i tried so hard to not fall for you, but then our eyes locked and it was over.

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ATTENZIONE SCENE DI SESSO ESPLICITE.

Se vi sembra che ci siano strane anomalie durante il capitolo, come frasi lasciate a metà o lunghe ripetizioni, provate a ricaricare il capitolo.

La mano impotente di Jimin lasció cadere il cellulare sul divano accanto a sé, senza badare al fatto che aveva marinato suo fratello evitando completamente di curarsene un minimo. Ora tutta la sua attenzione era focalizzata completamente su quel biglietto nero e sul codice a barre presente sul retro di esso. Sapeva bene chi fosse il mandante ed era quel fondamentale particolare che lo fece fremere di gioia, pur essendo consapevole di essere in procinto di cadere da una rupe. La scelta che doveva assolutamente fare era stata fortemente anticipata e Jimin non seppe che strada prendere, di nuovo. Era spaventato a morte. Se ci fosse andato, sapeva che sarebbero finiti per fare sesso e probabilmente era per quel fine che Yoongi lo aveva invitato al Lotte Hotel. Se non ci fosse andato, poteva scordarsi Yoongi per sempre. Il loro rapporto si sarebbe consumato più presto del previsto e di loro due ci sarebbero rimasti solo ricordi latenti. Proprio con l'avvento di questo pensiero, Jimin si infilò di nuovo i pantaloni, raccolse le chiavi, il cellulare e i documenti, si mise il biglietto incriminato in tasca e guardó il portone, esalando un gran sospiro. Al diavolo, voleva rivederlo, i patti erano quelli. Fece un passo e aprì la porta, per poi richiuderla all'istante dietro di sé. Aveva fatto la sua scelta. Si incamminò verso la sua macchina, la mise in moto e cercó l'hotel sul navigatore. Distava circa trenta minuti dal suo appartamento e Jimin decise di ingranare la prima e partire dal suo parcheggio. L'agitazione lo teneva ben attento sulla strada e distolse lo sguardo solamente quando si trovò a solcare un ponte, uno di quelli che erano stati costruiti da poco e da cui si vedevano i numerosi grattacieli del centro città. Jimin osservó il fiume al di sotto di esso e pensó che lui si sentiva proprio come se stesse affondando in acque tanto torbide che quasi sembravano tutt'uno col prato. Non riusciva a respirare correttamente e ogni pensiero veniva represso malignamente da altrettanti, i suoi movimenti sembravano svolgersi a rallentatore e sentiva i suoi muscoli atrofizzati. Ripensò al tono freddo di quando Yoongi gli aveva sputato in faccia parole le quali facevano chiaramente intendere che di lui gli importava poco o niente. Jimin era consapevole di aver accettato proprio quelle condizioni, sapeva che Yoongi non cercava altri rapporti e aveva capito che non era il ragazzo adatto a lui. Fin da piccolo aveva sempre sognato una ragazza da amare e a cui rivolgere tutte le minime attenzioni. Era come se, arrivato a quel punto, fosse lui stesso a cercare attenzione da Yoongi, senza riuscire ad arrendersi. La sua mente non poteva riuscire a non pensare a quel viso e il suo corpo non riusciva a dimenticare quelle mani sui fianchi e quelle labbra sul petto.

Il Lotte Hotel era famoso in tutta Seoul. Cinque stelle. Ristorante con due stelle Michelin. Stanze estremamente costose. Jimin si sentì male solo a pensare di mettere piede in quel luogo, dato che non ci era mai entrato in vita sua e non avrebbe mai immaginato di attraversare proprio quella porta un giorno. In realtà, erano assurde anche le circostanze che lo avevano portato a dirigersi in quel luogo. Sesso, maggiormente. Dico maggiormente, poiché Jimin avrebbe voluto porre qualche cambiamento al loro patto e magari far sembrare che fosse arrabbiato con lui per vedere almeno una lieve preoccupazione. Non era, quindi, venuto soltanto per andarci a letto. Diciamo, solo maggiormente.
Arrivó davanti ad un altissimo edificio di vetro grigio scuro, illuminato da diverse luci dorate che riflettevano la loro brillantezza sulla struttura lucida e che creavano un'atmosfera suggestiva, in pieno stile Seoul. Era un edificio squadrato e lucente, probabilmente ristrutturato da poco tempo e curato nei minimi dettagli. Si affacciava direttamente sulla strada, dunque non c'era nessun giardino, ma Jimin sapeva da qualche voce che aveva sicuramente un parcheggio privato. Continuó a guardare il palazzo, il quale, a detta di Jimin, sarà stato alto una ventina buona di metri, se non una trentina. Si fermò con la macchina davanti all'entrata e uscí frettolosamente, sempre stando attento ai particolari di quell'hotel. All'entrata c'erano delle persone eleganti, vestite di tutto punto, e si poteva annusare nell'aria l'odore di soldi. Alcuni uomini avevano davvero l'aspetto intimidatorio come alcuni personaggi che Jimin aveva visto in certi film americani, dove per le finanze si arrivava persino ad uccidere e cliché del genere. Distolse lo sguardo da quelle persone e si rese conto di quanto fosse luminosa la larghissima entrata dell'hotel. Due grandi vetrate dagli infissi lucidi e dorati affiancavano una porta girevole, anch'essa decorata sui toni dell'oro, che girava in senso antiorario. Jimin cominciò a sentire l'ansia far tamburellare il suo cuore sul petto, ma si infilò il più velocemente possibile tra due delle quattro ante di vetro. Quando fu finalmente dentro, la sua reazione fu evidente e visibile a tutti i presenti che lo guardavano. La mascella gli cedette e gli occhi si fecero più grandi e lucidi. Le luci erano gialle ed arancioni, conferivano alla grande stanza una elegante tinta color del miele e Jimin si ritrovò sotto i piedi un pavimento di marmo lucido e bianco. Anche quel pavimento assumeva il colorito della sabbia e da lì si ergevano delle colonne portanti larghe e squadrate, costituite da un legno marrone non troppo scuro e nemmeno troppo chiaro, quasi vicino ad un nocciola. Jimin fissò la reception davanti a sé, per poi spostare lo sguardo verso la sua sinistra. Un pianoforte nero brillante risiedeva in mezzo a dei tavoli che sicuramente erano parte del bancone da bar, il quale era posto in un angolo, abbandonato insieme a una serie interminabile di bottiglie di superalcolici. Una coppia era seduta in uno dei tavoli, un uomo e una donna vestiti in modo non troppo all'avanguardia, ma che al primo colpo d'occhio sembravano due persone distinte. Entrambi si tenevano la mano mentre si sorridevano in modo smielato. Jimin pensò che la ragazza dai capelli rossi seduta in quel tavolo fosse davvero bella, ma purtroppo non riuscì nemmeno ad intravedere il viso dell'uomo che le teneva stretta la mano. Quei due gli dettero una strana sensazione allo stomaco. Si ricordò delle uniche mani che avessero mai contenuto le sue in un modo così perfetto da essere degno di una scultura. Le aveva desiderate quelle mani e lo faceva ancora, eppure non riuscivano ad accontentarlo ancora a pieno. Il motivo lo aveva davanti in quel momento, la visione dei due ragazzi che si stringevano i palmi, senza alcun altro bisogno, senza gemiti né sospiri. Jimin ebbe il desiderio lacerante di vivere un momento del genere per riflettersi negli occhi spenti del ragazzo a cui stava pensando. Forse, in occhi colpevoli quanto i suoi, avrebbe visto un riflesso migliore di sé. Non voleva continuare in quel modo, non poteva sopportare il peso di mentire al suo migliore amico, non ne poteva più di tenere represse le sue voglie e sopratutto non poteva sopportare di dipendere così tanto da un'altra persona. Non l'avrebbe mai immaginato. Ogni volta che doveva prendere una decisione, sceglieva qualunque cosa lo facesse avvicinare a Yoongi, sebbene sapesse che gli avrebbe fatto del male continuare quella storia. Quella grande stanza la stava solcando per lui e solo per lui. Il desiderio di averlo, di risentirlo, di percepirlo sulla pelle e di sentir risuonare la sua voce nelle orecchie. Era frustrante, ne era a conoscenza più di quanto io possa descrivere, una costante lotta dentro di lui stava decidendo le sorti di quella sera e Jimin fece un'altra scelta. Appena Yoongi avesse commesso un reale errore, allora Jimin si sarebbe staccato da lui, per sempre. Si oppose all'idea di sopportare ancora la sensazione del rifiuto, la delusione e le parole così fredde da sembrare ghiaccio tagliente per un ragazzo a cui non importava effettivamente come lui stesse. Arrivó al banco di legno liscio della ricezione e un ragazzo di circa una trentina d'anni gli si parò davanti con un grande e amichevole sorriso. Jimin lesse il cartellino che il receptionist indossava spillato sul petto e fu in grado di decifrare il suo nome, "Hansol Vernon".
«Esotico.» Pensó Jimin, cominciando a tirare fuori il biglietto. Vernon era un ragazzo non esageratamente alto, biondo, dagli occhi grandi color nocciola e i tratti marcati, vagamente simili a quelli americani. Era attraente, constató il biondo, gli sembrava un k-pop idol dall'aspetto rigorosamente curato ed elegante. Quando finalmente ebbe trovato il biglietto nero che gli aveva scritto Yoongi, ricontrolló il numero della camera e glielo fece scivolare davanti, insieme alla sua carta di identità.

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