Capitolo 3

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Non fui io a decifrare l'enigma delle sparizioni di Emily. Fu lei stessa a farlo. Dopo aver congedato Bill Dorson tornai in salotto e la trovai sdraiata sul divano intenta a bersi un caffè e a fumare una sigaretta.

«Prenderai una polmonite se non ti copri» disse vedendomi ancora con l'asciugamano sui fianchi.

«Ormai...» considerai un po' rassegnato.

Emily si alzò, andò in bagno e tornò col suo accappatoio.

«Su, infila questo. È largo abbastanza da coprirti almeno le spalle» disse con tono premuroso. Mi scattò il campanello d'allarme: quando Emily era così affabile, voleva qualcosa. In genere, si trattava di piccoli favori, lei non era il tipo di persona che si spingeva oltre. Infilai l'accappatoio e strinsi la cinta. Mi arrivava alle ginocchia, ma se non altro potevo togliere quel ridicolo asciugamano.

«Vuoi un caffè?» chiese affabile.

L'allarme scattò di nuovo. «Sì, grazie.»

Emily prese una tazza e vi versò dentro un po' di quella sbobba che lei chiamava caffè.

«Siedi, per favore» mi disse dolce. La accontentai.

«Come va lo studio?» chiese accendendosi un'altra sigaretta dopo averne appena spenta una.

«Un po' a rilento.» Ed era vero. Nelle ultime due settimane non avevo concluso granché. Seppure fosse saltata fuori una cattedra, non sarei mai stato pronto a fare il concorso. Non se continuavo così.

«Sai, volevo leggere qualcosa di filosofia.»

Quella fu una vera rivelazione. Mi sorprese abbondantemente e credo che Emily se ne accorse perché si mise a ridere.

«È tanto strana come richiesta?»

«Perdiana sì. Sei tu a farmela, ecco perché è strana» le dissi.

«Non so perché, ma ho voglia di approfondire certe cose che probabilmente possono trovarsi solo nei tuoi testi.»

«Del tipo?» le chiesi incuriosito. Emily non si era mai interessata alla filosofia. Era una buona lettrice, questo sì. Divorava romanzi e di solito ne leggeva di buoni. Kafka, Dostoevskij, Hesse. Quanto alla filosofia, aveva sempre sorriso di questa mia passione. Ecco perché mi lasciava perplesso.

«Ricordo vagamente qualcosa a proposito dell'essere e del non essere. Sono ricordi vaghi del liceo, per questo vorrei saperne un po' di più. L'ora di filosofia non era tra le mie preferite. Peccato. È la prova che ogni materia torna utile prima o poi.»

«Già» confermai. «Ti stupirebbe sapere che io ne ero addirittura disgustato. È per questo che l'ho scelta tra tutte. Una materia non può essere tanto brutta e inutile come te la dipingono. Così, t'interessano l'essere e il non essere...» dissi accendendo una sigaretta. Ero risoluto questa volta a farle sputare l'intero rospo e non solo le zampe.

«Sì, più o meno. Credo che ciò che m'interessa riguardi proprio questo» disse facendo un lungo sospiro e proseguì. «Come si fa a essere e non essere allo stesso tempo?»

«Secondo una certa corrente di pensiero sono entrambi illusori dal momento che ciò che non è non può essere e ciò che è non può cessare di essere. Secondo un'altra scuola di pensiero, l'essere si manifesta solamente nel mutamento, il divenire, dunque nel non essere. Capisci?» avevo notato un leggero strabismo nel suo sguardo.

«No», fu la risposta secca.

«Dunque», dissi paziente tentando un'altra via, più moderna. «Hegel formulò un'ipotesi, ossia che essere e non essere fossero dei momenti dello stesso processo cosmico che sorge dall'essere e implica in se stesso il non essere, portando alla loro unione sintetica nel divenire.»

EmilyWhere stories live. Discover now