Capitolo 3: 𝐹𝑎𝑢𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑖𝑡𝑢𝑑𝑖𝑛𝑒

999 87 83
                                    

Mi risvegliai con un dolore lancinante alla testa che non mi permise immediatamente di mettere a fuoco la situazione. Sentivo il rumore costante e coordinato di zoccoli di cavallo e a giudicare da come si muoveva il soffitto mi trovavo dentro una carrozza.

Mossi le mani attorno a me, rimanendo con il resto del corpo immobile, non sapevo se fossi in compagnia di qualcuno e non capivo se avessi le mani libere. Infatti, non le avevo.

Due manette fredde e pesanti mi stringevano i polsi. Ma non erano delle semplici manette. Percepivo un bruciore intenso e persistente sotto di esse, sentivo la carne viva, una ferita aperta. Il metallo mi stava ustionando.
Erano le Manette di Na Pariecei. Avevano la stessa logica di un vasocostrittore nel flusso dei doni, servivano a contenere la magia nei Magus.

Mossi il capo e mi guardai attorno. Non c'era nessuno, a parte...
Cali!
Mi alzai di scatto a sedere e mi voltai verso di lei. Era stesa nella mia stessa posizione, priva di sensi. Anche lei aveva un paio di Na Pariecei che le stavano facendo sanguinare i polsi. Per qualsiasi Magus quelle manette avrebbero bloccato l'utilizzo dei poteri, tuttavia non sarebbero state tanto dolorose. Per due figlie del Caos, che avevano appena fatto rifornimento di energia, era come contenere un'esplosione che a breve si sarebbe trasformata in implosione.

«Cali.» sussurrai. Non ricevetti risposta, perciò mi voltai verso di lei e a gattoni mi avvicinai per auscultare il battito.

Era viva, ma aveva un battito molto lento.

Dovevo liberarla il prima possibile da quelle manette. Alzai gli occhi verso le pareti grigie della carrozza. Era una carrozza per prigionieri e quindi dell'armata reale. C'era solo una piccola finestrella con delle grate, da cui filtrava la luce del giorno. Dovevamo essere rimaste prive di sensi per molto tempo. Forse un giorno intero.

A fatica mi aggrappai al sedile in ferro e cercai di alzarmi in piedi. Sentivo le gambe pesanti e una forte nausea danzarmi nello stomaco. Di sicuro l'andamento sostenuto e affatto omogeneo della carrozza non aiutava. Strinsi gli occhi per scacciare la fitta alla testa quando mi drizzai. Era come se fossi in una barca in mezzo al mare in tempesta. Non riuscivo nemmeno a tenermi in equilibrio.

Eravamo in un luogo mai visto prima. Non che la Tutrice mi avesse dato modo di visitare il mondo in tutti quegli anni, tuttavia, quel posto sembrava diverso. Gli alberi più grandi e con una chioma più folta, il fusto più snello e le venature della corteccia più profonde. Nei punti in cui filtrava la luce sembrava di vederne la linfa d'orata scorrere. Mi accorsi di non sentire nemmeno freddo. Eravamo in una carrozza e di sicuro, per essere dicembre, saremmo congelate lì dentro. Ma là fuori il cielo terso e il sole accecante, sembravano averci trasportate in piena primavera.

Sembrava uno di quei giorni nel periodo in cui compivo gli anni. Mi strappò un sorriso quel pensiero. Forse avevo sbattuto la testa e stavo sognando di festeggiare il compleanno nelle mani del Re e della Regina.

E per come vertevano le mie condizioni fisiche per colpa di quelle dannate manette, poteva essere un sogno. Ma la pelle mi friggeva e quando guardai i miei polsi vidi del sangue colare.
Se fosse stato un sogno, si stava tramutando in incubo.

Tesi le orecchie nella speranza di poter captare qualche voce, ma non udii nulla se non il canticchiare degli uccelli in quel luogo desolato. Già, perché nonostante vi fosse qualche albero rigoglioso e il cielo sereno, ci circondava una distesa infinita di campi grigi e verdi. L'erbetta si alternava al pietrisco. Non c'erano case o boschi in lontananza.

Mi andai a sedere sulla panca e mi piegai per svegliare Cali. Da sola potevo fare ben poco. Una delle due avrebbe dovuto liberare l'altra per facilitare la fuga e l'eventuale scontro con i rapitori.

Figlia del Caos - Darkness & DeceptionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora