Nimia ed Evelnora

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Il castello non le era mai piaciuto.

Sembrava un luogo così pieno di tranquillità all'apparenza, come un colorato prato fiorito. In realtà poteva dire con cognizione di causa che sarebbe potuto essere ben rappresentato, senza nemmeno dover esagerare, come un cespuglio dalle ramificazioni contorte e dalle foglie pungenti, nel quale stentavano a crescere fiori o frutti.

Nimia Gramien era una giovane donna che lavorava ufficialmente come cameriera e donna di piacere a corte, ma veniva spesso assunta come informatrice da parte dell'Accademia. I suoi erano lavori scomodi, in particolar modo questo.

Spesso doveva appartarsi con il mandante per evitare che qualcuno li sentisse quando le veniva richiesto di riferire una commissione, poiché la persona interessata avrebbe potuto sentire e richiedere che lei venisse uccisa prima di mandare il messaggio. Fortunatamente erano pochi gli assassini dell'Accademia che andavano contro la legge esplicitata di non uccidere i loro ambasciatori, ma per un gruzzolo di soldi in più non c'era pietà in tempi di fame.

Le suddette commissioni erano difatti omicidi per lo più, ma erano frequenti anche minacce, estorsioni, infanticidi che arrivavano a riguardare la stessa corte, i nobili o le sette religiose. L'Accademia, a dispetto del nome pacifico, era questo infatti, una scuola dove non si imparava a leggere, ma come tenere un coltello. I valori che rappresentava non erano le virtù dei saggi, ma l'indifferenza degli spietati.

Era differenziata dalle scuole civili con la lettera A maiuscola all'inizio, e ne esisteva una sola in tutti e cinque i regni; coloro che uccidevano all'infuori di questa istituzione erano criminali, coloro che lo facevano all'interno erano orfani. Ecco perché la politica di inclusione permetteva di accogliere sotto la sua ala qualunque infante venisse lasciato fuori le sue porte al di sotto dei cinque anni, età perfetta per plasmare gli esseri umani.

In un certo senso, se Nimia non fosse stata una persona ragionevole, avrebbe potuto cambiare gli obbiettivi e giocare con la vita delle persone, come altri prima di lei avevano fatto in precedenza. Eppure la sua purezza d'animo era stata preservata nonostante tutto, persino quando certe notti avrebbe solo voluto evadere dalla stanza del cortigiano di turno o più semplicemente aggiungere il suo nome a una commissione.

Mentre si specchiava nelle sue stanze, perdendo lo sguardo nel riflesso delle sue iridi castane, pensò che poi la sua vita non era così orribile da desiderare il suicidio (o meglio omicidio), almeno non da quando, grazie agli incarichi che le veniva detto di riportare, aveva conosciuto l'assassina scura. La chiamavano così per via della sua pelle, ma il suo vero nome era Evelnora. Lo aveva involontariamente ascoltato quando era andata dal capo dell'Accademia a riferire un grosso incarico; l'uomo era occupato ma nessuno l'aveva avvertita, così aveva sentito casualmente il suo nome da dietro la porta e poi entrò senza bussare.

«Informatrice Nimia, al vostro servizio.» Disse imbarazzata, carezzandosi i capelli color ambra per auto-rassicurazione. «Scusi l'interruzione, se vuole ritorno dopo...»

Il Capo, silenzioso, le fece cenno di accomodarsi in una sedia dove alle sue spalle con due pugnali, uno per mano, stava la donna dalla pelle nera. Non la vide di fronte, ma la riconobbe dalla descrizione fisica di cui era venuta a sapere dai reali. Si sedette e notato il silenzio riprese a parlare.

«Devo riferirle una commissione da parte del regnante, si tratta di un omicidio e un possibile infanticidio. Non è dato sapere il motivo per quest'ordine, in più l'obbiettivo è una donna ricercata; da quanto ne so personalmente è una donna di piacere fuggita dalla corte diversi mesi fa.» C'erano tutte le carte in regola per presuppore che questa donna fosse l'amante del re, con tanto di figlio in grembo.

«Hanno dato un indirizzo?» La ragazza la precedette.

«Ovviamente no.» a quelle parole il Capo sbuffò.

«Da quando hanno legalizzato l'Accademia pretendono che, oltre a crescere un esercito di mercenari, riusciamo a localizzare gli obbiettivi come un pugno di investigatori reali.» La persona, fino ad allora nascosta nell'ombra smise di parlare e sorseggiò un po' di caffe, ci penso un attimo e riprese poco dopo. «Di' al re che, per quanto impreciso, l'incarico è accettato dall'assassina scura, e fagli la richiesta del dieci percento in più per il disturbo delle ricerche.»

La giovane donna chiamata in causa fece un verso stizzito e usci dalla stanza, seguita a ruota da Nimia che, dopo aver rivolto i suoi saluti, se la diede a gambe pur di non stare da sola davanti al Capo Accademia.

Quest'ultima tirò un sospiro di sollievo varcato l'uscio dell'edificio, ma non ebbe il tempo di rilassarsi appieno perché davanti a lei stava Evelnora, seduta sulla gradinata con i gomiti puntellati sulle ginocchia e i pugni a sostenere il mento. Aveva i capelli neri e grigio scuro legati in una coda. Sembrava provata fisicamente e la sua mezza armatura sembrava pesare un macigno sulle sue spalle, ma lei la teneva fieramente, senza incurvare la schiena, come se facendolo non ne sarebbe stata degna.

Nimia si fece coraggio e si sedette nel suo stesso gradino, leggermente più lontana, la osservò per quello che poteva. Scorse una cicatrice verticale che passava per il suo occhio sinistro; era molto più chiara della sua pelle, ma questo non la rendeva meno bella. La sua non era una bellezza elegante, bensì una guerriera.

«Puoi anche parlarmi, non faccio mica male.» Disse a un certo punto l'altra.

«Mi chiedevo come mai non ti fai vedere in giro. Gli altri come voi escono e se la spassano quando non lavorano, ma tu no. Non ho mai sentito che l'assassina scusa sia andata a prendersi una bevanda in qualche locale nel centro.»

«Non amo bere da sola, né in compagnia.» Per un momento la più grande pensò di chiudere lì la discussione, ma poi riprese. «Tu invece? Le cortigiane vivono bene anche senza dover fare le intermediarie, perciò chi ti ci porta?» Chiese sdraiandosi sul gradino.

Nimia tentennò nel rispondere. Non voleva dirle che sperava che qualcuno la uccidesse proprio per questo, ma nemmeno voleva affermare di conseguenza che fare il cosiddetto "corvo nero" fosse bello. Optò per una via di mezzo.

«Sono solo subentrata ai lavori di mia madre da quando è stata uccisa, entrambi pagano bene, perciò perché non seguire il suo esempio?» un piccolo cenno di un sorriso amaro sembrava essersi fatto strada nel suo volto per una frazione di secondo, troppo poco perché qualcuno lo notasse. In fondo era sempre stato così, era brava a nascondere ciò che voleva o meno agli altri.

Evelnora rimase in silenzio a terra per qualche altro minuto e dopo si alzò. Senza voltarsi indietro, dandole ancora le spalle, disse a bassa voce: «Quando vorrai dire la verità a qualcuno passa pure dall'Accademia, fai il mio nome e ti faranno entrare, tanto so che lo hai sentito.» Infine camminò verso l'ingresso della scuola per sicari.

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