7

69 12 52
                                    

«𝓟otresti nascondere Ilyas negli alloggi della servitù?» domandai alla mia cameriera. Lei sgranò gli occhi, incredula. «Solo per questa notte. Dopo essermi sposata, voglio portarlo con me a Solatrya» aggiunsi. Almeno non mi sarei annoiata.

Lei annuì. «SÌ!» esultò il mio migliore amico, alzando entrambe le braccia al soffitto. Zephyra sbuffò irritata. In altre circostanze avrei riso, ma ero così giù
di morale per il piano fallito che ridere era l’ultima delle mie priorità.

«Ah sì?» domandò la guardia sorpreso. «E da quando?» «Fate troppe domande, principessa» lo imitai, pronunciando le sue stesse parole. Lui sorrise in risposta. La cameriera augurò la buona notte a entrambi, dopodiché fece uno spoglio cenno con il mento a Ilyas di seguirlo.

Li guardai scendere le scale e allontanarsi diretti verso gli alloggi della servitù. Sentii soltanto una parte della loro (dedussi breve) conversazione.

«Zephyra… Quindi dormo con-» «No» lo interruppe. «Perché sei arrabbiata?»
«Mi hai definito una prostituta».
«Oh, non pensavo che tu fossi una cameriera…»
«Ma mi hai vista mille altre volte!» «Non ti avevo riconosciuta, insomma, mi ero appena svegliato e pensavo che-»
«Lascia perdere» concluse lei rassegnata.

Svoltarono l’angolo e sparirono dalla mia visuale. Mi voltai verso la guardia. «Che problemi ha?» chiese, riferendosi a Ilyas. «Stagli lontano» lo avvertii, riducendo gli occhi a due fessure. Lui si avvicinò di qualche passo. Indietreggiai saltellando, fino a sbattere contro il muro con la schiena.
Cominciavo ad avere paura.

“Un conto”, pensai, “è essere circondata da una o più guardie in presenza di altre persone, quando sono troppo occupate a seguire gli ordini della regina per notarmi. Un conto è rimanere da sola con uno di essi”. Le guardie erano diventate il mio incubo peggiore ormai da mesi.

«Perché tremi?»
«Fa freddo» mentii.
«Spiegami perché prima, alle stalle, piangevi».
«Non voglio sposarmi» dissi a fior di labbra. In parte era vero, ma il motivo per il quale piangevo era totalmente un
altro. «Mmm».

Si avvicinò ancora di più al mio viso, scrutandomi con sospetto. Il terrore mi salì in corpo e mi paralizzò completamente. Non un’altra volta, per favore. Respiravo a fatica.

Giurai di aver intravisto per un istante, nei suoi occhi, un altro tipo di tonalità oltre al verde, tendente al carbone. Sparì un secondo dopo. Mi ero sbagliata di certo.

«Non lo metto in dubbio, visto il vostro
comportamento infantile e irrispettoso. Ma sono abbastanza sicuro che la ragione è un’altra». Rimasi in silenzio. «Hai paura di me?» Avrei voluto tirargli calci e pugni, respingerlo con tutte le forze che avevo, vendicare la mia rabbia su di lui. Far provare a tutte quelle guardie il dolore e la vergogna che avevano inciso nel mio corpo per sempre.

Abbassai gli occhi, lottando per trattenere le lacrime imminenti, pronte a scorrere lungo le guance. «Capisco» disse allontanandosi. «Buona notte, Vostra Altezza». Mimò un inchino formale e si diresse al piano inferiore. Cosa diavolo era appena successo?

«Dirò agli altri che non vi sentite bene e che preferite riposarvi in vista di domani» quasi urlò dalle scale. Non osai fiatare. Mi limitai soltanto a riprendere a respirare normalmente e asciugare le lacrime che oramai mi rigavano il viso. Ritornai nella mia stanza, sgocciolando sul pavimento.

Mi cambiai i vestiti fradici. Poi asciugai i capelli e il corpo con un asciugamano, facendo attenzione a toccare il meno possibile la caviglia dolorante. Indossai una sottoveste pulita e infine mi sedetti sul letto. Il cuore martellava ancora veloce per lo spavento. Non riuscii a spiegarmi cosa fosse successo poco prima.

Il Regno inesistenteWhere stories live. Discover now