Terzo capitolo - Quattro non è il numero perfetto?

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Terzo capitolo - Quattro non è il numero perfetto?

Bella

Apro la porta dell'ufficio con uno scatto, dando vita a una serie di piccole cose che dovevo aspettarmi, visto di che male soffro. La maniglia scivola sulla mia mano, e va a sbattere dell'altra parte del muro. Con un tonfo torna indietro, e per fermarla al volo con il piede il décolleté nero si sfila, quindi per non perdere l'equilibro la riafferro con la mano, e la borsa scivola per terra facendo riversare tutto il suo contenuto.

Buongiorno Isabella Swan, buon secondo giorno di lavoro. Complimenti.

"Isabella?" Alzo gli occhi, e due facce sconvolte mi fissano. Anzi, una meno sconvolta dell'altra. Perché ormai Cullen sa bene chi si trova davanti, ma l'uomo dall'altra parte della scrivania no.

"Mi dispiace davvero tanto." Mi rinfilo la scarpa e inizio a rimettere in fretta e furia tutte le cose che sono per terra dentro la borsa. "Ma Siviglia non ha suonato stamattina e ho fatto tardi. Prendere la metro è stato il disastro più disastroso che poteva succedermi oggi. Davvero, le chiedo scusa. Mezz'ora di ritardo il mio secondo giorno. Mi scusi." Non oso immaginare cosa stiano vedendo in questo momento. Una poveraccia che indossa il primo paio di jeans trovati nell'armadio, che grazie a Dio sono riuscita ad abbinare con una blusa appena... passabile.

"Mi sono perso a Siviglia." E' la risposta di Cullen.

"Siviglia la sveglia." L'uomo davanti a lui strabuzza gli occhi, e si trattiene con tutto sé stesso per non scoppiare a ridere. Lo vedo, ride con gli occhi quel balordo.

"Puoi andare, grazie per stamattina." Lo invita con un cenno della mano verso la porta, dove io ancora sono impalata. "Ci sentiamo più tardi." Annuisce piano, prima di avvicinarsi verso di me e indicarmi il pavimento. "Quelli sono suoi, vero signorina?" Abbasso la testa. Assorbenti. Il buco dell'ozono da che parte è? Sempre dritto, e poi a destra è il cammino? No, perché se è lo stesso per l'isola che non c'è conosco la strada. Quella per una bambina mai cresciuta.

"G-grazie. Arrivederci."

"Arrivederci." Mi saluta con un sorrisetto, prima di richiudere la porta dietro di lui.

"Scusami, davvero." Mi avvicino alla scrivania, sedendomi senza che lui mi dica niente. Alla reception l'espressione di Alice non aveva il minimo accenno di preoccupazione, se avessi fatto un ritardo del genere con Aro, Jessica mi avrebbe fulminata seduta stante.

"Non sei l'unica che ha fatto tardi stamattina. La mia macchina non è partita." Oh. E io che mi sono crogiolata nel pensiero che mi avesse aspettata per un'ora sotto casa, e invece...

"Non si preoccupi."

"Credo che puoi smetterla di darmi del lei." Al secondo giorno, mi chiede di chiamarlo per nome. Al secondo giorno, cioè dopo il taxi e dopo la telefonata. Ovvio che mi dice di chiamarlo per nome, dopo che gli ho elencato tutti i particolari con cui gli avrei strappato via la camicia con i denti. Arrossisco al pensiero, e non può non rendersene conto.

"Siviglia, eh? Hai dato un nome a tutti gli oggetti non animati a casa tua?"

"Beh, no. Non a tutti."

"Non a tutti..." Perché insiste? E perché io rispondo?

"Puoi trovare Amerigo il frigo e Albertino il lavandino. All'occorrenza anche Bella la bacinella, sai, per il bucato. Il mio preferito in assoluto è Angioletto!"

"Angioletto?!"

"Il letto!" So che può risultare la cosa più demenziale al mondo dare dei nomi ai propri elettrodomestici, eppure un po' mi tranquillizza. Entrare in casa e dire 'hey, ciao Angioletto' oppure aprire Amerigo prima di domandargli 'chissà che trovo stasera qui dentro?'. Demenziale, appunto. L'aria sconsolata con la quale mi guardava ieri mattina riaffiora. Bravissima, Bella. Continua così, mancano ancora altri due giorni e ti manda a casa a calci in culo.

Taxi?!Onde as histórias ganham vida. Descobre agora