi e a raggiungerlo. Avevo i muscoli doloranti e gli occhi pesanti dal poco sonno, ma mi diressi comunque lì.
Se tanto ero sotto effetto di allucinazione, tanto valeva godermela. È qualcosa che non capita molto spesso ad un elfo.
Non più almeno.
Un tempo gli antichi le chiamavano visioni.
Il condotto dell'aria era abbastanza largo perché mi permettesse di passarci strisciando sui gomiti.
Era stupido entrarci. Sarei potuta rimanere bloccata e il mio cadavere non sarebbe stato mai ritrovato, a meno che la puzza del mio corpo in putrefazione non fuoriuscisse dai condotti e intossicasse gli abitanti del palazzo.
Ma lo feci, intenta a inseguire la mia personale forma di pazzia.
Ne fu una conferma maggiore quando riemersi, prendendo a pugni l'altra parte del condotto d'areazione perfettamente diritto e senza bivi nel percorso.
Presi a pugni l'uscita e riemersi in una foresta. Forse era una di quelle zone verdi della nostra città, ma era troppo assurdo. Il mio palazzo non era collegato a nessuno di questi luoghi, per non parlare del fatto che era geograficamente posizionato al centro della città e io non avevo strisciato poi tanto a lungo.
Gattonai fuori, guardandomi attorno spaesata. La luce del sole picchiava la mia catasta di capelli biondi e mi fece stringere gli occhi. Abbagliandoli e rimbambendomi tutta.
Le fronde degli alberi, nonostante fossero rigogliosi e pieni di foglie verdi non proteggevano molto.
L'aria profumava di frutti freschi e fiori appena sbocciati e il canto degli uccellini riempiva in modo fiabesco quel luogo.
Poi tutto ad un tratto sentii un canto provenire dal bosco. Man mano che avanzavo seguendo quella voce accompagnata dai canti degli uccelli. Era la voce di un uomo. Ma era limpido come non avevo mai sentito ad un elfo.
Non avrei mai pensato che una voce potesse essere sensuale, roca e melodiosa allo stesso tempo.
Sbucando da un cespuglio vidi la fonte di quella voce che faceva cantare assieme a lui gli uccelli del luogo.
Un ragazzo con addosso solo i calzoncini stava lucidando un lungo spadone, con i piedi a mollo dentro il ruscello.
Vidi una creatura umanoide sbucare dal cespuglio opposto e appoggiarsi sulla sua spalla. Era la stessa creatura che avevo seguito io.
Provai ad avvicinarmi di più e uno scrocchio di un ramo si propagò per tutta la foresta.
Uno stormo di uccelli si innalzò in volo e il ragazzo dal petto nudo alzò la testa di scatto.
Raccattò in fretta e con agilità la spada la casacca e gli stivali, per poi tuffarsi spedito nel bosco.
«Ehi! Aspetta!» gridai.
Mi ritrovai a seguirlo, saltando da una roccia all'altra, senza sapere bene il motivo.
Ma lui era molto più agile e veloce di me e presto lo persi nella foresta.
Mi guardai attorno finché ad un tratto non sentii qualcosa di freddo e tagliente prendermi contro la gola.
«Non ti muovere.» sibilò una voce dietro di me. «o ti taglio la gola.»
La minaccia ebbe buon esito. Non mi mossi nemmeno a pregare.
«Chi sei? Da dove vieni?» chiese duramente. Ma prima che potessi rispondere; sembrò cambiare idea.
Mi buttò a terra malamente bloccandomi le braccia dietro la schiena.
Poi non so da dove prese la corda per legarmi le braccia, tirarmi in piedi e trascinarmi come un cane al guinzaglio. Sta di fatto che mi ritrovai a seguirlo.
Camminavo con lui davanti.
Le sue spalle larghe, muscolose e possenti erano nascoste sotto una casacca di pelle consumata e i ricci particolarmente scuri gli incorniciavano il collo abbronzato. Notai le orecchie spuntare da essi. I padiglioni non erano a punta come tutti gli elfi. Erano arrotondati.
«Tu sei umano!» esclamai con stupore. Gli umani erano creature di fantasia dei libri fantasy, non avrei mai pensato di potermene trovare uno davanti.
Poi mi ricordai che ero in preda ad un'allucinazione.
«E tu una spia. Ora taci.» disse scorbutico strattonandomi senza voltarsi.
Venni catapultata al centro della piazza di un villaggio diroccato. Le case i pietra erano sparpagliate disordinatamente per la radura coperta dagli alberi, come tende in un campeggio.
Gli abitanti del villaggio uscirono pochi alla volta, con volti curiosi, e mi circondarono. Ce n'erano per ogni età. Bambini, anziani, donne incinte o persino zoppi. E assieme a loro, creature umanoidi bassi, piccoli, con un cappello a punta e dei nasi enormi. Le stesse creature uguali a quella che avevo seguito. Nani.
Gli abitanti sussurrarono stupiti vedendomi.
«L'ho trovata nel bosco. Mi stava seguendo. Dev'essere una spia del re.» disse il ragazzo che mi aveva legata.
Inarcai un sopracciglio.
Una vecchia decadente con un bastone rigido si fece larga tra la folla. Si mise a posto lo scialle di perline e si chinò lentamente su di me. Mi toccò il viso e io non potei far altro che guardarla stupita, mentre la pelle molle dei suoi palmi premeva contro i miei zigomi.
Poi le sue dita toccarono le mie orecchie a punta e passarono tra i miei capelli biondi.
«Elfo.» sussurrò stupita.
«Elfo?» chiese una bambina stupita a voce più alta. Tutti gli abitanti presero a bisbigliare.
Il ragazzo che mi aveva rapita si chinò accanto a me e mi indicò con il pollice, assumendo un'aria scettica.
«Ne sei sicura Vecchia? Questa qui non sarebbe capace di abbattere un coniglio, figuriamoci il Re.» commentò.
«Sicurissima.» disse la vecchia accarezzandomi gli zigomi. Mi sentivo a disagio.
«Portala davanti alla profezia dell'Elfa salvatrice.» ordinò prima di rimettersi in piedi traballante e andarsene.
«Tirati su eroina.» ordinò senza tante cerimonie il ragazzo liberandomi.
Massaggiandomi i polsi lo seguii in silenzio.
Avevo domande, ma non ne esposi nemmeno una, troppo orgogliosa per chiedere informazioni. Avrei sicuramente perso il mio diritto di rimanere arrabbiata se l'avessi fatto.
Il ragazzo mi condusse in una caverna dove vi erano vari dipinti d'altri tempi. Bellissimi a modo loro.
La luce che proveniva dal foro in cima alla grotta non bastava, così il ragazzo accese una torcia di fuoco e illuminò meglio la caverna.
«La nostra gente è stata salvata tanto tempo fa da un elfa. Ci ha insegnato ad essere così come siamo. Ma poi è sparita, promettendo che, un giorno, una sua simile sarebbe tornata nel momento del bisogno.» spiegò il ragazzo indicando i disegni.
«Personalmente, non ho mai creduto all'esistenza degli elfi. Avere i nani da giardino come guardiani è una cosa, ma gli elfi...» mi lanciò uno sguardo e scosse la testa.
«E ora siamo governati da un re tiranno. Il mio popolo ha pregato perché arrivassi ed eccoti qui.»
«Stai scherzando, spero.» sibilai.
«No.» mi guardò serio.
«Ho seguito un nano da giardino e sono finita qui per caso. Non potrei salvare nemmeno il cane nel fiume, figuriamoci un popolo di umani. E poi perché aspettare un elfo? Tu sembri abbastanza bravo con quella spada.» sbottai.
«Non mi interessa. Non è una scelta, tu ci aiuterai e basta.» mi disse.
«Altrimenti?» lo sfidai.
«Altrimenti non ti dico come tornare a casa.» replicò.
«Fino a cinque secondi fa non sapevi nemmeno che esistessi.» gli feci notare.
«Solo perché non credevo a quel che mi hanno insegnato. Ora so che sono verità, quindi so anche da dove vieni.» disse pratico.
«Lo scoprirò da sola.» dissi uscendo a passo spedito dalla grotta, cercando di raggiungere il buco dalla quale ero sbucata.
Pensavo di essere sola nel bosco, ma presto mi sentii pedinata.
Mi voltai di scatto e ritrovai il ragazzo di prima a pochi metri da me, senza nemmeno provare a nascondersi.
«Non mi seguire.» gli intimai puntato il dito contro di lui. Poi mi voltai e continuai a camminare.
Girandomi nuovamente di scatto lo sorpresi a continuare a seguirmi.
«Non mi convincerai ad aiutarvi. Anche perché non so nemmeno cosa fare.»
«Lo so.» rispose lui.
«E allora cosa vuoi? Tu chiaramente non credi in me. Salvalo tu il tuo popolo!» esclamai.
Il ragazzo non mi rispose e rimase lì a scrutarmi.
Prima di proseguire per la mia strada una freccia si piantò a pochi centimetri dal mio piede. Balzai indietro e caddi di sedere.
Altre frecce seguirono e il ragazzo mi afferrò per la collottola, strozzandomi, per trascinarmi dietro un abete.
Tossii.
«Sono gli uomini del re.» sussurrò. Poi una consapevolezza si fece largo nella sua mente.
Iniziò a correre in direzione del villaggio.
«Ehi! Aspetta!» esclamai.
Poi lo seguii.
Il villaggio era deserto. Un pupazzo di pezza era stato privato della sua testa; fili per i panni erano spezzati, a terra; tavoli rovesciati; porte strappate dai cardini. Nessuna traccia delle persone.
«No...» sussurrò il ragazzo.
Un uomo uscì da una casa leccandosi le labbra e il ragazzo che fino a poco prima era a terra, scattò in piedi e con lo spadone tra le mani decapitò quella guardia.
Nessuna domanda su dove fosse la sua gente. Nessuna minaccia. Quell'uomo non l'aveva nemmeno visto arrivare.
Si sentirono due tonfi quando sia il corpo che la testa ricaddero al suolo, sparpagliando il sangue vermiglio sul terreno.
Indietreggiai spaventata mentre il ragazzo infilzava la spada al terreno. Si voltò verso di me, minaccioso e io indietreggiai ancora.
«Vattene.» sibilò.
Non me lo feci ripetere due volte e presi a correre, terrorizzata.
Corsi finché qualcuno non mi tramortì.
L'ultima cosa che vidi furono un paio di stivali di cuoio.

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