Capitolo 1.

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Capitolo 1


Durante la notte, anche gli altri quattro sovrani chiamati da Agamennone, insieme ai loro eserciti, giunsero a Sparta.
I sette condottieri erano ospiti del re a palazzo, mentre i loro rispettivi soldati avrebbero dormito a bordo delle navi.
Achille si alzò come sempre di buon ora, poco dopo l'alba, e decise di andarsi ad allenare in uno spiazzo non lontano dalla spiaggia spartana.
Camminava per i corridoi deserti del palazzo ancora addormentato, quando una voce lo richiamò.
"Pensavi di andarti ad allenare senza di me, cugino?" chiese Patroclo, anche lui armato di spada.
Telemaco era in piedi accanto a lui.
"Piacerebbe anche a me vederti combattere, Achille"
Il biondo diede un rapido sguardo ai due e poi annuì, accordando loro il permesso di seguirlo.
Il figlio di Ulisse prese posto su una grande roccia ed osservava il più forte soldato greco che istruiva suo cugino Patroclo.
Telemaco si chiese come fosse possibile che tanta forza, bravura e precisione fossero concentrate in un unico uomo.
Per l'ennesima volta che si vide sconfitto, Patroclo gettò a terra la spada.
"Mi chiedo perché mi ostino a combattere contro di te, quando alla fine perdo sempre" disse, a metà tra il divertito e l'amareggiato.
Achille sorrise, porgendogli nuovamente l'arma.
"Mai arrendersi davanti ad un nemico, Patroclo"
Si andò poi a sedere accanto a Telemaco, dopo due ore di lotta senza essersi fermato un momento.
"E mi lasci così?! Mi dici mai arrendersi e poi te ne vai, bella questa...!"
Il biondo rise dell'impazienza del cugino, scuotendo la testa.
"Allenati con me, Patroclo" disse Telemaco, alzandosi in piedi con un sorrisetto di sfida.
"No grazie, non vorrei sentirmi le lamentele di tuo padre quando ti riporterei a palazzo senza una gamba, magari. Mozzata dalla mia spada."
Il figlio di Ulisse scoppiò a ridere.
"Ti piacerebbe! Mi sottovaluti troppo"
Il ragazzo sbuffò, ancora in piedi con la spada tra le mani, quando un'altra voce giunse alle sue orecchie.
"Tranquillo Patroclo, mi alleno io con te!"
Il cugino di Achille si voltò, incredulo.
Giada, nella sua bella tunica bianca che le lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù e le belle braccia, aveva appena raccolto una spada dalla sabbia, abbandonata anche quella da Patroclo precedentemente.
"Spero scherzi. Non posso combattere con te, Giada!"
Un sorrisetto furbo comparve sul viso della ragazza.
Beh, se non voleva combattere, lo avrebbe messo in condizione di farlo.
Lo attaccò con la spada, costringendolo a rispondere al colpo per non ritrovarsi una lama che gli tagliasse in due il cranio.
"Visto? Stai combattendo!" esclamò Giada con un sorriso, continuando a lanciargli colpi di spada dai quali Patroclo si difendeva.
"E va bene principessa, facciamo come dici tu!"
Inneggiarono una piccola battaglia, che rivelò una grande abilità della ragazza nel saper maneggiare la spada con movimenti repentini.
Per Patroclo era difficile rispondere, ormai non tanto per la paura di farle male, ma proprio per la bravura di Giada, che con un colpo secco fece cadere lontano la spada del ragazzo, puntandogli la propria a poca distanza dalla gola.
Sorrise vittoriosa.
Achille l'aveva osservata per tutto il tempo, non apparì sorpreso, piuttosto era ammirato.
Patroclo era perplesso, Telemaco invece scoppiò a ridere.
"Meglio se ti allenavi con me!" esclamò, beccandosi un'occhiataccia dal ragazzo.
Giada abbassò la spada.
"Però Giada, sei brava" commentò ancora Telemaco, avvicinandosi ai due.
"Grazie, nemmeno tu sei male Patroclo" rispose lei, con quel solito sorriso che sembrava non morire mai sulle sue labbra.
"Niente male per una principessa"
Stavolta fu Achille a parlare, alzandosi a sua volta e lanciandole un sorriso provocatore, al quale Giada rispose per le rime.
"Potrei anche sfidare te e la tua spada, Achille"
Lui rise, scuotendo la testa.
"Te lo lascio credere"
La principessa di Sparta avanzò verso di lui, senza mai perdere il contatto visivo con le sue iridi azzurre.
"Non sono io ad aver paura di ferire una ragazza, Achille"
Sguainò nuovamente la spada, sempre con quel sorrisetto fiero, e la lama tentennò contro il metallo di quella di Achille.
"Ho paura di ferire te, Giada, è diverso"
I loro visi erano distanti pochi centimetri, a distanziarli solo le due spade incrociate.
Dopo alcuni secondi durante i quali si guardarono entrambi negli occhi, tutti e due abbassarono le spade con dei sorrisetti dipinti in volto.
Nel frattempo, a palazzo, Agamennone si trovava con Ulisse e Nestore fuori al grande balcone che permetteva di vedere tutta Sparta.
"E' stato nobile da parte tua occuparti anche di Giada, Agamennone" disse Nestore, passando le dita sulla ringhiera di pietra.
"Quella ragazza non ha colpe se ha avuto una madre snaturata. Sono un uomo di parola, avevo promesso a mio fratello che avrei badato a lei" rispose il re, serio nel parlare della portatrice di guai che era stata Elena.
Non l'aveva più vista da quando Troia fu date alle fiamme, forse era ancora lì con quel lattante del principe Paride, ma in cuor suo Agamennone sperava che fosse bruciata nell'Ade insieme a tutti quegli altri infidi Troiani.
"E' molto sveglia a quanto vedo" commentò Ulisse, con un sorriso che, stranamente, contagiò anche Agamennone.
"Sì, è una ribelle... Ma non permetterò che commetta gli stessi errori della madre. Non ama la vita di corte, per farle passare un pomeriggio a cucire con le ancelle bisogna inseguirla per la città" disse il sovrano con un sospiro.
Era buffo da un lato, Ulisse era abituato a vedere Agamennone non proprio vittorioso nelle sue più sfortunate campagne militari, ma vederlo sconfitto contro Giada... non aveva prezzo.
"Beh, potrei dire che Giada ha trovato di meglio per divertirsi..." ribatté con un sorriso il re di Itaca, con gli occhi puntati verso le porte della città.
Anche Nestore ed Agamennone seguirono la traiettoria del suo sguardo.
L'entrata di Sparta era appena stata violata da Giada, che parlava animatamente con Achille, il quale l'ascoltava sorridendo e rispondendole a tono.
Al seguito, Patroclo e Telemaco si limitavano a commentare divertiti.
Agamennone si rabbuiò.
"Achille ha trovato pane per i suoi denti. Non so chi tra lui e Giada sia più testardo" disse Ulisse, ben consapevole di suscitare la stizza di Agamennone.
Una piccola vendetta personale.
Nel pomeriggio i sovrani si incontrarono di nuovo per parlare della battaglia, decidendo dunque di attaccare il giorno dopo al calar del sole.
Quella sera Achille si trovava affacciato al balcone della sala da pranzo, ormai deserta, a godersi la fresca brezza che ventilava Sparta.
Sentì dei movimenti dietro di lui e non ci fu nemmeno bisogno di chiedersi di chi si trattasse.
"Non pensavo ci fosse qualcun altro"
Non si girò verso la ragazza, che era rimasta poco dietro di lui.
"Fingiamo dunque che tu non sia qui perché ci sono anch'io" disse lui, accennando un sorrisetto.
"Il mondo non gira intorno a te, Achille"
"Forse il tuo sì"
Seguirono alcuni istanti di silenzio.
"Il mondo di molte donne gira intorno alla tua bella e aitante immagine" constatò la principessa, cercando di apparire disinteressata alla cosa.
"Non è detto che mi interessi"
"Perché dovrebbe interessarti il mio, allora?"
Stavolta fu lui a non rispondere.
Giada poteva vantarsi di essere stata l'unica donna, oltre a Teti, ad aver saputo zittire Achille.
Di nuovo il silenzio si impossessò di loro, colmato solo dai quotidiani rumori di Sparta che lentamente si lasciava cullare dal buio della notte.
Non era un silenzio scomodo, o nervoso, anzi... era quasi rilassante.
Giada avanzò, appoggiandosi a sua volta alla balaustra, accanto al biondo.
I suoi occhi azzurri erano puntati verso la città.
"E' bella, vero? Sono sempre stata innamorata di Sparta, sin da quando ero bambina. Poi la mamma è andata a Troia e papà l'ha seguita, per difendere l'orgoglio. Ero piccola, non sapevo cosa stesse succedendo. Ma la gente mormorava, ed io la sentivo. La regina Elena ha abbandonato la patria per seguire il principe di Troia. E quella stessa gente oggi mi guarda sorridendo, acclamandomi come la loro principessa, e quando si volta indietro bisbiglia scongiuri perché sono figlia di colei che causò tante morti nelle file degli Achei. Quando mi resi conto di ciò che gli abitanti di Sparta pensavano di me, cominciai a sentire questa città sempre meno mia. E' così semplice per le persone giudicarti senza conoscerti, affibbiarti colpe per errori commessi da altri. E' così crudele. Mi chiedo se gli Dei prestino attenzione alle loro parole e decidano un giorno di punirli"
Achille aveva ascoltato in silenzio il monologo di Giada, spostando lo sguardo dall'orizzonte al suo viso, mentre lei parlava con il cuore tra le mani.
Gli occhi della ragazza osservavano ancora malinconici la città.
"La gente ha bisogno di trovare un colpevole, Giada, perché così gli eventi sono più semplici da accettare. Perché noi mortali siamo deboli, e colmiamo questa debolezza con la cattiveria. E' così che Zeus ci ha creati."
Le parole di Achille, così delicate per un guerriero come lui, toccarono Giada e la sorpresero un po'.
Chiuse gli occhi, beandosi del dolce suono della voce del biondo.
Quando li riaprì, si decise finalmente a girare il viso verso il suo, incontrando ancora una volta i suoi occhi azzurri.
"A volte mi chiedo perché il destino ha voluto quella guerra. Solo perché mia madre era innamorata. Che colpe ne aveva, dopotutto? Ha solo seguito l'uomo che amava..." mormorò, ma stavolta fu Achille a spostare lo sguardo, per quanto gli piacessero gli occhi chiari della ragazza.
Seguirono altri istanti di riposante silenzio, poi fu nuovamente Giada a prendere la parola.
"E' vero ciò che dicono, ciò che raccontano di te e dello scontro con il principe Ettore? Molti ti temono per questo"
In una frazione di secondo, gli occhi magnetici di lui saettarono di nuovo verso il viso della principessa spartana.
"E tu? Tu mi temi per questo?"
"No. La gente ti teme per ciò che fai dei tuoi nemici sul campo di battaglia, ma non basta quello per conoscere una persona" disse lei, abbassando un po' il tono di voce.
"Ma tu non mi conosci, Giada"
"Posso vedere nei tuoi occhi. A volte basta uno sguardo per capire chi si ha di fronte"
"E cosa vedi?" chiese lui, sinceramente curioso, fissandola con quello sguardo enigmatico.
"Vedo un guerriero, il più forte, che vuole che la gente si ricordi di lui per le sue imprese. Ma vedo anche un uomo. Forte, bello, coraggioso... Che prova emozioni, come tutti i mortali. Che ama, che odia. Non posso temerti, Achille, se mi piace ciò che vedo" gli sussurrò, poggiandogli una mano sulla spalla scoperta, prima di ritornare dentro.
Achille seguì la sua figura con lo sguardo, mentre le sue parole gli entravano in testa.

La principessa di Sparta [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now