Capitolo 1

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L'ultima volta che vidi Emily aveva ventitré anni ed era bellissima. Qualcosa come una vita fa. Credo di essermi innamorato di lei dal primo giorno, fin da quando mi aprì la porta di casa e mi sorrise con l'asciugamano in testa e l'acqua che le grondava tutt'intorno lasciando piccole pozze sulla sua moquette. Non mi ci volle molto ad abituarmi alle sue stranezze. In capo a un mese le consideravo già degne di un personaggio uscito dalla penna di Truman Capote e in capo a due erano diventate le mie stranezze preferite. Un tipo insolito, una persona molto complessa. Il più delle volte mi piaceva la sua compagnia, voglio dire prima di tutto, prima che accadesse. Dopo, iniziavo a sentirmi a disagio con lei, a volte mi faceva paura ed era del tutto naturale. Mi aspettavo da un momento all'altro di entrare a far parte del suo incubo. E l'ho fatto! A mio modo marginalmente, ma l'ho fatto.

Non mi piace la piega che stanno prendendo i miei sogni e i miei pensieri. Spesso mi chiedo se io abbia mai davvero incontrato una ragazza di nome Emily Sommers e perfino se sia mai esistita una con quel nome. Il commento di Barbera non fa altro che girarmi nella testa e invariabilmente lo associo all'immagine di Emily che ho stampata davanti agli occhi: «Emily chi?»

Spero abbia ragione lui. Potrebbe essere un'invenzione e non mi stupirei se qualcuno me lo dicesse, nata dalla fantasia di un vecchio costretto ormai su una sedia tutto il giorno senza neanche il privilegio di strapazzare ogni tanto i nipoti. Verrebbe da domandarsi se anche loro siano il frutto della mia fantasia, ormai. Vengono una o due volte all'anno a trovarmi e in quelle occasioni confesso di non sapere se il disagio più grande sia il loro o il mio. Si guardano e parlano tra di loro come se io non fossi affatto presente. Parlano a bassa voce, ma io non sono sordo. Immobile sì, ma non sordo.

«Che palle, non vedo l'ora di andarmene!»

«Che puzza questa stanza.»

«...E perché, il vecchio? Dio come puzza!»

Li sento, io! E li vedo! Cosa credono, che il fatto di non potermi più muovere faccia di me una specie di vegetale privo di sensi? Per forza puzza questa stanza! Non posso alzarmi e arieggiare quanto vorrei e quella stupida infermiera fa a malapena il suo lavoro quando la mattina mi porta quello schifo di caffè di orzo con quei toast dall'odore insopportabile quanto questa stanza. Quanto a me, questo è un odore che nessuna vasca può togliermi di dosso: è l'odore della vecchiaia.

Io non do tutta la colpa a quelle piccole pesti. In fondo, la colpa è del loro padre. È lui che non ha saputo inculcargli un minimo di rispetto per me. Non parliamo poi dell'affetto. Quella è una parola che ho tagliato fuori del mio vocabolario una trentina di anni fa, forse anche di più.

Il fatto è che mio figlio è sempre stato molto... autonomo, diciamo. Fin troppo. Ha un lavoro di tutto rispetto e di questo sono fiero. È ingegnere aerospaziale ed è spesso in viaggio. Sua moglie Sandra dirige una galleria d'arte contemporanea ed è una donna molto occupata. Il loro lavoro impegnativo è il motivo per cui sono qui: chi si sarebbe preso cura di me? Dunque, se mio figlio non ha avuto troppi problemi a schiaffarmi in questo posto, perché i miei nipoti dovrebbero andare per il sottile?

Continuo a ripetermi che in fondo è anche giusto, che io ho vissuto la mia vita e che ora sono gli altri a dovere vivere la loro. Senza intralci, senza vecchi che puzzano tra i piedi. Giusto! Se mi guardo indietro, però, che vita ho vissuto? Non ho affetti da ricordare con nostalgia, magari versando qualche lacrima di tanto in tanto.

Mia moglie, che Dio l'abbia con sé e mi riservi una singola in un altro albergo quando mi chiamerà, è morta da quasi vent'anni. Non ci siamo mai veramente amati. Ci siamo forse rispettati e abbiamo messo al mondo un figlio. Lei lavorava nel ristorante che le aveva lasciato suo padre e io arrotondavo il magro stipendio di insegnante dando ripetizioni ad alcuni studenti. Per loro ci sarebbero voluti grossi calci in culo, ma non ero certo io a dissuaderli dal venire da me per le lezioni private. Spesso le loro famiglie erano piuttosto danarose e quei pochi soldi in più servivano per il mutuo visto che Margaret, mia moglie, è sempre stata di manica larga.

EmilyWhere stories live. Discover now