Capitolo XI

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Le campane continuavano imperterrite a rintoccare, annunciando che metà giornata era già passata. Ma a me non interessavano le campane, aspettavo ben altro suono.

Ogni volta che sentivo dei passi in lontananza il mio cuore iniziava a battere all'impazzata, preso quasi più di me da quel terribile mix d'ansia e paura a cui ormai mi ero abituata.

Arrivavano lentamente, con suoni sordi e sommessi per poi diventare sempre più forti, più vicini. BUM-BUM-BUM : il mio cuore batteva così forte che avevo paura che il padrone mi sentisse. Arrivavano davanti alla grata, mi alzavo, speranzosa... e poi andavano via, ignari di ciò che succedeva sotto i loro piedi. Di nuovo scalpiccii lontani, fino al silenzio.

Il tempo passava e l'ansia continuava a crescere. Fissavo le tre scritte sul muro, pensavo a come era potuto succedere tutto questo. Poi i miei pensieri furono interrotti da un rumore di passi lontani. Passi morbidi, lenti. Era davanti alla grata.

«Seline... Seline... C'est moi, Aurore!».

Scattai in piedi cercando inutilmente di raggiungere le sbarre di ferro.

«Sono qui... Aurore, sono qui... Sono io, Seline».

«Eccoti... ciao» era nervosa e non sapeva cosa dire.
«Ciao... lo hai trovato?».
«Si, l'ho... l'ho trovato... all'inizio non mi credeva, poi si è convinto».
«Dov'è ora? È venuto con te?» domandai in fretta, allungando il collo per cercare di vedere qualcosa.
«No, non c'è... però ha chiamato la polizia, dovrebbero essere qui a momenti».
«Grazie Aurore».

Forse avevo una speranza, una speranza di tornare libera. Improvvisamente in quella stanza grigia si vedeva un po' di luce e quella porta mi sembrava più vicina.

Improvvisamente da lontano si udirono delle sirene della polizia gridare a più non posso nella mia direzione.
«Alzati!» gridai ad Aurore «non farti vedere mentre parli con me».
Obbedì. Si alzò e si allontanò. Le volanti della polizia frenarono bruscamente e d'improvviso fu tutto uno sbattere di porte delle auto, passi veloci, ordini rapidi.

Sentì un poliziotto avvicinarsi alla grata e parlare con Aurore: «Signorina, per favore, deve spostarsi, stiamo facendo un'indagine. Vada sull'altro marciapiede o magari torni a casa».
Aurore seguì le istruzioni del poliziotto e si piazzò sul marciapiede opposto.

Potevo sentire i poliziotti bussare ad una porta.
«Aprite! Polizia di Stato!». Andò avanti così per un po' fino a che qualcuno non aprì la porta.
«Buongiorno, c'è qualche problema?» era lui. Era la sua voce scura e triste. Era la voce del padrone.
«Abbiamo un mandato di perquisizione per Via della Liberazione numero civico 31 bis».
«Prego, fate pure» rispose il padrone, beffardo.
«Il collega le darà le dovute spiegazioni. Rinaldi, con me!».

Ora i passi erano più vicini. C'era un caos enorme. Il caos che si crea quando si mette tutto a soqquadro. Grida di poliziotti, passi veloci, cose che cadevano a terra. Da fuori si sentivano i mormorii dei più curiosi che si accalcavano intorno a Via della Liberazione numero 31 bis e le loro ipotesi più bizzarre.

Mi alzai e iniziai a gridare.

«Sono qui! Sono qui sotto! Aiutatemi! Polizia, sono qui! Aiuto! Mi ha rapita, sono legata! Aiuto!» cercavo di fare quanto più rumore possibile, facendo sbattere pesantemente le catene contro il muro e tra di loro.

Sentii la voce di un poliziotto chiedere: «Si identifichi, per favore».
«Sono Giovanni Fiorentino, nato a Roma il 9 maggio 1992».
Giovanni Fiorentino. Era questo il suo nome. Il nome del mio rapitore. Giovanni Fiorentino. Questo nome mi rimbombava nella testa. Giovanni Fiorentino. Giovanni Fiorentino...

«Stato civile?» continuò il poliziotto.
«Sono separato dal 2013. Ero sposato con Giulia Bellavalle nata Latina il 17 settembre del 1995».
«Ha un documento che attesti che sta dicendo il vero?»
«La carta d'identità». Probabilmente sfilò il documento e l'agente lo controllò perché ci fu qualche istante di silenzio
«Professione?».
«Attualmente disoccupato. Ho lavorato fino al giugno del 2014 come barista» la sua voce era sempre piatta e inespressiva.
«Presso? C'è qualcuno che può confermarlo?».
«Certamente. Bar Pascoli, via Lombardia civico 30. Può confermarlo Luigi Pascoli».
«Verificheremo. È provvisto di porto d'armi? Possiede armi conservate in casa? Se si, può mostrarmela?».
«Si, ho il porto d'armi. Venite, la pistola è in cassaforte nella camera da letto». E si allontanarono.

Pochi minuti dopo, tornarono nella stanza in cui era avvenuto l'interrogatorio.

«Signor Fiorentino, è rimasta solo questa stanza chiusa a chiave» la voce apparteneva ad un altro agente.
«Si , il ripostiglio, ve lo apro».

Un rumore metallico di chiavi che giravano nella serratura. Cinque mandate. Un paio di poliziotti entrarono. Li sentivo vicinissimi. Scatoloni che venivano spostati, rumori sordi e metallici.

«Qui non c'è niente» dichiarò un poliziotto.
«No, ci sono io! Aiuto! Sono qui sotto!» gridai disperata.
«D'accordo, signor Fiorentino, non abbiamo trovato nulla. Ci perdoni per l'intrusione».
«No, io sono qui! Vi prego! Aiutatemi!» tutta la luce di cui si era riempita la stanza andava man mano spegnendosi: non era la notte che avanzava, era la speranza che svaniva.
«Si figuri, è il vostro mestiere».

I poliziotti si congedarono e man mano anche la strada si svuotò.

Ero in preda alla disperazione. La mia più grande occasione di ritornare ad essere libera era svanita. Mi lasciai crollare al suolo e scoppiai in lacrime.

«Seline... Seline» era Aurore che era tornata davanti alla grata «Seline, mi dispiace, io ho fatto...»

Non riuscì mai a finire quella frase. Due sordi BAM dal lato destro della strada le impedirono di continuare.

Mi alzai in piedi e con tutta la forza che avevo gridai: «NO! Aurore!».
Un sordo tonfo. Dalle grate un rivolo di sangue calò lentamente sul muro. L'aveva uccisa. Il padrone l'aveva uccisa. Crollai in ginocchio ed iniziai a gridare e piangere.

La sua voce. La sua magnifica voce di una ragazzina francese a caccia del suo sogno. I suoi sedici anni. Quella canzone: quel magnifico inno alla forza dell'amore. Tutto finito. Potevo sentire quella canzone volteggiare intorno alla grata per poi infrangersi in tanti minuscoli cristalli.

La porta si aprì bruscamente e ne uscì fuori il padrone.
«Stavolta l'hai fatta grossa».

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Il volto del padroneWhere stories live. Discover now