6. (Non editato)

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All'arrivo in hotel, cominciarono a scendere in fila ordinata dal pullman e a raccogliere i propri bagagli.

L'edificio era composto da otto piani più la terrazza e si ergeva nel bel mezzo de La Rambla, il viale più popolare di Barcellona. Nonostante fossero le undici e mezza di sera, le auto sfrecciavano sulle strade e le persone passeggiavano facendo baccano come se fosse ora di punta.

Cat rimase impressionata dalla folla ammassata lungo la via, dalla vivacità dei suoi colori e dai volti che la animavano: statue viventi, musicisti, mimi, cartomanti, fiorai e venditori ambulanti.

Vi aveva appena messo piede, eppure quella città aveva qualcosa di magico, era come se potesse percepirlo nel pulviscolo atmosferico.

Seppur al buio, riuscì a scorgere da lontano la facciata ondulata di una delle famose architetture di Gaudí.

Non vedeva l'ora di poter ammirare alla luce del giorno tutto ciò che in quel momento poteva avere solo una vaga idea di quanto fosse bello.

Un profumo familiare la obbligò a ritornare alla realtà, bruciandole quasi i setti nasali. Quell'aroma era diventato un gas tossico dal quale avrebbe dovuto ripararsi.

Pregò che evaporasse in fretta o che almeno si mischiasse ai numerosi odori che la circondavano, invece continuava a essere perfettamente distinguibile, incancellabile, l'unico a prevalere su tutti. Lui era a due passi da lei, aveva preso la propria valigia e la stava guardando.

Non aveva bisogno di vederlo per saperlo, percepiva la violenza del suo sguardo sulla propria pelle, le doleva come se la stesse squarciando con i suoi occhi a forma di pugnale.

Non guardarlo. Non guardarlo.

Doveva resistere solo per qualche altro secondo e lui si sarebbe dissolto insieme al suo profumo. Si aggrappò al manico del trolley con gli occhi serrati, come se così potesse sopportare meglio quel malessere, mentre sentiva in un suono ovattato il professore De Santis sgridare uno dei suoi compagni per aver fatto cadere fuori dal bagagliaio del pullman una serie di valigie.

Ma il profumo divenne sempre più incombente e il suo cuore smise di battere, nel momento in cui le sue braccia le avvolsero la vita in una stretta che non aveva nulla di affettuoso, men che meno di passionale.

Non c'era calore in quell'abbraccio, i muscoli di Adriano erano dei pezzi di legno, il suo corpo stava ritratto all'indietro, quasi temesse di poterlo infettare sfiorando quello di lei.

Sembrava composto di lame, le sentiva tutte infilzate nella propria schiena.

Le sue braccia, che lei aveva reputato il luogo più sicuro e accogliente del mondo, erano diventate inospitali come la Siberia.

Cat trattenne il fiato come quando in piscina era costretta a fare cinquanta metri in subacquea, rimase in apnea per impedirsi di respirarlo, cercando di combattere il bisogno di riemergere in superficie. Non avrebbe reagito da codarda, mai. Sarebbe rimasta impassibile a qualsiasi tortura, anche se si fosse trattato di baciarlo per finta.

Dio, perfino se mi buttasse su un letto e mi spogliasse non lo degnerei di un singolo sentimento.

Non poté però impedire al proprio corpo di reagire, quando le riempì l'orecchio del suo alito alla menta: sobbalzò come se qualcuno le avesse dato la scossa.

Avrebbe voluto non provare quei brividi in sua presenza, perché a causarglieli era lo stesso corpo, ma non lo stesso ragazzo.

Si era creata questo angolino sicuro nella mente in cui nascondersi, dove lo immaginava come il tramite di un altro individuo e trovava più sopportabile convivere con la sua mancanza.

Ira. La Sindrome di Didone (Vol.3)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora