Capitolo 14

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Sto camminando accanto a Ermal, a un solo passo di distanza, tanto che le nostre mani si sfiorano qualche volta ma con cadenza regolare, come fosse una regola. E ogni singolo minimo contatto mi provoca dei brividi che partono dalla mano e arrivano alla schiena, facendomi sentire improvvisamente una ventata di caldo. Specie dopo quello che stava per succedere prima in spiaggia e che siamo riusciti a interrompere.

Non sarebbe possibile altrimenti.

Vite troppo diverse, troppi chilometri in mezzo, troppo poco tempo passato insieme che non basterebbe a colmare quello di assenza.

Filippo ha bisogno di una certezza, mentre la presenza saltuaria di Ermal non lo sarebbe e lo confonderebbe soltanto. Così come non lo sarebbe per me.

È giusto così.

Ogni cosa bella ha fine prima o poi e sono fiera del fatto che siamo riusciti a non portare troppo in là la questione. Che poi, ormai è già troppo in là.

E in fondo non l'abbiamo fatto veramente, abbiamo solo evitato un bacio, non abbiamo interrotto drasticamente nulla. Stiamo pur sempre andando a prendere Filippo da scuola insieme, lo confonderemo ancora, confonderemo me, confonderemo Ermal.

La verità è che questa situazione non fa bene a nessuno dei tre, ma allo stesso tempo ci rende così felici. Per lo meno a me e Filippo.

Lo capisco dalle sensazioni che provo quando questo ragazzo riccio e molto più grande di me è nei dintorni, dal sorriso che ha mio figlio ad esempio ora quando ci vede entrare e corre ad abbracciare prima me, poi lui, come fosse già parte della famiglia.

E infatti ecco che allunga le braccia verso Ermal, vuole che sia lui a prenderlo in braccio. Questo mi lancia un'occhiata come per chiedere il permesso, poi si china per prendere in braccio il bambino dopo che gli ho sorriso. Adoro vederlo alle prese con lui, ci sa davvero fare con i bambini.

«Non è giusto» piagnucola Filippo poco dopo che abbiamo lasciato la scuola e noi, preoccupati per il suo improvviso malumore, ci affrettiamo a chiedergli cosa sia successo. «Siete stati al mare senza di me!» esclama risentito.

Io ed Ermal ci guardiamo e iniziamo a ridere, complici.

«Come ha fatto a scoprirci, vostro onore?» chiede Ermal fingendosi disperato e facendomi ridacchiare.

«Tu hai la sabbia sulla giacca e la mamma l'ha nei capelli!» esclama ancora, indicando prima il cappotto di Ermal effettivamente ancora sporco, poi i miei capelli. «E anche tu hai la sabbia nei capelli, Emma!».

Rido vedendo gli occhi di Ermal spalancarsi nel sentirsi ancora una volta chiamare col nome di una ragazza.

«Amore, è Ermal, te l'ho già detto, non Emma» lo correggo non riuscendo a placare la mia risata e beccandomi un'occhiataccia dal soggetto della discussione.

Filippo alza le spalle e mette il broncio.

«Uhm... Che ne dici se andiamo in spiaggia a fare una passeggiata? Ma solo se mettiamo via quel broncio eh» propone Ermal riuscendo a far sorridere mio figlio.

Vorrei averlo sempre qui, sembra riuscire a convincerlo con così poco a smetterla di piagnucolare per qualcosa.

Così ci troviamo in pochi minuti sulla spiaggia, Filippo che cammina in mezzo a noi tenendo la mano destra a me e la sinistra ad Ermal.

E d'improvviso mi sembra così naturale camminare sulla spiaggia tenendo una mano a Filippo, mentre Ermal gli tiene l'altra, farlo sollevare di tanto in tanto da terra perché ci chiede di "farlo volare", lanciarci occhiate fugaci di nascosto da questo bambino che è sempre stato fin troppo sveglio rispetto agli altri bambini della sua età.

Mi sembra come se l'avessimo sempre fatto, come se Ermal ci fosse sempre stato e non fosse quindi un'eccezione, ma un'abitudine.

E Filippo ride, ride anche con gli occhi, è felice e non c'è nemmeno un'ombra di tristezza che la sua anima in questo momento sprigiona. È così che lo vorrei sempre vedere, con l'animo luminoso, come fosse una stella.

E il suono cristallino della sua risata unito a quella di Ermal è appena diventato il mio preferito, vorrei poterlo ascoltare in continuazione per il resto della mia vita. Ha il sapore della felicità, di quella inattaccabile, che niente potrebbe mai rovinare. Eppure, domani questo suono svanirà. Ermal ripartirà e chissà se lo vedremo ancora. Non voglio neanche pensare a come Filippo reagirà, si è già affezionato molto a lui. E io? Io come reagirò?

Una folata di vento gelido si infrange su di noi e mi accorgo con la coda dell'occhio che Filippo ha appena avuto un brivido. Lancio un'occhiata a Ermal, se n'è accorto anche lui. Si abbassa verso il nanerottolo e lo prende in braccio, così io lascio la sua mano, e ci incamminiamo verso casa, nonostante le lamentele del più piccolo.

Non voglio che si ammali e, a giudicare dall'iniziativa presa da Ermal senza che io dicessi niente, credo anche lui abbia pensato lo stesso. È una persona speciale, fin troppo.

Mentre camminiamo verso casa, Filippo si accoccola a Ermal come fosse un koala, facendo ridacchiare lui e intenerire all'ennesima potenza la sottoscritta. Non l'ho mai visto così attaccato a nessuno all'infuori della nostra piccola famiglia, nemmeno ai miei amici più stretti con cui anche lui passa parecchio tempo e che ha visto sin da quando è nato. Sono sempre state figure presenti nella sua vita, ma non ha mai sviluppato un rapporto del genere con loro, non li ha mai cercati come fa con lui, non li ha mai pregati di venire con noi a casa per giocare insieme. Nonostante sia un bambino molto socievole ed affettuoso, non ha mai cercato delle coccole da loro, seppur ricevendole molto volentieri. Quando si tratta di Ermal, invece, le cerca in continuazione, e non era mai successo con nessuno che non fossimo io o i miei genitori, nemmeno con mio fratello. Beh, non mi stupisco di quest'ultimo punto, in fondo mio fratello non vive più con noi da anni e si è trasferito in Inghilterra prima ancora che Filippo nascesse. Non ci vediamo spesso e penso abbia incontrato mio figlio soltanto a Natale e un paio di volte in occasione delle vacanze estive, quando passava di qua giusto per un saluto. Ormai la sua vita è altrove, questa cittadina non gli appartiene più.

Una volta arrivati nel pianerottolo, infilo le chiavi nella serratura ma, a differenza di quanto successo ieri, dando solo uno scatto la porta si apre, segno che i miei genitori sono in casa.

Speravo che questo momento non sarebbe dovuto arrivare.

«Ci sono i miei in casa, ti chiedo scusa in anticipo per ogni cosa che potrà metterti in imbarazzo» gli sussurro aprendo la porta, giusto qualche secondo prima che mia mamma venga ad accogliere me e suo nipote come ogni giorno, rimanendo però immobile trovando una terza persona con noi.

Ti prego, fai che le piaccia. Ti prego.

La vedo assottigliare gli occhi prima di voltarmi per chiudere la porta. Quando mi giro di nuovo verso di lei, trovo mio padre al suo fianco.

Non ho mai portato nessuno a casa oltre ai miei amici di sempre da quando Filippo è nato, non mi sorprendono le loro facce confuse e leggermente stupite.

Se è qui, ha un ruolo importante, ha saputo distinguersi da tutti gli altri.

Loro lo sanno.

L'altra metà || Ermal MetaOnde histórias criam vida. Descubra agora