Parlare di te con Giulia fu liberatorio, perché nei giorni a venire non sei più ricomparsa e iniziai a credere che parlare di te fosse il modo migliore per tenerti lontana. Trascorsi delle giornate tranquille con i miei genitori, così poco avvezzi ad avermi attorno, e la sera mi svagai con Giulia e Carletto, come ai vecchi tempi. Carlo lavorava duramente tutti i giorni giù alla cava per mantenere sua madre e gli studi di suo fratello, visto che il padre non aveva mai passato gli alimenti sin dal giorno in cui era andato via. Nonostante la sua situazione precaria, riusciva comunque a prenderla con filosofia ed apparire spensierato.

Eccone un altro che non sembravano scalfirlo neppure i terremoti, pensai una delle sere che trascorremmo assieme. Ma in cuor mio sapevo che non era così. Sapevo che desiderava una vita migliore, aver avuto la possibilità di studiare anche lui e magari, un giorno, riuscire ad andar via dal paese anche lui, dove tutti i giorni si susseguivano l'uno uguale all'altro.

Stavo così bene con loro che difficilmente lasciai trasparire il mio dramma.

Tornato a casa la sera prima del giorno in cui sarei ripartito, riflettei sul fatto che anche io, come lui, stavo imparando a mostrarmi imperturbabile, indifferente, forse alle volte felice, quando dentro di me imperversava uno tsunami. Pensai che quando eravamo piccoli e giocavamo a nascondino mai ci saremmo immaginati che la vita sarebbe stata così, un susseguirsi di sorrisini e frasi di circostanza. Pensai che se lo avessimo saputo, avremmo preferito non crescere mai e restare lì, in quel bosco, a giocare a nascondino per tutta la vita, o magari oltrepassare il ruscelletto e sfuggire per sempre dal triste mondo degli adulti.

Pazienza, pensai. È andata così.

Poteva andare meglio, mi sussurrasti nella mente. Non ti vedevo, ma percepivo la tua presenza. Ma come sarebbe potuta andare meglio? La vita è questa.

O forse no?

Quella sera vidi mia madre seduta in cucina, ancora sveglia, guardare un programma comico alla TV.

«Ciao, ma'!», le dissi.

«Ehi, sei già tornato?»

«Sì», risposi. «Preferisco andare a letto presto perché devo ancora preparare lo zaino e domani vorrei prendermela con calma.»

«Dai, sono contenta di averti visto. Un giorno di questi vengo io in città, ti prometto.», mi disse sorridente. Cercava anche lei di nascondere l'amarezza per la mia imminente partenza. Indossava una maschera anche lei. Nessuno era immune.

«Ti voglio bene, mamma», le dissi. «Scusa se non te lo dico così spesso.»

Mi sorrise intenerita per un attimo, e poi mi chiese: «Beh, sei riuscito a trovare la tranquillità che cercavi? Ti ha fatto bene stare un po' qui, si vede!»

«Sì, mi ha aiutato molto...», risposi, lasciando in sospeso la frase senza aggiungere ulteriori dettagli. Dopodiché cambiai argomento.

«Mamma, ho bisogno di chiederti una cosa. Ma prometti di non fraintendere o preoccuparti inutilmente?»

«Certo, caro, chiedi pure!»

Feci una pausa. Una pausa che mi sembrò interminabile, mentre prendevo fiato e studiavo le parole che avrei dovuto usare. Dopodiché glielo domandai nel modo più semplice che mi venne in mente.

«Mamma, quando ero piccolo vi sono mai sembrato.... strano?»

Mi guardò con sguardo interrogativo, non capendo chiaramente cosa intendessi di preciso.

«Voglio dire...», continuai, senza riuscire a guardarla negli occhi, «... per caso, durante la mia infanzia, ho dato l'impressione di avere qualche deficit cognitivo o disturbo della personalità?»

RitrovartiWhere stories live. Discover now