Capitolo 1. Funerale a Colliano

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Tutti i peccati sono imperdonabili finché non si perdonano. E ogni peccato, specialmente uno grave, ha la sua storia, una causa primaria, quasi sempre inavvertita, che, purtroppo, determina poi il seguito.

I fatti che andremo a raccontare sono proprio la storia di un peccato imperdonabile seguito da un miracoloso perdono, una storia con molto dolore, ma con una successiva redenzione, e se dovessimo ricercare un inizio per la narrazione, se in questo inizio noi volessimo porre quell'inascoltata causa primaria di cui parlavamo prima, allora dovremmo andare a Colliano, un paese in provincia di Salerno, il 27 marzo 1991, Mercoledì Santo.

Una grande folla, praticamente tutto il paese e dintorni, si accodava a un funerale di una persona che aveva fatto parlare molto di sé: Antonio Guidotti. Il corteo era partito dalla chiesa (un prefabbricato simile a un capannone posto al lato del cimitero alla base del paese — la chiesa principale, di San Pietro e Paolo, nel centro storico, era ancora inagibile dopo il terremoto del 1980 —), era salito lungo via Terlizzi, la via principale, dal Municipio fino a piazza Epifani, circolare con una fontana al centro; lì aveva fatto un'inversione per scendere lungo una via secondaria fino al campo sportivo e poi di nuovo verso il cimitero, facendo quindi un anello per ritornare quasi al punto di partenza. Era una giornata primaverile, con un sole alto ancorché freschino; di solito la settimana di Passione portava brutto tempo, ma per il momento si stava bene e ciò contrastava coll'occorrenza triste. Il parroco salmodiava in prima fila, dietro la bara, con poi a seguire i parenti stretti e, via, via, gli amici e curiosi.

Non stupiamoci per la consistenza della folla: Antonio, in vita, non era stato una persona esemplare. Tuttavia, proprio per la sua vita non proprio cristallina, il suo funerale diventava un'occasione per parlarne finalmente in libertà. Le persone buone di solito muoiono nell'ombra e pochi le piangeranno: il bene si dimentica facilmente, specie quello ricevuto. Chi compie il male, invece, viene ricordato meglio; temuto in vita, giudicato postumo; il giudizio dell'uomo superstite approssima quello divino solo nel silenzio (e nella sicurezza) della tomba.

Incominciamo col dire che Antonio non sembrerà, se non indirettamente, responsabile degli eventi narrati in questo libro, sapremo qualcosa di lui in seguito quanto basta per capire il racconto; abbiamo cominciato la storia dal suo funerale perché è il padre dei due protagonisti, nel giorno del funerale ancora ragazzi. Andiamo a conoscerli, questi due novelli orfani, lì, alla testa del corteo: Marco, diciott'anni, Ilaria, di dodici.

Erano insieme, fianco a fianco, mano nella mano, ma si erano visti da non più di un'ora, dopo quattro anni di silenzio pressappoco totale. Non abitavano infatti nella stessa casa: erano fratelli, ma di mamme diverse. Marco stava a Genova, Ilaria a Colliano; era venuto in auto nella notte con due suoi zii che abitavano a Genova con lui, Terzo e Carmine, fratelli minori di Antonio. Era stato Terzo a chiamarlo a casa; Marco, appena tornato da scuola, era entrato di corsa con il telefono che già squillava e aveva risposto con ancora lo zaino indosso: "pronto?", "ehi!", gli aveva detto, senza salutarlo, "tuo papà è morto, il funerale è domani mattina, noi partiamo stasera, tu vieni, vero?". Marco sapeva che il papà fosse malato da tempo, ma non pensava in modo così grave, gli aveva risposto: "zio, tra un po' torna la mamma, glielo dico e ti so dire". I rapporti tra le due famiglie erano ormai ridotti a scambi sporadici di telefonate e a visite ancora più rade; Irene, sua mamma, una volta rimasta sola, non lo aveva ostacolato né spinto a frequentare i suoi zii e la nonna paterna, Filomena, che abitava lì vicino a loro e che andava a trovare anche a piedi; ma, da quando aveva cominciato il liceo, quasi cinque anni prima, egli stesso non aveva avuto più tanta voglia di andare a trovarli non avendo molto in comune con loro; era stata la sola Irene, infatti, a spingerlo a frequentare un liceo dopo la terza media: per i suoi zii un liceo era solo una perdita di tempo e di soldi in libri; molto meglio andare a lavorare, o, al più, fare una scuola tecnica. Suo padre si era trasferito a Colliano nel 1978, non era più tornato al nord dal 1982, e, comunque, sia prima che dopo il trasferimento, non si era mai interessato del primo figlio, in senso economico ed affettivo, e, per Marco, non c'erano altri legami con la famiglia paterna, se non la sorella Ilaria, nata e vissuta sempre al sud.

Dolore e perdono (Parti I - VI)Where stories live. Discover now