«E poi che è successo?», domandò Cristina incuriosita.

«E poi niente, l'ho accompagnata a casa.»

«Non le hai dato neppure un bacio?», chiese lei insistente.

«Ma chi, io? A malapena sono riuscito a chiederle il numero!»

Si fece scappare un sorrisino, come per sottolineare che proprio irrecuperabile non ero. Cristina era la mia migliore amica, dopo Giulia ovviamente, e studiavamo alla stessa facoltà, ma avevamo corsi diversi. Meglio così. Aveva il dono di farmi scoppiare a ridere con un semplice sguardo, e lo sapeva, per questo durante la giornata era meglio che stessimo il più lontani possibile.

«Cioè, David, fammi capire una cosa...», iniziò. E io già sapevo dove sarebbe andata a parare iniziando con "fammi capire una cosa". «Sei andato a pattinare su ghiaccio e incontri questa... com'è che si chiama?»

«Angela.»

«... si, Angela. Dicevo, questa Angela sta per cadere all'indietro rischiando di spaccarsi la schiena e tu accorri eroicamente in suo aiuto e la riesci a prendere al volo...»

«Sì, esatto»
«... inizia la chiaccheratina, cosa fai tu, cosa fa lei, bla bla bla in pratica, sembra l'incipit di un film porno»

«Ma che dici?»

«... aspetta, non ho finito! Ti dice che è in città da poco e che non conosce nessuno, il che può anche essere visto che è andata a pattinare da sola, e tu mitico gentiluomo della situazione riesci ad accompagnarla a casa, a carpirle il numero di cellulare. Ma poi?»

«E poi niente, ho il numero, se me l'ha dato non penso le dia fastidio se ogni tanto la chiamo e ci vediamo».

«Ma no! Hai sbagliato. Dovevi farle vedere da subito che avevi spirito di iniziativa...»

Con Cristina non si faceva che parlare sempre delle stesse cose. Ai suoi occhi ero io quello timido e impacciato, mentre in realtà mi consideravo solo gentile e rispettoso, senza voler apparire invadente o troppo focoso. Per lei non c'era nulla di male ad essere passionali e intraprendenti, neppure per me in realtà, ma era un modo di fare che non mi apparteneva. Mi andavo bene come ero, continuavo a ripetermi da sempre, non aveva senso indossare una maschera e fingermi qualcun altro. Quando avrei conosciuto la persona giusta, mi dicevo, avrebbe apprezzato il vero me e non un'immagine distorta della mia persona.

«Ma guarda che tutti gli uomini sono così, eh!», continuò. «Li vedi grandi e sicuri di sé e poi li smonti in un secondo».

«Io sono diverso dagli altri, e lo sai».

«Ma sì che lo sooooooooo», e iniziò a strapazzarmi le guance. Ero, tra le altre cose, il suo orsacchiotto personale.

Insomma, era una serata come tutte le altre. Io e Cristina amavamo cazzeggiare in questo pub a due isolati dalla facoltà, a ridosso di un grande parco, e a volte ubriacarci, ma solo in occasioni particolari. Quella sera era particolare ma non lo sapevamo né io né lei. Quella era la sera in cui ti rividi.

Proprio nel momento in cui Cristina mi stava strapazzando le guance, notai una sagoma dietro di lei, appoggiata al bancone. Sembrava una ragazza che stava ordinando da bere, invece non stava parlando con nessuno né stava bevendo nulla. Eri di spalle. Non sembravi una cliente come tutte le altre. Qualcosa che non riuscivo a decifrare stonava con tutto il resto.

Ti sei girata verso di me e hai iniziato a fissarmi intensamente. I tuoi capelli sembravano molto più lunghi rispetto a quel pomeriggio di tanti anni prima, ma eri ancora vestita di bianco. Eri cambiata molto e non ero sicuro che fossi davvero tu. Il tuo sguardo non era allegro. Il tuo viso, apparentemente inespressivo, lasciava intendere che ti sforzassi di mostrarti indifferente ma in qualche modo trapelava il risentimento del nostro primo incontro. Era uno sguardo malinconico e nostalgico, oltre che risentito.

Come riuscivo a capire tutte quelle cose in pochi secondi, mi domandai.

Non fingere, sembrava volermi dire quello sguardo. Lo sai che tutto questo è solo colpa tua.

«David?»

Sobbalzai. All'improvviso mi ritrovai la faccia di Cristina davanti agli occhi.

«Va tutto bene? All'improvviso ti sei ammutolito.»

«Ehm, sì tutto bene, è solo che c'era... cioè...». Neppure questa volta sapevo cosa dire.

Guardai nuovamente verso il bancone e non c'eri più. Svanita nel nulla anche stavolta.

«Ti ho fatto male?», riferendosi al suo strapazzarmi le guance di poco prima.

«Come? Ah... no, no, tranquilla». «Va tutto bene, davvero!», sentii il bisogno di puntualizzare.

«Perché non chiami Angela e non le dici di venire al pub? Magari si sta annoiando, sola soletta...»

Angela. Me l'ero già dimenticata. Fino a pochi minuti prima ero stato a farmi le seghe mentali su questa ragazza appena conosciuta sulla pista di pattinaggio e con cui, secondo Cristina, non ero stato abbastanza intraprendente.

«No, non la chiamerò!», risposi seccamente. «Né oggi né mai. Come dici tu, ogni lasciata è persa. Sarà per la prossima.» Non mi accorsi che stavo parlando velocemente e a voce leggermente più alta.

«Ehi, stai calmo! Ok, non ti preoccupare, non la chiamerai. Ma sei sicuro che è tutto ok?»

«No, non è tutto ok. Ubriachiamoci!»

Il tuo sguardo mi aveva colpito come uno schiaffo anche questa volta. Mi sentii nuovamente in colpa, come quella volta di tanti anni prima. Forse quella sera non riuscii a ricollegare la te di adesso con la bambina dietro il tronco, ma ora so che eri tu, così come so che eri arrabbiata, triste, delusa. Avevi un'anima spezzata, l'anima di una bimba spaventata che corre verso la luce del sole, sperando di uscire dalla foresta e sfuggire agli spiriti maligni.

RitrovartiWhere stories live. Discover now