7. [1/2] (Non editato)

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L'hotel Hesperia era ciò che di più lontano poteva esistere da un albergo di lusso.

Non pretendevano di soggiornare in un cinque stelle, si trattava pur sempre di una gita organizzata dalla scuola, dunque era già tanto che non piovesse dal tetto, ma non immaginavano certo che al loro arrivo sarebbero stati accolti da un tale chiasso.

Un gruppo di americani che avevano alzato un po' il gomito si stava dilettando al karaoke in una sala adiacente e i loro schiamazzi avevano riempito l'intero androne principale, obbligando il receptionist a urlare per parlare con gli insegnanti. Tra l'altro, il poveretto che era di turno in quel momento, un uomo di mezz'età con principio di calvizie, non sapeva parlare bene l'inglese.

Per fortuna i ragazzi del corso sperimentale studiavano lo spagnolo e avevano trovato una soluzione al problema.

La 3 ª C si era aperta in due come il Mar Rosso per lasciare passare Adriano Greco ̶ neanche fosse Mosè in persona ̶ e questo aveva fatto da interprete all'uomo.

Probabilmente era il più bravo in spagnolo, dedusse Fabrizio.

Il Rappresentante d'Istituto colloquiò con il receptionist in maniera sciolta, mostrando di avere una buona padronanza della lingua, dopodiché informò gli insegnanti che la sala del ristorante era situata al primo piano e che, una volta sistemati i bagagli nelle stanze, avrebbero dovuto recarsi lì.

Erano partiti alle otto e mezza di sera, nessuno di loro aveva ancora cenato, pertanto ci furono varie esclamazioni di sollievo.

«Meno male, temevo che ci avrebbero fatti andare a letto senza cena» scherzò il prof. De Santis.

Il receptionist consegnò sia a lui che ai due professori delle altre classi una serie di tessere da distribuire ai ragazzi.

Quando De Santis affidò a Nicola la tessera della stanza che avrebbero dovuto occupare assieme a un altro compagno, Fabrizio si mise a sghignazzare sotto lo sguardo omicida dell'amico.

«Ammettilo che avresti voluto la chiave della sua» gli bisbigliò all'orecchio, mollandogli una gomitata complice sul fianco.

«Pezzo di merda» lo apostrofò un arrossito Nicola, dopo averglielo restituito con gli interessi.

E avrebbe continuato a insultarlo e a picchiarlo, se Leonardo Costa non si fosse avvicinato loro in tutta la sua irritante bellezza. I due amici si arrestarono all'istante, spiazzati dalla scena.

Per secondi che sembrarono interminabili, Fabrizio temette che il ragazzo sapesse di lui e Bea e volesse affrontarlo in quel preciso istante davanti a tutti; ma l'espressione di Leonardo non pareva per nulla ostile, anzi, era come se fosse in cerca di aiuto.

Dovette accantonare a maggior ragione l'ipotesi dello scontro, non appena vide il suo sguardo cambiare traiettoria per soffermarsi su Nicola. Non era lui la persona che stava cercando.

«Tu sei Nicola, giusto?» domandò atono, mentre Fabrizio osservava i suoi occhi verdi e la sua figura statuaria con una logorante invidia.

Bea gli aveva confessato di averlo tradito con un altro, ma non gli aveva detto con chi, dovette concludere. Altrimenti si sarebbe già ritrovato con un occhio nero.

«Ti serve qualcosa?» Nicola partì subito all'attacco, aveva le braccia incrociate al petto e un cipiglio minaccioso, pronto a prendere le parti del suo migliore amico se fosse stato necessario.

Leonardo non si impressionò, sembrò addirittura divertito dalla sua reazione: era più alto di almeno dieci centimetri e largo il doppio di spalle, per quanto Fabrizio volesse bene a Nicola era certo che gli sarebbe bastato un pugno per farlo finire al tappeto. Era un vero amico, si sarebbe fatto uccidere per difenderlo e lui avrebbe fatto lo stesso. Aveva perso un fratello, ma in Nicola ne aveva ritrovato un altro.

Ira. La Sindrome di Didone (Vol.3)Where stories live. Discover now