Capitolo 12.

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Capitolo 12


Giada si portò le ginocchia al petto, guardandosi intorno spaventata.
Si trovava nel fortino degli Ittiti, seduta su uno sporco pavimento di pietra con le mani legate dietro la schiena.
Era passato un giorno da quando era stata rapita e nessuno era venuto a farle visita in quell'angusta stanza.
Ad un tratto, come a voler dar torto ai propri pensieri, la porticina di legno si aprì.
Tabal, con il solito ghigno dipinto in volto, avanzò verso la ragazza.
Lei gli regalò uno sguardo sprezzante.
"Mi dispiace che la camera non rispetti i vostri desideri, principessa, ma al momento è ciò che vi spetta"
"Solo un popolo barbaro come il vostro potrebbe fare una cosa del genere" soffiò lei, senza lasciar trapelare la paura che provava in quel momento.
Tabal sembrava divertito dalla furia di Giada.
"Sei proprio un osso duro, principessa. Non fare la difficile con me, non ti conviene"
Le accarezzò la guancia e lei contrasse il viso in una smorfia disgustata.
"Sai, è un vero peccato scambiarti per avere Sparta. Magari ucciderò per primo il tuo vecchio zietto, così diventerai la mia regina" fantasticò lui, con un tono fin troppo malizioso per i gusti di Giada, che per tutta risposta sputò ai suoi piedi.
"Sei un illuso a pensare questo! Sarai tu il primo a morire, per mano di Achille"
Stavolta fu uno schiaffo ad infrangersi sulla guancia della ragazza che però non si scompose minimamente e continuò a guardare il principe con aria minacciosa dritto negli occhi.
"Ti consiglio di fare la brava, principessa. I miei soldati vorrebbero molto divertirsi con una donna e potrei essere così magnanimo da concederti a loro..."
Al solo pensiero la figlia di Elena rabbrividì.
Entrambi sentirono un tumulto provenire dall'esterno di quella sottospecie di cella e un soldato di Tabal corse incontro al suo comandante.
"Mio signore, i Greci ci attaccano!"
"Mandate tutte le truppe al contrattacco e portatemi Agamennone!"
Detto ciò uscì anche lui, lasciando Giada nuovamente sola ma con un forte barlume di speranza dentro di sé.
Erano venuti a salvarla.
Gli Achei si erano ben organizzati e mentre Ulisse, Agamennone e gli altri inneggiavano una battaglia come diversivo, Achille, Patroclo e Telemaco avanzavano a colpi di spada verso il fortino per aiutare la ragazza.
Giada lo sentiva, sapeva che stavano arrivando.
Un soldato, dall'aria ubriaca, entrò.
Era molto grosso e rideva scompostamente, era uno spettacolo penoso.
"Sono qui per farti da guardia, dolcezza" disse biascicando le parole.
Si avvicinò a lei e la fece alzare in piedi con poca grazia.
"Lasciami andare, bruto che non sei altro!"
"E dai principessina, fammi divertire un pochino..."
Mentre le mani dell'uomo cercavano di raggiungere il seno della ragazza lei gridò, dimenandosi e difendendosi come meglio poteva.
Achille, qualche corridoio più avanti, appena udì le urla di Giada si precipitò come una furia nella direzione da cui proveniva la sua voce.
Entrò finalmente nella stanza, seguito poco dopo da Patroclo e Telemaco, e con rabbia allontanò il soldato da Giada, colpendolo con un unico colpo mortale in mezzo al cranio.
L'uomo cadde a terra in una pozza di sangue e quando la principessa, scossa, vide parte del cervello attraverso la ferita ebbe l'impellente stimolo di vomitare.
Si ritrovò immediatamente stretta nell'abbraccio di Achille e poté dare libero sfogo alle lacrime che aveva trattenuto per tutto quel tempo.
"Ho avuto paura" singhiozzò, con il viso nascosto contro il petto muscoloso dell'eroe.
"E' tutto finito, Giada. Tutto finito. Niente potrà farti male finché ci sarò io" le sussurrò, con le narici invase dal suo dolce profumo.
Giada sapeva che aveva ragione, con lui si sentiva al sicuro come non mai.
"Ragazzi mi dispiace interrompervi ma qui fuori la situazione si mette male, dobbiamo andarcene!" esclamò Telemaco, attirando la loro attenzione.
Achille afferrò Giada per la mano e a colpi di spada lui, il cugino e il principe di Itaca si fecero strada in mezzo alla baraonda.
"Qualsiasi cosa succeda tu continua a correre! E non lasciare la mia mano!"
La principessa annuì con decisione.
Giunti nel bel mezzo del campo di battaglia, incrociarono Agamennone.
A Giada costò molto ammetterlo, ma era in qualche modo contenta di vederlo.
"Riportala a palazzo scortato dai tuoi Mirmidoni" ordinò ad Achille, che per una volta fu più che d'accordo con lui.
"Vi sopraffaranno" dedusse Patroclo, mentre Achille aiutava Giada a salire su una biga.
"Ebbene, vi siete sempre lamentati della mia poca partecipazione in battaglia, ed ora avete ancora da ridire? E' un ordine!"
Giada fu sorpresa nel sentire suo zio parlare in quel modo, finalmente non si stava comportando da vigliacco.
Patroclo annuì e salì insieme ad Achille ed Eudoro sulla biga in cui c'era Giada, dietro di loro erano schierati i soldati Mirmidoni.
Allontanandosi Giada vide chiaramente un colpo di spada oltrepassare le spalle larghe dello zio e rispuntare poco sotto la gola.
Fu spontaneo per lei gridare un "No!" per poi coprirsi gli occhi.
Achille osservò a sua volta la scena impassibile e nel punto in cui chiunque avrebbe visto un semplice soldato avversario, lui riconobbe il potente Ares con l'armatura splendente*.
Agamennone era stato punito per tutto ciò che aveva commesso.

***

Una volta giunti al castello attesero il ritorno degli altri, l'esercito spartano era ridotto a cadaveri privi di vita così come quello di Teucro.
Oltre ad Agamennone anche Idomeneo era caduto.
Ulisse affermò con sicurezza che però il doppio dei soldati Ittiti erano ora diventati pasto per avvoltoi e cani.
"Voglio sapere quanti ne sono rimasti" disse fermamente Achille, dopo aver scortato in camera Giada ed averla lasciata alle cure delle ancelle.
"Meno di una decina, posso giurare di averli contati. Tra loro c'è anche il principe" rispose Aiace, con ancora indosso l'armatura sporca di sangue.
"Ed ora cosa facciamo? Quando gli Spartani sapranno che Agamennone è morto si scatenerà il caos in città. Chi prenderà il suo posto?" domandò Eurialo, a braccia conserte.
"Nestore, occupati tu di questa burocrazia. Per il momento voglio solo un duello diretto contro quel codardo di Tabal, il vincitore tra noi due decreterà l'esito di questa guerra priva di senso" concluse Achille, prima di congedarsi e salire al piano superiore.


***


Giada era seduta sul suo baldacchino, era stata da poco lasciata sola dalle ancelle e fu immensamente felice di vedere Achille raggiungerla.
Si sedette accanto a lei e la principessa si rannicchiò immediatamente tra le sue braccia come una bambina.
"Come stai?"
"Non ne ho idea... Mi sembra di aver perso tutto, ho quell'orrenda sensazione di non sapere cosa succederà..." rivelò Giada con sconforto mentre Achille le accarezzava le braccia con una dolcezza ormai non più insolita.
"Te lo dico io cosa succederà, questa guerra finirà ed io e te fuggiremo via, a Ftia, lontani dai problemi, promesso"
Un minuscolo sorriso si fece strada sul viso dai dolci tratti della ragazza; l'eroe si nutrì di quel volto del quale era stato a digiuno per troppo tempo.
I loro occhi s'incatenarono gli uni agli altri e non ci volle molto prima che le loro labbra facessero lo stesso, trasportandoli in un bacio passionale.
Ben presto quel bacio si trasformò in qualcosa di più profondo e dopo giorni interi i loro corpi si riscoprirono, si amarono e divennero una cosa sola.











NOTE:
– Ares era uno degli Dei che durante la guerra di Troia aveva parteggiato e lottato per i Troiani (a causa della sua relazione con Afrodite) e ho immaginato che avesse Agamennone abbastanza in antipatia.

La principessa di Sparta [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now