Capitolo X

17.3K 709 39
                                    

Crollai addormentata ai piedi della scritta, attorcigliata in modo tale che le catene non mi facessero male.

Non sognai quella notte: i sogni sono la più grande manifestazione di libertà.

I primi raggi di sole si fecero timidamente largo tra le sbarre, illuminando fiocamente la stanza. La porta si aprì dolcemente e ne spuntò fuori il padrone, sempre vestito di nero, incappucciato e coperto dalla maschera tagliata sotto il naso.
La barba era spettinata e disordinata.

«Eccola qui, la bella addormentata» esordì maligno.
Mi misi seduta, a testa bassa e tornò la paura, come una vecchia amica, come se fosse un rituale.
Quasi potevo vederla, la paura: veniva da lontano, a passi lenti e scanditi, trascinandosi nella sua lunga veste, il volto stanco e vecchio, si avvicinava a me, mi accarezzava la spalla e si impossessava completamente di me.

«Cosa hai sognato di bello» chiese, appoggiandosi con le spalle al muro, il ginocchio piegato e il piede appoggiato alla parete.
Rimasi in silenzio, impietrita.
«Ehi, ti ho fatto una domanda...».
«Non sono riuscita a sognare» dissi amaramente.
«Oh, che peccato. Questo giorno è arrivato così in fretta» si staccò dal muro grattandosi la barba, riflessivo.

«Sai, mia nonna diceva che quando sogni illumini il mondo. Secondo lei ogni sogno diventa una stella e tutte le volte che qualcuno smette di sognare una stella si spegne».
«È davvero un bel pensiero» azzardai.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Mia nonna era una tipa sognatrice, sempre gentile e ottimista, dispensava enormi sorrisi a tutti, sempre a pensare a come rendere il mondo un posto migliore, sempre lì a colorare con i suoi pastelli vecchi questo mondo, ignara che arrivava sempre qualcuno a bagnarle il foglio e tutto tornava grigio. Ma lei non demordeva: guardava chi le aveva bagnato il foglio e... lo perdonava. Perdonava sempre. Odiavo i suoi occhi del perdono, così teneri, così umani: ti scavavano nell'anima e ti turbavano i sentimenti» era così scosso quando parlava di sua nonna, la sua voce era come un lampo che avverte silenzioso l'arrivo di una tempesta; poi si fermò e senza guardarmi disse «Era come te».

Alzai il capo, turbata.
«Cosa ne sai tu di come sono io».
«Ti conosco meglio di quanto tu possa credere».

Mi alzai di scatto e improvvisamente mi ritrovai ritta in piedi davanti a lui. Restò immobile, non batté ciglio, io invece ero in preda ad una crisi di panico e volevo solo liberarmi delle catene.
«Da quanto tempo mi segui, eh? Mi hai spiata? Perché stai facendo tutto questo, perché? Perché hai scelto proprio me? Cosa ti ho fatto?» la voce esasperata e rotta dal pianto si accompagnava a disperati tentativi di colpirlo. Avevo un caldo bestiale.

Provai a tirargli un pugno. Sferzai solo l'aria.
Ancora un pugno. Il rumore delle catene che cadevano pesanti al suolo.
Lanciai un calcio. Le catene mi fermarono a metà strada.
Una ginocchiata. Bloccata a metà strada.
Ero esausta. Era immobile.
Lanciai un urlo. Restò immobile.
Un ultimo disperato tentativo di colpirlo. Lo presi in pieno addome.
La soddisfazione lasciò ben presto spazio alla paura. Restò impassibile.

Mi lasciai andare: «Uccidimi»
Non si mosse.
«Fallo. Ti prego. Uccidimi».
Continuava a tenere lo sguardo fisso su di me, senza che io potessi vederlo.
«Uccidimi!» gridai disperata tornando a dimenarmi ma lui non fece una piega.

Indietreggiai senza allontanarmi troppo. Respiravo affannosamente e bevevo le mie lacrime sporche. Quel posto mi stava facendo impazzire. Quell'uomo mi stava facendo impazzire. Afferrai una catena e me l'avvolsi al collo.

«Se non mi uccidi tu lo faccio io».
«Credi davvero che io abbia paura della tua morte?» disse lentamente «credi che io abbia paura di ucciderti?».
«Allora perché non lo fai?».

Abbassò la testa e strinse i pugni. Tremava leggermente. Mi si avvicinò e mi tolse le catene dal collo. Tremavo e piangevo.

Mi prese il viso tra le mani, e mi guardò fisso. Avvicinò il capo e aprì leggermente le labbra tremanti. Poi si fermò. Accadde tutto in un istante. Improvvisamente mi tirò a sé e mi baciò.

La barba ispida mi graffiava il viso sporco ma le sue labbra erano così morbide.

Presi coraggio e lo spinsi all'indietro, abbassando il capo. Sentivo il suo respiro pesante.

Si voltò e si avvicinò al muro a cui era appoggiato prima, cacciò un pennarello nero dalla tasca destra e prese a scrivere, poi gettò il pennarello al suolo e corse fuori dalla stanza.

Mi voltai a leggere:

I SOGNI SONO LA PIÙ GRANDE MANIFESTAZIONE DI QUANTO QUESTO MONDO FACCIA SCHIFO.

Mi avvicinai, raccolsi il pennarello e presi a scrivere anche io:

E se ogni sogno brillasse nel cielo? Se ogni stella fosse un desiderio? Allora, ti dico, continua a sognare, fai brillare questa notte e quelle dopo ancora perché i sogni illuminano il mondo quando è notte.

E la notte è il tempo dei saggi, dei romantici. La notte è il tempo del silenzio e della solitudine.

La notte è la parte più bella dell'uomo.

Rimisi dolcemente il tappo al pennarello e lo lasciai cadere. Fissavo le scritte sul muro.

Improvvisamente, da lontano, un suono di campane attirò la mia attenzione e mi voltai verso la grata: era mezzogiorno.

Segui la pagina facebook della storia: www.facebook.com/gsalatiello.book

Le strofe scritte in "corsivo" è estratta dalla novella inedita "La notte" di Gianmarco Salatiello, autore dell'opera stessa.

Il volto del padroneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora