La prima volta che ti ho vista è stato molti anni fa. Avevo otto o nove anni, non ricordo di preciso.

Eravamo in tre, io, Giulia e Carlo, nella foresta dove i nostri genitori ci portavano ogni primo fine settimana del mese per farci giocare e farci sentire un po' liberi, a contatto con la natura, lontani dal tran tran della vita di paese. Ricordo che aveva piovuto da poco, perché la terra era umida e l'aria profumava di pioggia recente. Ero piccolo e non sapevo i nomi di tutte le cose, non sapevo che quello era odore di rugiada.

«1... 2... 3...» , iniziai a contare, con la testa appoggiata ad un albero grande di cui non sapevo il nome.

Sentii i passi di Giulia e Carlo allontanarsi velocemente e cercare un nascondiglio. Io ero sempre quello che contava per primo, ma tanto li ritrovavo sempre senza troppa fatica. Ogni tanto li facevo vincere perché mia mamma diceva spesso che i bambini piccoli bisogna farli vincere apposta ogni tanto, così si sentono grandi.

Avevo solo due anni più di Giulia e tre più di Carlo, ma a quell'età li vedevo piccolissimi e loro, di conseguenza, mi vedevano come un adulto. Una guida. Quello che dettava le regole, in pratica.

«...58... 59... 60!», finii.

Mi staccai dall'albero grande e mi guardai intorno. Non li vedevo. Sapevo però che non potevano essere lontani, perché le nostre mamme ci avevano raccomandato severamente di non allontanarci troppo. Una volta che Carlo si era allontanato oltre il ruscelletto, il padre gli aveva mollato una sberla fortissima davanti a tutti, che servì da esempio anche per noialtri e che non abbiamo mai dimenticato. Al tempo capimmo che andare oltre il ruscelletto era sbagliato. A distanza di anni, quando il padre di Carlo abbandonò lui e la moglie ancora incinta di un secondo bambino, realizzammo che era solo un uomo violento e l'unico ad essere veramente sbagliato.

C'era un tronco caduto e penso che fossi già abbastanza grande perché pensai che quello poteva essere il nascondiglio preferito di Giulia, così mi avvicinai. Fu quello il momento in cui ti vidi per la prima volta, rannicchiata e a faccia in giù. Istintivamente iniziai a correre verso la postazione iniziale per segnalare che avevo trovato Giulia, ma mi resi conto quasi subito che non eri lei e quindi ritornai lentamente sui miei passi. Ti guardai incuriosito per capire chi o cosa fossi. Sembravi piccola e delicata. Entrambi lo eravamo, in realtà.

Mi avvicinai e provai a parlarti.

«Ehi, ma tu chi sei? Stai bene?».

Continuavi a stare rannicchiata e col viso rivolto verso il basso, come se ti stessi nascondendo da qualcosa o qualcuno. Provai ad avvicinarmi e in quel momento alzasti lo sguardo. Eri piccola e impaurita. Avevi gli occhi rossi e le guance rigate dalle lacrime di un pianto sommesso e silenzioso. Avevi un vestitino bianco e lunghi capelli neri. Eri diversa dalle altre bambine. Il tuo sguardo era triste.

No, non era triste. Ora ricordo meglio, eri arrabbiata. Avevi pianto ed eri arrabbiata. Con me.

Mi hai guardato un attimo negli occhi e poi hai girato lo sguardo, come se la causa della tua rabbia fossi proprio io.

Sei stato tu, diceva quello sguardo. È colpa tua.

È passato tanto tempo, troppo, non ricordo più se in quel momento desideravo andare via o avvicinarmi ancora di più per capirci meglio. Quello che ricordo furono improvvise le voci di Giulia e Carlo che mi riportarono a quella che credevo essere la realtà.

«Stella!»

«Stella!»

Mi girai di soppiatto e vidi entrambi con le mani appoggiate all'albero grande, fieri di aver vinto loro quella sfida a nascondino. L'unica volta in cui non li avevo fatti vincere apposta.

Mi rigirai verso di te e non c'eri già più. La terra era bagnata ma non c'erano i segni dei tuoi passi con cui ti eri così bruscamente allontanata.

«Hai perso, hai perso!», mi canzonava Carlo. «Ora devi contare di nuovo, stavolta fino a cento.»

«Non l'ho fatto apposta... non volevo», risposi con voce tremolante.

«Eh?», chiese Giulia. «Che hai combinato?»

«No.. cioè... c'era una bambina qui, vicino il tronco.»

Carlo e Giulia si guardarono senza capire

«... pensavo che eri tu, ma mi sbagliavo. C'era una bambina che piangeva».

«È una bugia, dici così perché non vuoi contare!», iniziò a lagnarsi Carletto. «Non è giusto!»

«Ma no, che dici?», lo rassicurai. «Sì che conterò. Conterò fino a cento, come avevamo detto prima. È solo che quella bambina...», e lasciai morire la frase, senza sapere cos'altro dire.

«Ti sei innamorato!», disse Giulia con un sorrisino allo stesso tempo malizioso e innocente tipico dei bambini. E iniziò a canzonarmi: «Innamorato... innamorato...»

«Ma che dici? Smettila!»

«'morato... 'morato...», le faceva eco Carletto.

Ricordo che iniziarono a prendermi in giro e la sfida a nascondino non interessava più a nessuno dei tre.

«Bambini!», ci richiamò la mamma di Giulia. «È tardi e sta per piovere, dobbiamo tornare a casa.»

«Sì, mamma», rispose Giulia. «Lo sai che David è innamorato?»

«Smettila di fare la scema e sbrigati. Vedi come ti sei sporcata!»

Tornammo alle auto e poi partimmo. Poco dopo iniziò a piovere e io continuavo a guardarmi indietro domandandomi dove fossi, pensando che con quella pioggia che diventava sempre più forte ti saresti bagnata tutta. Mi preoccupavo per te, perché dentro di me sapevo che eri triste per colpa mia e volevo in qualche modo riscattarmi. Non ti volevo far soffrire, perché la tua tristezza era anche la mia.

È colpa tua, diceva quello sguardo. È tutta colpa tua.

RitrovartiWhere stories live. Discover now