Capitolo 56

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Canzone per il capitolo: You let me walk alone || Michael Schulte

Ermal p.o.v.

Sorrido a Fabrizio, seduto accanto a me, mentre il cantante rappresentante dell'Inghilterra lascia il palco e cammina verso di noi per tornare al proprio posto.

Siamo tutti qui, seduti in file accanto al palcoscenico, noi cantanti in rappresentanza delle diverse nazioni partecipanti all'Eurovision Song Contest.

Non nego di averci sperato con tutto me stesso di trovarmi, prima o poi, seduto su una di queste sedie, immerso in un mescolone di lingue che non conosco ma che allo stesso tempo mi affascinano incredibilmente. Eppure, non riesco a credere di avercela fatta, non così presto. Pensandoci bene, la mia carriera da solista è partita per davvero solamente due anni e qualche mese fa, in occasione del Festival di Sanremo a cui ho partecipato nella categoria giovani. Allora mai avrei pensato che, due anni più tardi, l'Italia avrebbe mandato me a rappresentarla in Europa. Me e Fabrizio, ma questo è un altro discorso.

Ripensando a quel Festival, non posso non riconoscere quanto mi abbia cambiato la vita. Dall'autore di canzoni per gli altri, sono diventato un cantautore per me stesso. Dallo svegliarmi solo nel letto ogni mattino, sono passato allo svegliarmi solo nel letto ogni mattino ma con una persona a cui pensare, sperando fosse lì, immaginandola accanto a me tra le lenzuola che continua a dormire mentre io la osservo, come sempre quando abbiamo avuto l'occasione di dormire insieme. E dall'alzarmi dal letto e trascinarmi in cucina, prepararmi una tazza di caffè e pensare a quanto la mia vita fosse deludente, sono passato a prendere in mano il telefono per mandare un messaggio, per poi alzarmi e trascinarmi fino in cucina e prepararmi una tazza di caffè. È quel messaggio che fa la differenza, è lei che fa la differenza.

Poi, come da un'onda in un giorno di tempesta, vengo colpito dalla cruda verità, quella che cerco di reprimere ogni giorno, che forse se fingo non esista, questa scompare per davvero e mi riporta a ciò che era diventata per me la normalità. Forse mi riporta da lei, ma non lo fa mai.

Lei non c'è.

Lei non c'è perché io ho buttato via tutto, cedendo ai tentativi di Silvia di ricostruire i ponti con me. Sapevo quanto fosse sbagliato, ma non è una novità che quando si tratta di lei, io divento un'altra persona. Non è una novità che io, non si sa bene per quale strano contorto meccanismo della mia mente, finisco sempre per perdonarla, in un modo o nell'altro. E sono fin troppo stupido, perché io continuo a sperare che lei sia interessata a un'amicizia quando torna da me. Ma non lo è mai. Vuole sempre di più, e io dovevo tirarmi indietro quel giorno, rifiutare di incontrarci "per un caffè", sapendo come sarebbe andata a finire. Ma non ce l'ho fatta, non ce l'ho fatta e ora sono di nuovo da solo. Mi sveglio da solo, non ho nessuno a cui mandare un messaggio prima ancora di alzarmi dal letto, non ho qualcuno da immaginare accanto a me tra le coperte.

Anzi, continuo ad averlo qualcuno da immaginare, ma lei non sarebbe più disposta a rendere le mie fantasie reali, nonostante tutto.

«Ancora lei?», chiede Fabrizio, forse infastidito dalla ricorrenza di questo mio pensiero. Mi limito ad annuire, abbassando lo sguardo, e lui sospira. «Ormai lo riconosco, quello sguardo che hai solo quando pensi a lei».

«Che tipo di sguardo?».

«Quello di chi è convinto di essersi rovinato la vita con le proprie mani e si odia per tutte le cose che ha sbagliato», mi spiega e io mi volto a guardarlo, non capacitandomi di come da uno sguardo sia riuscito a cogliere così tanto. «Sai, saranno anche stati motivi diversi, ma è lo stesso sguardo che ho avuto anch'io per tanto tempo».

Non sapendo cosa dire, annuisco di nuovo.

«Però pensaci, ora sono qua con te, la mia carriera ha visto una svolta che non mi sarei mai aspettato, ho dei bambini meravigliosi a casa che mi aspettano, e tutto sembra andare per il verso giusto», mi dice e sono riuscito a leggere nel suo sguardo il rimorso di aver menzionato i bambini a casa che lo aspettano nello stesso istante in cui l'ha detto. Ma non è colpa sua, è giusto che ne parli, sono i suoi bambini. Se io un bambino che mi aspetta non l'ho più, è solo colpa mia. «Voglio dire, arriverà un momento in cui ti dirai "ma vaffanculo, o lo faccio adesso o mi ammazzo", e riuscirai a prendere in mano la tua vita, a riprendertela indietro», continua e non so se con quel "riprendertela" si riferisse alla mia vita o a qualcos'altro. Qualcun altro.

L'altra metà || Ermal MetaOnde as histórias ganham vida. Descobre agora