Attraverso lo specchio

4 0 0
                                    

Mi svegliai di soprassalto, steso sullo stesso pavimento dov'ero svenuto. Con un enorme sforzo riuscii ad alzarmi. Mi guardai intorno. L'appartamento era cambiato radicalmente: al posto del tappeto persiano c'era un lungo tappeto in seta verde ricamato con fili d'oro. Tutta la casa era invecchiata di almeno 100 anni. In breve tempo capii. Ero finito nel 1791. Proprio nel giorno della morte di Arnoux Dubois.
​In breve tempo notai che l'unico pezzo di arredo che non era mai stato toccato era lo specchio presumibilmente medievale. Guardai l'orologio al muro. Le 09:23. Voci affermavano che l'omicidio era stato commesso esattamente alle 23:23. Avevo esattamente 14 ore per scoprire la dinamica dell'omicidio e far finalmente luce sull'accaduto.
​Aspettai una buona mezz'ora leggendo un libro di Molière che avevo trovato in giro. Poi, non vedendo arrivare il signor Dubois, decisi di uscire. Il palazzo era strutturalmente lo stesso, anche se il modo in cui era arredato era cambiato drasticamente. Una volta giunto al pianerottolo, notai che il portinaio, un omaccione grasso e grosso con una folta barba grigia, non sembrava accorgersi minimamente di me. Provai ad avvicinarmi di più, ma niente. Alla fine gli andai a sbattere contro e lo attraversai di netto. Ero in un ricordo. Consapevole di non poter essere visto, girai un po' tutta Parigi. Notai quanto fosse cambiata la città in cento anni. In strada non si vedevano più macchine, bensì carrozze, e in strada tutti festeggiavano ballando, ognuno con indosso un grande cappello con i colori della bandiera francese. Avevo visto qualche ritratto del signor Dubois, perciò seppi riconoscerlo mentre parlottava con un uomo che aveva l'aria di essere uno tutt'altro che raccomandabile. Poi, tutto d'un colpo, dopo essersi toccato il fianco destro, scappò, salutando frettolosamente l'uomo misterioso. Grazie alle mie passeggiate notturne conoscevo bene la zona dove si trovava il palazzo dove lavoravo, perciò non ci misi tanto a capire dove stesse andando Arnoux Dubois. Era diretto alla chiesa di Saint Eustache. Perché un uomo, dopo essersi toccato il fianco con un'espressione di dolore, dovrebbe correre in una chiesa?
​Una volta giunti nella chiesa, lui si diresse nella cripta. Io lo seguii. Nella cripta si trovavano degli scheletri, molti scheletri, e uno specchio. Lo stesso specchio che mi perseguitava da mesi. Pronunciò delle parole in latino, che io non riuscii a comprendere, e attraversò lo specchio. Io rimasi imperterrito davanti allo specchio. Poi mi ricordai. Ero in un sogno. Potevo attraversare tutto e tutti. Armato di coraggio, mi diressi verso lo specchio. Le rifiniture sulla cornice cominciarono a danzare e io passai attraverso lo specchio. Avvertii una leggera sensazione di freddo, come quando, in piena estate, si ci tuffa di capofitto nell'oceano. Feci un passo, poi un altro, poi un altro ancora. Lo vidi. Era in piedi con una faccia terrificante. Era circondato dal nero assoluto.
Cambiai prospettiva. Vicino a lui c'era un uomo. Rimasi assolutamente esterrefatto. Era uno dei servitori di Madeleine. Mi pare si chiamasse Victor, o una cosa del genere. Victor prese per i capelli Arnoux, che gli diventarono grigi, e delle rughe cominciarono ad apparire sul suo volto. Dubois urlò. Victor rise e scomparve in un polverone, lasciandolo solo, in mezzo al nulla. Fu allora che mi notò. A quanto pare, solo il proprietario del ricordo può vedere chi vi entra. Senza fare una domanda, mi invitò ad uscire dall'altra parte dello specchio. In un baleno, mi ritrovai nel comodo appartamento settecentesco di cui, nel futuro, sarei stato portinaio. Fece un gesto con la mano, indicando il divano. "Siediti" – mi disse, con una voce calmissima.
​"Presumo che tu sappia chi io sia...o mi sbaglio?" – mi riferì. "Arnoux Dubois" – risposi io. "Lascia che ti spieghi cosa hai visto nello specchio. Per fare questo, però, dobbiamo fare un passo in dietro, intorno al 1348.
A quei tempi, ero un giovanotto molto scaltro e sveglio. Avevo tanti sogni nel cassetto, volevo diventare un bravo mercante, e andare in giro per il mondo in cerca di nuove culture, e, ovviamente, di qualche oggetto raro da vendere. In quel dannato anno, mi trovavo nella lontana Persia, quando, la peste nera distrusse il villaggio in cui mi trovavo. Preoccupato, nella notte, decisi di scappare. Viaggiai per mesi interi e, finalmente, feci ritorno nella mia casa nella Francia del Sacro Romano Impero." – si fermò un attimo, probabilmente cercando di elaborare il discorso – "Poco tempo dopo, la peste sopraggiunse anche il nostro paese. Esattamente 443 anni fa, la mia vita cambiò per sempre. Il 14 dicembre 1348, mi svegliai con la febbre. Avevo contratto la peste nera. Le probabilità di sopravvivere erano bassissime. Fortunatamente, o sfortunatamente, a casa mia si presentò un uomo, quello che tu hai visto nello specchio, che non sembrava aver paura della peste. Mi afferrò la mano, prese un coltello e mi incise il palmo." Mi mostrò la ferita. Le sue mani stavano invecchiando sempre di più. "Poco tempo dopo, mi diede una specie di amuleto, una pietra di colore ambrato, con dentro un nucleo rosso. Disse che in quell'amuleto era custodita la mia anima. Ero immortale."
​Dopo una breve pausa di sospensione, per elaborare la confessione appena fatta, gli chiesi perché l'uomo fosse arrabbiato con lui. Mi disse, con un tono di voce che pian piano stava sbiadendo: "Vedi, lui è arrabbiato a morte con me per aver donato l'amuleto alla mia amata, Madeleine. Così, quando ho insistito dicendo che non la volevo assolutamente privare dell'immortalità, lui ha rimosso questo potere a me, promettendo che un giorno l'avrebbe fatta patire della stessa sorte che avevo patito io." Ero basito. La bellissima donna che stava vivendo nello stesso palazzo in questo stesso istante era in realtà l'amata di una persona morta circa 100 anni fa. Arnoux si alzò e mi condusse nello specchio. "Salta" – mi disse.

La Danza InfernaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora