Lexanneau

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Era fatta.

Lexanneu Jacklyn stava per ripartire la sua magia nel Vecchio Impero senza nemmeno saperlo. Peccato che allo stesso tempo tre anni prima fosse già in corso una ripartizione, quella dell'Impero stesso.

Da quel giorno tutto era cambiato. Questo continuo frantumarsi di pezzi della realtà non aveva fatto bene a nessuno, specie a lei che con quell'ultimo atto, nella speranza di perdere qualcosa che non voleva più, aveva sacrificato tutto quello che le era rimasto: il suo amore, la sua casa, il suo titolo, il suo regno.

Ciò di cui voleva tanto liberarsi era un potere semidivino che Kethani, la Dea del suo mondo, le aveva donato in un impeto di impulsività e curiosità. Infatti quest'ultima l'aveva osservata tutta la vita e si era interessata alla piccola principessa, dopo aver passato millenni senza che gli esseri umani le suscitassero altro se non malinconia, per poi dividere a metà con lei la magia che può adoperare una Dea.

Lexanneau era fuggita di tutta fretta dall'ultima casa naturale, costituita stavolta da una scomodissima grotta, che ancora una volta era stata scoperta dalle guardie che si ostinavano a cercarla. Era stata denunciata solo pochi giorni prima dal padre del piccolo che portava in grembo per stregoneria, e non c'era stato modo di dissuadere sua madre dal dare l'ordine di cacciarla. Le aveva detto che non voleva due mostri in casa sua, ossia lei e il nascituro.

Essendo incinta non sarebbe andata lontano. Le si erano pure rotte le acque da quasi un'ora, perciò a breve suo figlio, o figlia, sarebbe nato nei boschi di Qraco e lei sarebbe sicuramente morta perché non ci sarebbe stata nessuna levatrice ad assisterla. Non le restava che pregare la Dea che l'aveva aiutata a modo suo fino a quel momento, e chiederle ancora una volta di proteggere il nascituro.

Kethani in verità aveva commesso un grave errore di valutazione nel pensare che una ragazza così fragile sarebbe riuscita a reggere quella responsabilità da sola. I poteri divini dovrebbero restare tali infatti, divini. L'universo stesso era subordinato a questa legge.

Durante il parto la giovane perse la maggior parte dei poteri che aveva ricevuto in dono, la sua magia si frantumò in sette pezzi e solo uno rimase a lei e al nuovo nato; poi, proprio come desiderava, gli altri sei si dispersero nell'ormai impropriamente detto Impero. Suo figlio era un bellissimo maschietto con una peluria castano scuro in testa, lei non poté far a meno di pensare che a suo padre sarebbe piaciuto vederlo così paffuto e sano, lo avrebbe amato solo per esser venuto al mondo.

Eppure lui non era lì, per colpa della magia che lo aveva spinto a condannare anche lei, la sua piccola protetta e amante. Quella dannata responsabilità non l'aveva nemmeno chiesta e le aveva procurato solo veri e propri incubi tramutati in realtà. Ecco ciò che aveva causato Kethani.

Distrutta, Lexanneau si accasciò a un grande albero secolare e iniziò a respirare più lentamente. Incredibilmente vide crescere dalle radici tanti prolungamenti che avvolsero il suo bambino creando una cesta di vimini. Poi successivamente si sentì venire meno tutte le forze. Capii che era giunto il momento di dirgli addio, per quanto lo amasse.

«Che qualcuno lo ritrovi! Oh Dea, solo tu mi sei rimasta in questo mondo di orrori e stragi, salva almeno lui nella culla di pietà che gli hai generato. Il mio bambino!» quella fu l'ultima volta che Lexanneu urlò. Se qualcuno l'avesse sentita, non ci sarebbe stata parola con la quale avrebbe potuto definire lo strazio di quello che sarebbe accaduto a breve.

Tutto divenne così freddo. La sua pelle si irrigidì, perse colore, i suoi capelli smisero di ondeggiare se non per causa del vento. La luce che le brillò negli occhi per ben venti anni sparì lentamente, come un ombra silenziosa che teme di essere notata da occhi indiscreti; poco dopo quelle perle azzurre furono coperte dalle palpebre. Si sentì solo un leggerissimo sospiro. Sarà quello che in modo riduttivo chiamano il respiro vitale, ma comunque venne via dal suo corpo levandosi verso l'alto. La natura si arrestò per un breve istante a compiangere la donna.

Il sole venne coperto a lutto da una nuvola scura.

Gli animali smisero di far sentire i loro versi, se non coloro che cantavano un canto triste.

Solo alla fine, il bambino pianse.

La Dea, che nulla fino a quel momento era riuscita a fare, pianse pure, esplose in lacrime liberatorie dall'alto del suo cielo di un blu sempiterno. Non voleva ancora raccogliere quell'anima pura che aveva involontariamente appesantito con il suo dono. Anche una Dea poteva sbagliare?

Non voleva ammettere che fosse possibile, ma i giochi erano fatti e presto o tardi qualcuno avrebbe visto il corpo della sua eletta, lo avrebbe portato a palazzo e lo avrebbe bruciato così come si faceva con i veggenti di eventi orribili.

Non poté permetterlo.

Raccolse quel respiro emesso poco prima e lo spinse all'interno dell'albero, dove Lexanneu sembrava dormire poggiata con la schiena. In pochi secondi il corpo stesso della giovane venne tirato a forza dalla corteccia dentro il tronco come se quest'ultima la avvolgesse.

Lexanneu sarebbe vissuta ancora se un suo erede avesse toccato quell'albero, ecco cosa aveva decretato la Dea. I suoi capelli avrebbero perso il colore castano da quel momento, e avrebbero acquisito delle sfumature di verde che, semmai fosse riuscita a risvegliarsi, non avrebbero fatto altro che ricordarle quanto dolore può sopportare.

Non era molto, ma non era nemmeno nulla.

Frammenti di storieWhere stories live. Discover now